giovedì 13 settembre 2018
Nove secoli fa il pensatore forniva un’idea di vita religiosa fondata sul connubio fra tradizione, filosofia e relazioni umane. La riflessione in un libro del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni
Maimonide (Cordova 1135 - Il Cairo 1204), filosofo e medico ebreo

Maimonide (Cordova 1135 - Il Cairo 1204), filosofo e medico ebreo

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La prima difficoltà di questo testo è il suo titolo (Hilkhot de’ot), con quell’intraducibile de’ot. Dalla radice che indica “conoscere” dovrebbe indicare le “conoscenze”, la capacità di conoscere e comprendere, ma nel linguaggio rabbinico indica anche i modi di pensare (le opinioni) più comuni, e poi i differenti modi di comportarsi, gli stili di vita, gli atteggiamenti, i “caratteri”. Dunque è una definizione psicologica, che nelle lingue correnti è sottoposta a una continua revisione, riferendosi a modi di agire e reagire, “aspetti del comportamento”, “temperamenti”, con complicate distinzioni tra “carattere” e quello che potrebbe essere indicato col termine “personalità”; discutendo poi su quale di questi termini si adatti meglio a caratteristiche innate rispetto a quelle sviluppate nel confronto sociale... Maimonide in tutte queste distinzioni non entra, e sembra anzi essere onnicomprensivo (e si direbbe in questo assai attuale), considerando sia origini congenite che acquisite e migliorabili, con maggiore o minore difficoltà ed esercizio. Ciò che interessa a Maimonide non è la descrizione trattatistica delle differenze, ma indirizzare le persone a un corretto equilibrio tra passioni e pulsioni opposte, e non per una generica ricerca di armonia, ma come valore religioso conforme alla Torà. In questa operazione emergono limiti e grandezza dell’autore.

Tutta l’opera di Maimonide nel Mishnè Torà è l’esposizione ordinata delle regole, come risultano dopo la discussione talmudica. Per ogni articolo del Mishnè Torà vi sono commenti che mostrano la fonte e la procedura su cui si basa l’autore per arrivare a determinate conclusioni. Di solito i commenti sono ampi. Invece le prime pagine delle regole su de’ot, al confronto, sono particolarmente scarse. Perché sicuramente si possono trovare nelle fonti, a cominciare da versetti biblici che Maimonide cita esplicitamente, varie raccomandazioni sul corretto modo di rapportarsi a certi stimoli, ma sono informazioni frammentarie e buoni consigli di saggio comportamento. Maimonide invece li raggruppa, organizza e li mette come anticipo e premessa a norme, quelle dei capitoli finali, che hanno ben altra cogenza e giustificazione scritturale. E, come se non bastasse, l’influenza esterna, non ebraica, su Maimonide, anche se non dichiarata, qui si fa ben sentire. Si tratta della filosofia aristotelica. Maimonide come filosofo non ne può prescindere, per lui è un punto essenziale di partenza che discute e dal quale spesso esplicitamente dissente (come nelle pagine sulla Provvidenza nel Morè nevukhim).

Ma qua non si parla di filosofia, è il campo della legge. Già nel preliminare Hilkhot Yesodé haTorà Maimonide presenta una descrizione del cosmo conforme alle nozioni del suo tempo, legate ai quattro elementi, ma almeno là si potrebbe dire che sta facendo non filosofia ma scienza naturale, e dà per scontate le nozioni del suo tempo. In de’ot però si rientra nella legge. Che c’entra con la Torà e la halakhà il libro secondo dell’Etica Nicomachea di Aristotele, quello che analizza le opposte attitudini e mostra la necessità del “giusto mezzo”, le virtù che mediano tra viltà e temerarietà, tra avarizia e prodigalità, tra vanità e umiltà, tra iracondia e flemma eccessiva? E che rapporti vi possono essere tra l’esposizione di Maimonide e la dottrina cristiana (anch’essa di origini aristoteliche) sui vizi capitali: superbia, avarizia, cupidigia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia (che un secolo dopo Maimonide diventeranno lo schema dei gironi infernali nella Divina Commedia)? Samuel David Luzzatto avrebbe ripetuto anche per questa occasione la benedizione al Signore di averci liberato dai condizionamenti e dalla pressione della filosofia aristotelica, che qui è ben forte.

Ma bisognerebbe vedere meglio fino a qual punto Maimonide ne è recettore passivo e non cerchi invece di elaborare la sua strada autonoma, per quanto con difficoltà. Ad esempio, se le de’ot sono i “temperamenti”, qui è assente quell’evoluzione del pensiero greco (Ippocrate) che ne considerava quattro, in relazione ai quattro elementi e ai quattro umori. Soprattutto è autonoma l’elaborazione in chiave religiosa, in cui l’esercizio delle virtù è imitazione di Dio, sulla base di fonti bibliche (soprattutto dei Proverbi) e rabbiniche. Certamente l’autonomia sua (e dell’ebraismo) la rivendica con forza quando critica i modelli ascetici dei sacerdoti cristiani. Su un substrato di classificazioni aristoteliche, che per l’autore hanno la forza della certezza scientifica di nozioni universali condivise, Maimonide elabora la sua esposizione con un difficile percorso sul filo del rasoio. Sulla stessa linea, di commistione di scienza e halakhà, Maimonide si dilunga in prescrizioni mediche, che costituiscono per un lettore di oggi una curiosa provocazione: che c’entrano questi dettagli e che valore possono avere? Dovendo valutare uno scritto medico dei nostri giorni, il criterio è quello della sua corrispondenza alle acquisizioni scientifiche più aggiornate, tenendo presente che l’evoluzione delle conoscenze potrà mettere in discussione ciò che ora è accettato come valido. Non si possono applicare questi criteri per la medicina di nove secoli fa, in buona parte guidata da osservazioni empiriche. Ma non può non stupire la serie di norme maimonidee che la medicina di oggi ha recepito e mette in primo piano tra le sue prescrizioni: l’igiene alimentare, con diete equilibrate nei componenti e nella quantità; la necessità dell’esercizio fisico; la regolarità delle evacuazioni; la pulizia del corpo. Sembra poco e ovvio, ma non ci si rende conto che questi pilastri della medicina preventiva di oggi già facevano parte di un codice religioso del dodicesimo secolo. Un dettaglio delle prescrizioni, quelle che riguardano la sfera sessuale, merita attenzione, perché rivela un aspetto del pensiero di Maimonide in contrasto già con i suoi contemporanei.

La posizione di Maimonide è coerente con quella tradizionale ebraica che considera il sesso non solo lecito in quanto destinato alla riproduzione, ma anche come necessario per l’equilibrio e la salute della persona. Solo che qui il discorso è rivolto e declinato tutto al maschile, a ciò che fa star bene l’uomo (ignorando la donna). Quando il Mishnè Torà di Maimonide cominciò a circolare sollevò elogi e critiche; tra i critici, il contemporaneo provenzale Avraham ben David di Posquières (11251198), noto con l’acronimo del suo nome, Ravad, scrisse delle annotazioni marginali estremamente critiche, che vengono pubblicate nelle edizioni comuni del Mishnè Torà. L’unica annotazione di Ravad alle Hilkhot de’ot è sul primo brano sull’attività sessuale... A un Maimonide che parla di salute maschile, Ravad ricorda che esiste anche un diritto femminile all’equilibrio. Rivedendo insieme tutto il trattato, che comincia con riflessioni sui diversi caratteri umani, continua con prescrizioni mediche, poi presenta ideali di comportamento per i sapienti, quindi passa a norme fondamentali di rapporti sociali e solidali prescritte nella Torà e discusse nelle modalità applicative dalla tradizione rabbinica, stupisce questa strana unità di cose diverse.

Cosa c’entrano le prescrizioni su quale frutta è bene mangiare e quale no col divieto di maldicenza; la sazietà e i bagni caldi con la proibizione di portare rancore; come si inserisce tutto questo in un trattato di “moralità”? In realtà il presupposto di tutta la costruzione è quello dell’unità psicofisica, e il comune denominatore di questa esposizione, nella classificazione di Maimonide, non è tanto quello della moralità quanto quello dell’equilibrio umano e della società; cosa turba l’equilibrio della persona, dai suoi modi di reagire alle sue abitudini igieniche, e gli impedisce di sottoporsi correttamente al servizio divino e che cosa comporta una persona squilibrata, o un insieme di squilibrati senza modelli (i saggi), nella compagine sociale, mettendo a rischio la sua convivenza e la sua globale disposizione al servizio superiore. L’aver messo tutto insieme, con un ordine logico nuovo ed estraneo alla tradizione rabbinica precedente (cosa da molti criticata), aver mediato tra influssi culturali esterni, nozioni scientifiche e corpus tradizionale di insegnamenti rappresenta la novità affascinante di queste pagine, che malgrado i loro limiti rappresentano un unicum di sintesi geniale, che regge ancora a distanza di secoli.

IL LIBRO

È da oggi in libreria per Giuntina il trattato di Mosè Maimonide Hilkhòt De’ot. Norme di vita morale (Pagine 108, euro 13), del quale proponiamo qui sopra una sintesi dell’introduzione firmata dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Scritto nel XII secolo fa parte del 'Mishné Torà' (il grande codice di Maimonide) propone in maniera le norme comportamentali che realizzano la via ebraica al benessere della persona, giustizia sociale, conoscenza di Dio in chiave 'halakhà' (norme ispirate alla Torà e alla saggezza della tradizione).

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