sabato 2 marzo 2019
A tre mesi dalla scomparsa del filosofo cattolico che ha formato generazioni di studenti all’Università di Bologna, un ritratto inedito ne mette in luce la sapienza interiore
Malaguti, la dolcezza paziente della carità
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Di Maurizio Malaguti (1942-2018), docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Bologna, presidente del Centro Studi Bonaventuriani di Bagnoregio, membro della Académie des Sciences, Arts e Belles Lettres di Dijon – il richiamo è solo ad alcune delle sue impegnative attività culturali – si parlerà nelle sedi adatte. Ma a tre mesi esatti dalla morte è importante, per la missione educativa che egli ha svolto tutta la vita con invitta dedizione, richiamare alcune linee dell’uomo e del pensatore che hanno animato il suo percorso esistenziale e aperto orizzonti di sapienza e di bellezza ai suoi discepoli. Laureatosi in filosofia teoretica con Teodororico Moretti-Costanzi (1967) Maurizio Malaguti ne è stato assistente volontario fino al 1973; poi assistente ordinario di Filosofia della religione (1973 -1985), in seguito professore associato prima (1985 2003), straordinario poi (2003- 2006) di Ermeneutica filosofica. Fin da giovane questo discepolo di Moretti- Costanzi rivelava una maturità singolare, una luminosa fede in Cristo, il coraggio garbato ma fermo di esprimere convinzioni non sempre condivise dal maestro, come il valore del matrimonio e del perdono. Studioso dei padri della Chiesa e dei dottori medievali, in particolare di Agostino, lo pseudo Dionigi Areopagita, Bonaventura, ne attinse i criteri di una ricerca che in ambito filosofico si estese da Schopenhauer a Rosmini, da Nietzsche ad Heidegger, da Hegel a Blondel... Verità e libertà sono temi che segnano tutta la sua opera, dedicata alla metafisica classica e cristiana, rivisitata con la sensibilità di oggi. La sua ricerca filosofica ha ottenuto riconoscimenti anche da molte insigni università europee. Cifra emblematica del pensiero di Malaguti può essere lo studio Il nuovo e l’antico: in veritatem. Primo maestro dell’uomo è lo Spirito (Gv 3.8). Nella sua imprendibilità senza limiti di spazio e di tempo forma la persona nella sua singolarità unica. Nasce da una sapienza originaria, unisce ogni frammento di vita, diviene sillaba e parola di discorsi aperti a una sapienza incompiuta, un futuro irraggiungibile. Un cammino di poveri incapaci di percepire l’immenso che li contiene, ma portati da esso. «Filosofia è accogliere in libertà lo Spirito che dona rifrazioni di luce, vivifica e trasfigura ». È pensare. «Lo Spirito porta in noi le tracce di mondi lontani». Malaguti attinge dai suoi maestri il criterio di una ricerca che impegna tutto l’uomo ma è dono da accogliere, non fine da perseguire. Per Bonaventura la percezione di Dio è intuizione che comprende conoscenza intellettuale e sensibile. È un incontro totalizzante. Per Rosmini la radice dell’ intelligenza è il cuore. Il cuore – che in senso biblico comprende intelligenza e sensibilità – si oppone agli idoli del volgo, che enfatizzano le possibilità umane – potremmo vedervi il pelagianesino –, e agli idoli dei filosofi, che separano il pensiero dalla vita: potremmo vedervi lo gnosticismo. Rosmini educa a “ricordare”, cioè riportare al cuore ciò che è essenziale. Heidegger sembra suggerire vie nuove che superino lo stesso pensiero. Il predominio della conoscenza scientifica giustificherebbe l’oblio di una realtà che preceda il pensiero. Ma l’oblio non annulla la realtà. Sulla stessa linea, Moretti-Costanzi afferma la differenza tra conoscere e intelligere, vedere dentro, intuizione che va oltre le apparenze. È la distinzione tra scienza e sapienza, già affermata da Agostino e dalla scuola francescana e sottesa all’esperienza di tutti i mistici. Diremmo: di chiunque pensi in profondità, prima di tutto gli artisti, e tutti i cercatori di bellezza. Per Malaguti pensare è accedere al profon- do di sé, al fondamento – non psicologico – che costituisce la persona. È accoglienza dello Spirito. «Lo Spirito ci visita nel suo impeto e nella sua dolcezza, nel suo silenzio e nello splendore della sua unica gloria».

La vera conoscenza non attiene alla ricchezza di quanto si può sapere, ma alla «direzione del nostro sapere». Diremmo: alla sua qualità. Malaguti ha parole realisticamente vere e severe nei confronti di un sapere relativo al potere, commercializzabile e vuoto, anzi perverso: zIl sapere è come la ricchezza, può essere conquistato, o donato, o anche rapinato. C’è un sapere che dà potere e procura denaro, che viene “venduto” perché c’è chi ha interesse a “comprarlo”. Ma l’Essere- Verità non è il sovrastante potere che tutto può imporre nei confronti di chi sa nulla. È dono perfetto». Aprirsi a esso è gesto libero. La misura dell’accoglienza del dono non è importante, lo è la consapevolezza della nostra povertà esistenziale. Il dono è tanto più accolto quanto maggiore è l’esperienza della propria povertà. Malaguti la definisce, francescanamente, minorità. Contro l’umiltà di cui è modello Giovanni Battista, agisce chiunque, anche in ambito ecclesiale, «ruba conoscenza». La dolcezza di Maurizio Malaguti diviene critica forte e amara in chi agisce contro lo Spirito e presume di impossessarsene: «Si possono rubare le conoscenze non meno degli ori e si possono rapire anche le formule della scienza metafisica e teologica. Ma certamente non si può rapire lo Spirito. Nessuno può afferrare lo Spirito... contrastarne il corso né condurlo dove vuole». Il pensiero di Malaguti ha alla base la positività incandescente dello Spirito. Nulla si perde nella vita, anche ciò che sembra caduco è recuperabile. I frammenti incompiuti dell’esistenza non vanno dispersi, sono segni di un compimento futuro. La filosofia educa a vivere pensando, ad andare oltre la ripetitività di gesti quotidiani per coglierne il senso profondo. È rimando a quella che Simone Weil chiama l’attenzione. Essa è fragile, dipende da noi, che siamo poveri. Ma la percezione della povertà è ricchezza: «Siamo poveri di tutto, ma sappiamo di essere poveri e per questo possiamo volgerci, al di là delle nostre forze, al “non ancora sperato”».

La coscienza della povertà diveniva in Malaguti altruismo. Egli ha vissuto quanto ha pensato e donato nel suo lungo e appassionato magistero. Ha coniugato la passione della ricerca con una umanità generosissima, ha trasmesso a generazioni di studenti l’amore alla ricerca e insieme l’accoglienza profonda di ogni sofferenza, problema, domanda esistenziale. In un totale rispetto dell’altro. È stato un vero maestro. Umile, soccorrevole. Ha voluto essere educatore anche di studenti detenuti nel carcere di Bologna. Con penetrante finezza i colleghi dell’Università di Bologna ne ricordano le rare doti di studioso e il contributo inestimabile alla ricerca ma anche il tratto affabile e gentile. Di una affabilità, diremmo, discreta e fortissima. Maurizio Malaguti ha sintetizzato inconsapevolmente il suo cammino umano con parole dell’amato Rosmini: «La carità è paziente, sa attendere, vuole operare fino a condurre a una gioiosa fraternità. A tale scopo, Rosmini avverte che non è lecito illudersi di portare ad altri la salvezza (il che comporta l’evidente rischio della violenza ideologica o psicologica): la correzione fraterna è data dall’esempio. Chi vuole migliorare se stesso aiuta gli altri a fare altrettanto. Nel grande mare in tempesta si muovono correnti che portano il vitale ossigeno del cielo fino alle fosse più profonde e oscure. La cittadinanza celeste si rifrange così nelle città... e ci ricorda che non ci sono “patrie” quaggiù, ma “vie”».

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