martedì 18 luglio 2017
Lo scrittore morto il 19 luglio del 1957 nel ricordo del presidente emerito: «Vittima di un paradosso Odiato o celebrato, fu un protagonista della vita culturale e poi dimenticato»
Giorgio Napolitano: «Ecco il mio Malaparte»
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Intorno alla figura controversa di Curzio Malaparte si assiste a un rinnovato interesse. Di recente ha fatto scalpore l’appello sottoscritto da diversi intellettuali perché gli venisse attribuito il premio Strega, che in vita non conseguì, alla memoria. Nella sua Prato, dove nacque ed è sepolto, sarà il concittadino e scrittore Sandro Veronesi a omaggiarlo domani, nel 60° della morte, con una lectio magistralis. L’emittente Tv Prato per l’occasione ha intervistato il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, che fu amico di Malaparte. Del colloquio, pubblicato integralmente su tvprato.it, riproduciamo una sintesi.


Signor presidente Giorgio Napolitano, potrebbe raccontare come conobbe Curzio Malaparte?

«Conobbi Curzio Malaparte nel gennaio del 1944. Non avevo ancora 19 anni, ma avevo cominciato abbastanza presto a coltivare interessi per la letteratura e per il dibattito culturale, soprattutto in ambito universitario a Napoli; avevo così una grande curiosità di conoscere lo scrittore. Con alcuni colleghi studenti decidemmo di presentargli il primo numero di una rivistina culturale che avevamo iniziato a curare, si intitolava Latitudine.

Quale fu la reazione di Malaparte? «Accolse di buon grado il nostro invito. Io frequentavo Capri: era lì la mia famiglia in tempo di guerra. Così, un giorno di gennaio giunsi alla sua celebre villa nell’isola, la “Casa come me”, così la chiamava lo scrittore. Curzio fu affabilissimo nel ricevermi, molto aperto al dialogo con i giovani, e avemmo un primo scambio di idee. Rimanemmo d’accordo che io l’andassi a trovare ancora. Dopo tre mesi, in quella stessa villa, giunse a sorpresa Palmiro Togliatti, da poco sbarcato a Napoli di rientro dall’Unione Sovietica».

Iniziò così il sorprendente avvicinamento di Malaparte al Partito Comunista. Cosa seppe di quell’incontro?

«Io allora non avevo rapporti con Togliatti ma ebbi il racconto che Malaparte stesso mi fece di quell’incontro, da lui veramente esaltato. Si riconobbero in un’atmosfera, in un nutrimento di cultura che si può considerare ancora oggi all’avanguardia. Lo scrittore arrivò a chiedere la tessera del partito, ma ci fu opposizione da parte di un gruppo di intellettuali romani, in modo particolare da uno di essi, Mario Alicata, allievo di Natalino Sapegno, che si oppose al Malaparte fascista. C’era, eccome, un Malaparte fascista, c’era poi un Malaparte che aveva guadagnato, o forse si dovrebbe dire riguadagnato, una relativa libertà di giudizio, e aveva bene inteso e infine rappresentato la fatalità della sconfitta dell’Asse. In ogni caso era un grande letterato. I rapporti, a causa di queste opposizioni, finirono per interruppersi. Togliatti, però, non rinnegò mai quel suo gesto, come non rinnegò mai l’apprezzamento per Malaparte. Lo scrittore, d’altronde, nasce già rivoluzionario, forse in un senso un po’ generico, ma rompeva davvero tutti gli schemi».

Lei quando rivide Malaparte?

«Sul punto di morte. Andai alla clinica Sanatrix di Roma per rendergli l’estremo saluto. Entravo nella sua stanza e ne usciva Togliatti. Negli ultimi anni c’era stato riavvicinamento tra Malaparte e il Pci, in quanto lo scrittore collaborava con il settimanale “Vie nuove” diretto da Maria Antonietta Maciocchi. Si ricorderanno i suoi due famosi viaggi in Russia e in Cina».

Cosa vi siete detti?

«Malaparte è stato sempre un grande spavaldo. Stava morendo e lo sapeva fin da quando era stato curato e molto amorevolmente durante il viaggio in Cina. Eppure quando io entrai, mi disse: “Oh come è invecchiato Togliatti. È diventato un vecchio saggio”. Lui che stava morendo faceva la battuta su Togliatti invecchiato. Questo era il personaggio».

Si è molto discusso e si discute ancora della conversione al cattolicesimo di Malaparte. Due scrittrici molto diverse, che gli erano amiche, Oriana Fallaci e Maria Antonietta Maciocchi, l’hanno sempre ritenuta veritiera. Lei che idea si è fatto?

«A meno che non si sia stati dentro i particolari, bisogna trattare con grandissima delicatezza e rispetto le vicende conclusive di una vita, perché cosa si vive nella coscienza e negli stati d’animo, alla vigilia della morte, è probabilmente non decifrabile. Io non nego né confermo, non ho nessun elemento diverso da quelli già noti».

In questi ultimi anni assistiamo ad un rinnovato interesse intorno a Malaparte. Ma è innegabile che lo scrittore è stato vittima di un grande paradosso: celebrato, osannato, amato o odiato ma sempre protagonista assoluto per decenni della vita culturale e politica italiana, e poi quasi dimenticato dopo la morte. Lei, signor presidente, si è mai chiesto il perché?

«Ci sono le dimenticanze e poi anche le resurrezioni. Malaparte d’altronde è stato molto apprezzato e la sua opera e il suo ricordo sono stati tenuti sempre vivi in Francia. Credo anch’io che ci sia - ed è molto importante - un ritorno di attenzione per le opere e per la personalità di questo grande scrittore ».

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