mercoledì 10 dicembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
​Padre nobile del «tomismo trascendentale», pensatore che seppe aprire un varco di modernità nella filosofia della religione e tentò soprattutto di affrancare gli studiosi della teologia neoscolastica del suo tempo «dalla loro fobia del kantismo». E poi: eminente studioso di scienze naturali, ma anche e soprattutto raffinato psicologo che cercò di capire e interpretare le dinamiche più complesse della vita dei mistici. Lungo questa direttrice si può comprendere l’eredità speculativa e la traccia che il gesuita belga Joseph Maréchal (1878-1944) – di cui l’11 dicembre ricorre il 70° della morte – seppe imprimere nel panorama filosofico e teologico del suo tempo. Per anni docente nella prestigiosa Università Cattolica di Lovanio, grazie alla sua rilettura dinamica del tomismo rappresentò un saldo punto di riferimento per alcuni tra i più importanti teologi del XX secolo: da Karl Rahner a Joseph de Finance, da Bernard Lonergan ad Emerich Coreth. A tanti anni dalla scomparsa, questo «gesuita dallo spirito fine e penetrante» – come lo definì nel giorno della morte padre Agostino Gemelli – rimane certamente attuale grazie a una delle pietre miliari della sua ricerca, l’opera monumentale Le point de départ de la métaphysique («Il punto di partenza della metafisica»), un lavoro in cinque volumi usciti tra il 1922 e il 1926 (gli valse tra l’altro il premio decennale di filosofia da parte dell’Accademia reale del Belgio nel 1938) in cui viene messo a confronto il pensiero dell’Aquinate con quello di Immanuel Kant.Della modernità del filosofo nativo di Charleroi è convinto il gesuita connazionale Paul Gilbert, attento studioso e docente di Metafisica alla Gregoriana di Roma: «Mi ha sempre colpito la poliedricità dei suoi saperi, che andavano dalla biologia alla teologia fino alla psicologia. E forse proprio per questo confronto con il mondo delle scienze Maréchal rappresenta un pensatore moderno e attento alle novità, un intellettuale che ha cercato di dare risposte alla cultura del suo tempo. Uno dei suoi grandi meriti è stato dimostrarsi fine conoscitore della storia della filosofia ed erede di san Tommaso ma servirsi di Kant contro una certa deriva della Scolastica. E d’altro canto padre Maréchal chiamò il Tommaso della storia per correggere l’idealismo tedesco e restituire al dinamismo trascendentale tutta la sua ampiezza». Padre Gilbert si sofferma sull’originalità del confratello per un aspetto che lo può idealmente avvicinare all’apostolato intellettuale e alla scelta missionaria di Papa Francesco: «La sua opzione per Kant rispondeva all’esigenza di una missione tipicamente gesuitica, ad extra, attenta ai margini del mondo ecclesiale. Per questo forse ancora oggi il suo pensiero è molto originale».Padre Gilbert torna con la mente alle incomprensioni che Maréchal dovette subire dopo la pubblicazione del quinto volume di Le point de départ de la métaphysique per la sua interpretazione di san Tommaso e del suo «dinamismo intellettuale», quando fu visto con sospetto dal Sant’Uffizio e da un domenicano del calibro di Réginald Garrigou-Lagrange (molto critico, seppur con discrezione, sarà anche Jacques Maritain). «Il kantismo era un bersaglio costante della Chiesa della metà del secolo precedente – spiega il professor Gilbert –. Maréchal comunque, dopo alcune correzioni al testo, riuscì a dimostrare non solo la sua fedeltà al pensiero di Tommaso ma anche la sua ortodossia. Quello che sorprende ancora oggi è che quando l’allora giovane gesuita Henri de Lubac, tra il 1926 e il 1928, si cimentò nella lettura del quinto cahier, rimase edificato dal soffio di libertà di quelle pagine e dall’ampio respiro in cui traspariva la fede autentica che animava Maréchal».
Sulla fedeltà a Tommaso («la coerenza del mio pensiero») e sull’influsso che Maréchal seppe esercitare sul “tomismo aperto” di Karl Rahner (si pensi solo al saggio Uditori della Parola) indugia un altro gesuita, il teologo tedesco Karl Heinz Neufeld: «Per quanto riguarda lo spirito di interpretazione in san Tommaso, i grandi riferimenti per Rahner sono stati sicuramente Pierre Rousselot e Joseph Maréchal. Basti pensare all’opera giovanile Spirito nel mondo. Il grande teologo di Friburgo renderà spesso omaggio al gesuita belga nei suoi scritti, fin dagli anni in cui era un giovane studente universitario, anche se non lo farà mai in modo sistematico. Già nel 1938 riconosceva il suo debito nei confronti di Maréchal. Altra sua fonte chiave di riferimento sarà il testo del confratello di Lovanio Fondamenti della teoria della conoscenza. Rahner accetta, anzi predilige il metodo trascendentale di Maréchal, che utilizza quando compone saggi propriamente teologici ma anche filosofici».
Forse la chiave ermeneutica più intima, che mostra ancora oggi l’acutezza e finezza intellettuale dello studioso belga, risiede nel suo capolavoro Études sur la psychologie des mystiques (1924).«Certamente sono studi in cui Maréchal – spiega Domenico Bosco, docente di Filosofia della religione alla Cattolica di Milano – si mostra un’autorità, un profondo conoscitore di un territorio “arduo” come la mistica e la psicologia religiosa. È tra i primi a dare una cittadinanza anche scientifica al fenomeno mistico e all’importanza del soprannaturale». Non è un caso che nell’ampia galleria dei mistici – sottolinea Bosco – un posto particolare Maréchal lo «riservi a Giovanni di Ruysbroeck», mentre Neufeld aggiunge come «è fondamentale per lui lo studio della spiritualità ignaziana dal punto di vista psicologico».Tale apertura di credito verso la mistica e il mondo abitato dai contemplativi sembra anticipare, pur con le dovute differenze del caso, gli studi sistematici di Michel de Certeau. «Credo che una delle sue grandi intuizioni – è la riflessione di Bosco – sia stata quella di aver posto il problema del metodo critico rispetto all’oggetto religioso e di aver indicato la questione dei vari ordini dei saperi nella loro autonomia (filosofia, teologia e psicologia): i metodi vanno affiancati ma non confusi. E quello che impressiona, leggendo le pagine sulla vita contemplativa, è la sua tensione al divino. Si rimane colpiti da una profonda verità: per comprendere il linguaggio dei mistici e il loro desiderio di Dio, bisogna sempre aspettare che Dio si doni. E questo Maréchal lo aveva capito».Si dimostra dunque ancora oggi pertinente quanto scrisse di Maréchal sulla Nouvelle Revue Théologique, pochi mesi dopo la morte nel 1945, il confratello gesuita Auguste Grégoire: «Se per tutta la sua vita lo studio dei mistici lo ha attirato, non è unicamente perché vi trovava un bel tema di analisi psicologiche, ma perché c’era una sorta di affinità tra la sua anima e quella dei suoi eroi».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: