domenica 21 maggio 2023
Applaudito debutto a Genova l’opera di Brecht con la regia della giovane Elena Gigliotti. «La disperazione degli ultimi fra le immagini dei tg»
Una scena di "Madre courage e i suoi figli" prodotto dal teatro nazionale di Genova con la regia di Elena Gigliotti

Una scena di "Madre courage e i suoi figli" prodotto dal teatro nazionale di Genova con la regia di Elena Gigliotti - foto Federico Pitto

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Una lunga fila di panni stesi attraversa il palco come un sipario: sono cappotti da uomo, vestitini da bambino, maglioncini da ragazza, su ognuno dei quali è appesa la fotografia della persona che li indossava in vita. Nell’aria, intanto, si odono grida di madri e bambini in tante lingue, raffiche di mitra, esplosioni, cronache di guerra concitate dai tg, i discorsi di Churchill. Così inizia Madre Courage e i suoi figli di Bertolt Brecht, nuovissima produzione del Teatro Nazionale di Genova in scena sino a oggi al Teatro Gustavo Modena di Genova, in attesa della tournée italiana. Un lavoro dal cuore antico quanto la guerra e dal tratto contemporaneo qual è quello della 35enne regista Elena Gigliotti, formatasi presso la scuola di recitazione dello stabile genovese, cui Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova, ha deciso di affidare la regia di un’opera fondante del teatro mondiale. E questo prima dello scoppio della guerra in Ucraina, come racconta la regista ad Avvenire.

Un lavoro scritto da Brecht nel 1938 alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e che racconta una storia di conflitti senza tempo ambientata nel 1600 durante la Guerra dei Trent’anni. La trama è nota: Anna Fierling, detta Madre Courage, è una vivandiera ambulante che si sposta da un fronte all’altro di due alleanze contrapposte, cattolica e protestante, nel centro dell’Europa. Lei con la guerra ci vuole campare e fare affari con i soldati per sostenere la sua famiglia verso cui è iperprotettiva. Il solo scopo è sopravvivere e difendere i suoi figli, ma la guerra sarà più forte e più furba di lei: lo spavaldo figlio maggiore Eilif si arruolerà lasciandosi plasmare alla logica della violenza; l’ingenuo Schweirzerkas finirà per rimetterci per troppa onestà e la figlia muta Kattrin, violata da un soldato, compirà il più alto gesto di altruismo per amore della madre. Intorno un variegato mondo fatto di soldati e poveretti, di codardi e furbacchioni, undici attori in scena, tutti all’altezza, da Alfonso Postiglione, Aldo Ottobrino, Andrea Nicolini e Ivan Zerbinati a Esela Pysqyli.

La protagonista innanzitutto è determinante (dopo le prove storiche di Lina Volonghi per Luigi Squarzina, Mariangela Melato per Marco Sciaccaluga e Isa Danieli) e qui in scena abbiamo una sorprendente Simonetta Guarino, attrice di lungo corso al Teatro Archivolto di Genova nota anche come autrice e attrice di cabaret per Rai e Mediaset a partire da Zelig. Nel buio del dramma riesce a dare una luce di simpatica ironia a un personaggio duro e ambivalente come quello di Madre Coraggio. Lei parla con accento ucraino, mentre tutti i personaggi parlano ognuno con l’accento di una lingua diversa: il figlio Eilif in albanese (l’efficace Aleksandros Memetaj), il figlio Schweirzerkas (il tenero Sebastiano Bronzato) in italiano, la dolce Kattrin è l’attrice italiana di origine brasiliana Didi Garbaccio Bogin, e poi i soldati e i cittadini hanno l’accento americano, russo, arabo, tedesco, spagnolo, bosniaco, ma anche napoletano, veneto e lombardo. Come a dire che la guerra purtroppo tocca tutti, nessuno escluso. Anche la forma visiva viene movimentata dalle coreografie “emotive” di Claudia Monti mentre le musiche di Paul Dessau che accompagnavano l’opera di Brecht vengono “rinfrescate” in chiave elettronica da Matteo Domenichelli che ha anche composto brani originali che spiazzano facendo cantare la trap a Madre Courage.

Il taglio scelto dalla regista è legato all’attualità ed è volutamente “distraente” attraverso un bombardamento di stimoli: mai come ora i media fanno entrare nelle nostre case tutta la potenza della guerra, ma al tempo steso noi rischiamo l’assuefazione. Sul carretto di Madre Courage c’è un televisore su cui scorrono immagini della guerra dei Balcani e di Ucraina, di funerali di dittatori, ma anche di spot pubblicitari. La regista gioca anche con i generi televisivi, trasformando le vicende di Anna e i suoi figli in un trailer stile serie tv Netflix o in un talk show. Il nucleo però resta fedele a Brecht e alla sua ferma condanna di ogni guerra e alla difesa degli ultimi e delle vittime, mai così attuale come oggi. E il pubblico applaude caloroso. «Oggi la gente si sente del tutto irrilevante diceva Uval Noah Harari – ci spiega la regista -. Nel XX secolo le masse si sono ribellate contro lo sfruttamento. Il nostro mondo è invece quello in cui l’uomo perde giorno dopo giorno la sua centralità. Cos’altro c’è da dire sulla guerra? Ormai vediamo immagini, video, testimonianze, studiamo la storia, sappiamo tutto eppure abbiamo ancora il bisogno di elaborare questo lutto anche attraverso la parola e il teatro». Il coraggio di affrontare un monumento come “Madre coraggio” è per la giovane regista lo ha trovato dalla sua esperienza di teatro in carcere, come racconta: «Mi sono avvicinata a Brecht per la prima volta con lo spettacolo Brecht Dance nel Tetro in carcere a Marassi in cui si intrecciavano diverse poesie e interviste a detenuiti, persone con disabilità, sex workers. Abbiamo intervistato quelli che Brecht chiamerebbe gli ultimi e lì capisci concretamente cosa voleva dire».

Ma se Brecht è pessimista e sostiene che “non si impara mai nulla”, per Gigliotti un barlume di speranza c’è. «La guerra entra in automatico in noi se non decidiamo di fare qualcosa. Per questo Brecht è attuale – aggiunge - . Ho bisogno di credere che nonostante sia quello il mondo che sta per arrivare e per cui ci stanno programmando, forse questo è l’ultimo momento in cui possiamo ancora decidere che cosa fare delle nostre vite. L’idea di elaborare questo lutto, di riuscire a creare dei legami fra gli esseri umani attraverso il teatro, è un modo per sviluppare ragionamenti. Anche i giovani sono proiettati nell’idea di non poterci fare nulla. Bisogna fare di tutto per fargli capire che così non è anche attraverso il teatro»

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