sabato 10 febbraio 2024
Il maestro analizza il “fenomeno” del rapper napoletano alla luce dei fischi e gli insulti social
Il maestro Beppe Vessicchio, analizza il "fenomeno" del rapper napoletano Geolier

Il maestro Beppe Vessicchio, analizza il "fenomeno" del rapper napoletano Geolier - Ansa

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Il “caso Geolier”, il rapper di Secondigliano fischiato per aver vinto la serata delle Cover, e insultato sui social per la sua napoletanità, è un argomento che tocca profondamente il maestro Beppe Vessicchio. Prima di tutto in qualità di napoletano verace e poi da decano del Festival: oltre trent’anni, bacchetta alla mano, a ipnotizzare la platea dell’Ariston, accompagnando al trionfo la Piccola Orchestra Avion Travel (con Sentimento, 2000), Alexia ( Per dire di no, 2003), Valerio Scanu ( Per tutte le volte, 2010) e Roberto Vecchioni Chiamami ancora amore( 2012). Se avesse potuto avrebbe diretto tranquillamente anche Geolier sul quale il Maestro Vessicchio è lapidario quanto a giudizio tecnico: «Il ragazzo è “piccolo”, ha soli 23 anni, ma credetemi è musicalmente molto valido».

Ma come se li spiega i fischi dell’Ariston e gli insulti social che discriminano le radici partenopee del giovane rapper?

Fanno male, ma sono le stesse dinamiche sociali che si rintracciano allo stadio e in altri contesti pubblici da cui non è esentato certo il Festival della canzone popolare dove arrivano valangate di insulti anche pesanti. L’essere personaggio pubblico purtroppo espone a queste manifestazioni che sono inaccettabili e denotano profonda ignoranza e in alcuni casi si sconfina anche nel razzismo.

Sotto accusa il Televoto, per qualcuno “manipolato” al punto da falsare il risultato della serata delle cover e decretando la vittoria di Geolier.

Il nostro è un popolo che non va più a votare però esercita in massa il diritto al Televoto. Il campanile può aiutare a seguire un artista e a far confluire più voti ma non certo a truccarli. Napoli e la regione Campania che si riconoscono nel linguaggio e nella cifra artistica di Geolier l’hanno sicuramente premiato, ma io sono certo che il ragazzo, che sottolineo è tenero, capace e rispettosissimo, è apprezzato anche nell’ultimo paesino della Valle d’Aosta, tanto per capirci. Un musicista dell’Orchestra di Sanremo dopo le prove mi chiama e mi dice: «Maestro io non ho capito una parola del testo di Geolier, ma cavolo se è forte!». La sintesi del fenomeno è tutta qui.

Ma gli attacchi sono cominciati con l’ammissione, per la prima volta al Festival, di una canzone in lingua napoletana I p’te, tu p’me.

Innanzitutto non è la prima volta: Nino D’Angelo a Sanremo cantò in napoletano Senza giacca e cravatta e allora non fu una deroga ma la proposta venne accettata e basta. Amadeus ha dato il benestare a un esponente dei nuovi rapper napoletani, i quali parlano alla pancia della città usando un dialetto profondo che io faccio fatica a comprendere ma alla fine comprendo. Come capisco il successo di Geolier: è la conferma che esiste un codice della musica che non può rimanere fermo in maniera categorica al significato della parola. E la forza del suo messaggio nasce dall’essere interprete di un linguaggio urban che parte da Napoli e si esprime in napoletano, ma velocemente arriva anche ai ragazzi che vivono nelle altre realtà metropolitane del nostro Paese. Specialmente a quelle realtà più difficili.

Ma esiste anche un mondo giovanile e non che non accetta la vittoria del “napoletano”.

È già accaduto in passato che a Sanremo non hanno accettato la vittoria dei sardi. L’anno dopo di Marco Carta vinse Valerio Scanu e anche allora si scatenarono delle polemiche furiose sui risultati “sospetti” del Televoto. Carta addirittura fu ripescato e poi vinse al Televoto con il doppio delle preferenze rispetto al secondo classificato (Povia). Per Scanu invece ricordo anche l’esposto del Codacons sui risultati del Televoto ma finì con un nulla di fatto. Noi non consideriamo la portata dell’onda popolare, che crea il consenso e ha un potere quasi rivoluzionario. E quell’ondata popolare è di portata nazionale e non si ferma ai regionalismi e ancor meno ai particolarismi.

Resta il fatto che il Televoto, un po’ come il Var nel calcio, genera sospetto e divide il pubblico.

Ma scusate, il Televoto chi lo ha voluto? Siamo di fronte alle stesse modalità della vita democratica, non ci piace chi viene eletto, ma qualcuno però lo elegge. Così a Sanremo il Televoto lo ha chiesto la gente che vota e decide quale cantante deve vincere. Io non “televoto” e mi limito da sempre ad osservare quello che accade. Così, a volte mi stupisco del risultato, specie quando è fuori dalla logica del Televoto.

Quando è stata l’ultima volta che Sanremo l’ha stupita?

Nel 2011. Dirigevo Roberto Vecchioni e quando co n Chiamami ancora amore rientrò nella terna finadei finalisti rimasi spiazzato. Alla sfida finale arrivò con i Modà che avevano dietro tutte le radio e Emma che era forte dell’ abbrivio del talent (Amici). Eppure Roberto li sbaragliò tutti e pensai che quella sua vittoria fosse un “miracolo”. L’ondata popolare se arriva arriva e non c’è filtro culturale che possa fermarla.

Ma l’impero del Televoto, dei social e delle radio difficilmente oggi premia la qualità

Penso che bisognerebbe riconsiderare il ruolo del mercato che ha una posizione preminente e tutti e tre gli indicatori di cui si avvale diventano fondamentali. Ma ci sono dei valori che prescindono e sono i valori del tempo. Vecchioni allora non ha fatto ridere il mercato ma la sua è una canzone che resta. Lo psicologo Burrhus F. Skinner ha detto che «cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto». Questo vale anche per Geolier, il filtro del tempo valuterà il suo percorso artistico, al di là di tutto ciò che noi vogliamo attribuirgli in questo momento storico.




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