venerdì 29 settembre 2017
Il mensile di itinerari, arte e cultura di “Avvenire” compie venti anni esatti. Da Mattarella a Bassetti, gli auguri degli amici e un pensiero sul legame invincibile tra Bellezza e speranza
Luoghi dell'Infinito: 20 anni di bellezza
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In questi venti anni (il primo numero andava in edicola (il 14 ottobre 1997) “Luoghi dell’Infinito”, rivista ideata da Giovanni Gazzaneo, ha avuto per orizzonte il dialogo tra bellezza e speranza. La bellezza è il volto stesso della Creazione e insieme l’espressione più alta dell’umano creare. La speranza è lo sguardo che il Creatore volge alla sua amata creatura, e insieme lo sguardo rivolto al cielo di ogni uomo e ogni donna che non si rassegnano. Per questo abbiamo chiesto agli amici un pensiero sul legame invincibile tra Bellezza e Speranza


Sergio Mattarella - presidente della Repubblica

Egregio Direttore,
desidero esprimere a Lei e alla redazione il mio apprezzamento per il lavoro che mensilmente svolgete da venti anni con i “Luoghi dell’Infinito”. Una rivista dalla concezione originale che racconta tanti luoghi dove l’arte, la cultura, la storia e la religione si coniugano sotto il segno della bellezza. La vostra iniziativa editoriale, nata in vista del Giubileo del 2000, ha contribuito a far conoscere al pubblico i luoghi sacri del nostro Paese e del mondo intero.
“Luoghi dell’Infinito”, anche grazie al contributo di grandi firme, è anche uno spazio di dialogo e reciproca comprensione tra i popoli, le culture, le religioni. Oggi il dialogo e la conoscenza sono una necessità storica, una condizione per conquistare e mantenere la pace. Dialogo tra credenti di religioni diverse, dialogo sul destino dell’uomo tra credenti e non credenti: ecco un terreno fecondo per il futuro dell’umanità.
Rinnovo a lei, Direttore, a tutta la redazione e ai lettori i migliori auguri.


Marco Tarquinio - direttore di Avvenire

Molte voci si uniscono, nel nome della bellezza e della speranza, per dire grazie a “Luoghi dell’Infinito” sulle pagine di questo numero, speciale come ogni altro, ma alla fine un po’ di più. Ne sono lieto e orgoglioso. Da direttore e da appassionato lettore della preziosa rivista che, dal 1997, “Avvenire” dedica a “itinerari arte e cultura”. E voglio idealmente ringraziare a mia volta ognuna di queste straordinarie personalità. Grazie della stima e della condivisione per il gran lavoro che rinnova, mese dopo mese, la comune ricerca di “Luoghi” sacri a tutto ciò che di più grande, alto e profondo c’è nella nostra umanità e che unisce Cielo e Terra. Sono ringraziamenti caldi e veri, a cominciare naturalmente da quelli per Sergio Mattarella, il nostro presidente della Repubblica, e per Gualtiero Bassetti, cardinale, vescovo e padre che oggi rappresenta e serve l’intera Chiesa italiana.
Ma un grazie particolare voglio anche riservarlo a coloro che “Luoghi dell’Infinito” lo fanno e continuano a farlo amare: Giovanni Gazzaneo, primo fra tutti, e poi Edoardo Castagna, Alessandro Beltrami, Massimo Dezzani e Antonio Talarico. Assieme a loro voglio abbracciare tutti i nostri lettori che, accanto all’Editore, sono i primi garanti della unicità di questa avventura editoriale e dell’anima, che da venti anni offre specchio fedele alla più emozionante bellezza e dà nutrimento alla speranza che non delude.


Gualtiero Bassetti - cardinale, presidente della Cei

«Quale bellezza salverà il mondo?»: è una citazione polemica, nel romanzo L’idiota di Dostoevskij, la frase oggi tanto ribattuta da rischiare la banalità. Il giovane Ippolit, malato terminale che si professa ateo, incalza il principe Myškin chiedendogli conto di quella convinzione «idiota», che riposa sul suo essere cristiano, o piuttosto, insinua cinicamente, sull’essere innamorato.
Oggi più che mai, un’umanità «sazia e disperata» ci interroga sulla speranza legata alla bellezza. Nella mia vita, posso dire di aver fatto i conti, da sempre, con questa domanda che mi ha interrogato e coinvolto come uomo e come pastore.
Da Marradi, il mio paese d’origine sull’Appennino romagnolo, ho ereditato il contatto diretto, appassionato e difficile, con la stupefacente bellezza della natura e del paesaggio.
Sono arrivato poi a Firenze, la mia città d’adozione e d’elezione, che è senza dubbio una capitale di bellezza quasi unica al mondo. Lì ho conosciuto don Lorenzo Milani che, artista, incolpò la bellezza della sua conversione (come sant’Agostino!). Vescovo di luoghi bellissimi come Massa Marittima, Piombino e Arezzo, Cortona e Sansepolcro, provati da sofferenze e contraddizioni che ho cercato di affrontare con tutte le mie forze, ora, dalle alture di Perugia e con la nuova responsabilità alla Cei, continuo a pensare alla bellezza non solo come a un fondale da ammirare ma soprattutto come a un luogo di speranza: la bellezza del Risorto. Una speranza che va annunciata con gioia e carità.
Insieme alla bellezza della Terra da custodire, come ribadisce il Papa, penso alla dolcezza degli occhi che si volgono a Dio con fiducia in situazioni difficili, alla tenerezza delle famiglie provate da una vita di sacrifici, allo splendore delle mani di ogni colore che si aggrappano a chi le porta in salvo, salvando tutti noi. Quanta diffidenza in meno se dietro ogni volto si conoscesse la storia e la favola bella di cui ognuno è portatore.
Auguri a questa rivista che ripropone luoghi, climi e atmosfere insieme a tutto ciò che vi è dietro, nascosto e rivelato come nel Cantico dei Cantici. Luoghi, appunto, dell’infinito. Auguri a tutta la redazione e ai lettori: a proseguire su questa strada.


Ramin Bahrami - pianista

Dopo la fede in qualcosa di più alto, la musica è la testimonianza più bella e universale dell’unione e della fratellanza tra i popoli. Lo penso e lo sperimento quando mi metto alla tastiera per Johann Sebastian Bach: la sua musica abbraccia tutte le epoche e tutti i generi e io l’ho suonata in tutte le forme, persino in versione jazz. La bellezza e la speranza vanno d’accordo con la modernità, cosa che potrebbe sembrare difficile, viste le notizie di conflitti e violenze che quotidianamente ci arrivano. In un’epoca buia proiettata solo verso il profitto e il commercio, la musica, così come prima ancora la fede, diventa portatrice di luce. Che è luce di bellezza e di speranza. La Siria, il Medioriente con il mio Iran, ma anche la Corea del Nord e tutte le guerre dimenticate ci raccontano un mondo di conflitti. La musica deve insegnare al mondo la polifonia, per tenere insieme armonicamente una pluralità di voci. E questo avviene attraverso l’educazione delle giovani generazioni. Al posto di armi diamo ai nostri figli le partiture dei grandi compositori, i dischi dei grandi interpreti. Dalla Settima sinfonia di Beethoven impareranno la gioia di vivere, dal Clavicembalo ben temperato di Bach la purezza. Formare un uomo libero è certo una questione culturale, ma che in momenti come quelli che il mondo sta vivendo diventa ancora più cruciale. Dove si insegna l’odio, dove non si coltiva la bellezza, dove non si nutre lo spirito, là non ci può essere speranza.

Wendy Beckett - monaca, storica dell’arte

“Luoghi dell’Infinito” è uno straordinario dono al mondo che ci è stato offerto per vent’anni. La prospettiva proposta è incredibile, dal momento che copre tutto il mondo civilizzato ed esplora tutta l’altezza e la profondità del mondo naturale e, anche, la luminosa bellezza del mondo artistico. Chiunque riceva “Luoghi dell’Infinito” può ritenersi una persona privilegiata e dovrebbe valorizzare la rivista come un regalo prezioso del quale essere grato.


Ulderico Bernardi - sociologo

Vent’anni: lo spazio di una generazione nel cammino delle vite. Il tempo di un respiro nella storia dell’umanità. Il giornale dei cattolici italiani trabocca ogni giorno di eventi pressanti, ma il suo mensile coraggiosamente offre ai lettori, in splendida veste editoriale, opportunità culturali per un’accumulazione di conoscenza formativa, richiamando lo sterminato patrimonio del passato e lo stupefacente intuito del divenire. Stimoli per l’intelligenza mirati a soddisfare i bisogni essenziali dell’umanità: la Legge eterna e il pane quotidiano. Parole millenarie tradotte in opere, pensiero, segni, progetti e valori di solidarietà nel compiacimento per tutto ciò che è buono e bello in termini etici ed estetici. Il vecchio continente, e l’Italia in particolare, sono travagliati ed erosi dalle tentazioni dell’egoismo che spegne il senso di comunità. Le riflessioni proposte sulle pagine di “Luoghi dell’Infinito” riverberano tuttora lo spirito di Erasmo, il grande umanista sommamente impegnato nell’ideale di unità dell’Europa cristiana. Con l’intento di dare ai popoli e alle culture del pianeta nuove e antiche conoscenze per un confronto scambievole e vantaggioso. Arti e scienze, fede e intelligenza si vorrebbero sempre vocate all’esaltazione sapiente della mano – organum organarum in san Tommaso – per la costruzione, la realizzazione e il restauro che arricchiscono la civiltà con la contemplazione della bellezza disponibile per tutti gli uomini di buona volontà. Auguri, “Luoghi”.


Enzo Bianchi - fondatore della Comunità di Bose

La bellezza si oppone al volgare, al banale, allo scipito, al superficiale. Per questo a poco vale ripetere la tanto citata frase di Dostoevskij sulla bellezza che salverà il mondo. Oggi, in realtà, si tratta di salvare la bellezza dal “mondo”, cioè, appunto, dalla volgarità e dalla violenza, dalla barbarie e dall’ignoranza, dall’egoismo e dall’indifferenza, dal cinismo e dal disprezzo. Stiamo parlando di una bellezza che rinvia tanto all’estetica quanto all’etica, della bellezza che è un evento, non un dato predefinito, della bellezza che riguarda l’umanità dell’uomo, della bellezza che avviene all’interno di relazioni e che si manifesta come comunione, riconciliazione, pace, accoglienza, speranza, amore. Questa bellezza è una responsabilità e un compito degli uomini e delle donne, ed è costruzione che va edificata pazientemente con i frammenti del quotidiano e con i dettagli delle nostre vite. Essa richiede ascesi, che è la capacità di scegliere costantemente l’essenziale; richiede ascolto di sé e degli altri; richiede solitudine, che è la fucina dove si forgiano relazioni significative e profonde; richiede silenzio, che è il laboratorio della parola sensata, della parola che parla veramente. La bellezza di cui abbiamo bisogno è tale che, se noi la custodiamo, essa custodirà noi. Essa coincide con la qualità umana del nostro vivere e riguarda gli spazi e i tempi del quotidiano vivere. Gli spazi: la vita familiare come la vita sociale nella polis, la vita ecclesiale, la natura e l’ambiente; ma poi i tempi, che devono ritrovare la loro dimensione umana. L’epoca dei non-luoghi rischia di essere anche l’epoca del non-tempo. Del tempo non più abitato, non più vissuto, ma subìto, combattuto, rincorso, sprecato, perso. Un tempo nemico dell’uomo. Occorre ricreare le condizioni affinché gli uomini possano aver tempo di pensare e contemplare, di entrare in quella dimensione di otium che non solo non è viziosa, ma è per eccellenza virtuosa, non è causa di colpa, ma ambito in cui viene ricostruita la grammatica dell’umano. E con questa, viene recuperata la bellezza come promessa e compimento di felicità. Siamo tutti profondamente grati al lavoro paziente e perseverante di “Luoghi dell’Infinito” (e del suo appassionato ideatore e responsabile Giovanni Gazzaneo): lungo questi lunghi e non sempre facili venti anni non ha cessato di indicare a ogni lettore, nella Chiesa e oltre la Chiesa, la via della bellezza creatrice di senso e di ogni comunione.


Omar Galliani - artista

Ogni volta che inizio un disegno o un dipinto dimentico la terra e il cielo. La superficie è morbida e algida, il segno è netto e scuro. Il desiderio di iniziare l’opera è iniziato prima, durante un viaggio, in una sala d’attesa, mentre salgo o scendo una scala, ascoltando musica, correndo, nuotando, sognando. La bellezza è ancora lì, sospesa tra la gravità del suolo e il cielo. Dire dove alberghi o riposi prima del gesto creativo è difficile, dovendola dividere dall’orrore e la decadenza dei tempi che viviamo. L’arte e tutti i tentativi per raggiungere un codice estetico e morale sembrano oggi impotenti davanti a una quotidianità così opprimente e invalidante.

Cerco quindi affannosamente nell’opera la resistenza alla barbarie delle parole o delle immagini che ogni giorno percuotono e affollano la nostra terra, i nostri occhi. La speranza alimenta la bellezza dovendo cedere ogni giorno qualcosa di noi in virtù di un canto “alto” che ci allontani dall’abbrutimento delle forme e dei contenuti del mondo in cui viviamo. La Rete ci ha privato dell’attesa, che ha nella speranza della bellezza delle parole o dei gesti il suo epilogo esaltante. “Luoghi dell’Infinito” ci ha guidati in questo tempo difficile alla ricerca costante del rapporto fra la profondità della parola e la bellezza delle immagini senza perdere di vista l’uomo con le sue luci e ombre.

Stringere la bellezza al cuore e nelle mani è sempre stato il compito dell’artista senza sottrarsi al rischio e al dolore. Trarre dalla materia incongrua un’immagine o tutto ciò a cui lo spirito anela è l’inizio e il fine dell’opera. Quando guardo un capolettera di un codice miniato del Trecento in cui si intessono le lodi a Dio, dipinto sul vello di un bianco agnello, non penso più alla fatica della mano dell’esecutore ma ai suoi occhi socchiusi sull’ultimo frammento di un manto blu ottenuto da un minerale della terra: lapislazzuli! La bellezza è attorno a noi, a noi il compito di rivelarla. Mai ci fu un tempo in cui la bellezza sia stata così tanto attesa e necessaria.


Guido Oldani - poeta

I “Luoghi dell’Infinito” hanno raggiunto l’età che separa una generazione dalla successiva. Lungo le loro pagine ho fatto scorpacciate visive di arte antica e contemporanea. Per “Luoghi” ero in Terra Santa e ho ascoltato papa Wojtyla al luogo del battesimo del figlio del falegname, con l’acqua delle mani di Giovanni, entrambi con i piedi nel Giordano. In cima al Monte Nebo, ripetevo con lo sguardo quello del pontefice polacco, che guardava la terra promessa laggiù al fondo. Di notte, dormendo nella mia tendina, in solitudine nel deserto, la tempesta di acqua e sabbia, che non viene mai, mi fece smarrire ma sono qui a raccontarla. Alcune pagine per il nostro mensile sono nate anche così.
Da buon lombardo, non ho dimenticato neppure qualche saporito risotto agli incontri del comitato scientifico raccolto dall’amico Giovanni Gazzaneo. Così, eccomi sfilare il ritratto di Ulderico Bernardi dal bel colorito del suo placido nord; Gianfranco Ravasi con la sua interminabile acuta memoria; Enzo Bianchi, il priore di tutti noi; Timothy Verdon, americano “inventore” della teologia nel Rinascimento fiorentino; infine la filosofa Tina Beretta, non più con noi. La ricordo in posizione periferica nella tavolata. Sempre l’ultima a parlare, con la discrezione che hanno solo le persone dalla cultura solidissima. Ne divenni rispettoso amico e le telefonate con lei mi riempivano della bellezza dell’intelligenza. Aveva lasciato diciottenne la sua Monza e, mi diceva quasi divertita, le attribuirono le avventure mondane più singolari. Tina era andata invece ad affilare le armi della filosofia a Parigi, dove più tardi avrebbe insegnato alla Sorbona. Allieva di Guardini e Gilson, era stata anche amica di Guitton. Conosceva la miniera del IV secolo, che ha praticamente visto nascere in casa cristiana il preludio allo stato sociale, l’irripetibile dialettica tessitura di filosofia e teologia.


Lorenzo Ornaghi - politologo

In questi vent’anni “Luoghi dell’Infinito” ha educato i suoi numerosi e affezionati lettori alla speranza, oltre che all’amore per la bellezza. La speranza ci permette di intravedere con curiosità e coraggio il domani, anche quando quest’ultimo sembri oscurato da un presente incapace di oltrepassare le proprie paure, di vincere lo sconforto, l’invidia o il rancore. Se ragionevole e affidabile, la speranza si rivela la migliore amica della bellezza. Perché qualcosa di profondo e unico le lega indissolubilmente. Con l’una accanto all’altra, più chiaro risulta il senso del fluire del tempo. E anche il significato della storia si lascia più facilmente afferrare. Grazie alla speranza e grazie all’intelligenza di ciò che il trascorrere del tempo rende ancora più bello, il presente smette di sembrare ostile o indifferente a tutto quello che accadrà domani. E, diventando assai meno ingrato nei confronti del passato, riesce a essere più padrone di sé, più consapevole della propria specifica creatività dentro la storia delle vicende umane.

Sin dal suo nascere “Luoghi dell’Infinito”, per chi coltiva la speranza ed è ogni volta colto felicemente da stupore di fronte alla bellezza, ha rappresentato una particolarissima specie di enciclopedia sempre aperta. Speranza e bellezza, in effetti, non possono patire limiti artificiosi. E del resto, come argomentano non pochi scienziati autorevoli, anche il senso della bellezza è un requisito essenziale per la scoperta scientifica. Aperta, dunque, per poter continuamente scoprire. E per educare anche a quella dose di rischio che è sempre connessa a ogni ricerca e a ogni scoperta effettuate in spirito di libertà e con responsabilità.
Già nel titolo (ossimoro orgoglioso: chi pretenderebbe di “localizzare” e quasi “confinare” l’Infinito dentro un qualche spazio, se non cercando di seguire la lezione di Hans Urs von Balthasar, e quindi disseppellendo il “tutto” che sta in ogni “frammento”?) si rispecchia il canone in virtù del quale “Luoghi dell’Infinito” è entrato nel cuore dei suoi lettori. La sua indipendenza gli ha permesso di attestarsi in quel campo del pensare e dell’agire umano, di cui oggi, disorientati e incupiti da quella che sembra la montante mediocrità dei nostri giorni, lamentiamo la mancanza o rimpiangiamo la perduta esistenza. Un campo dove non predominano compromessi, partiti o fazioni di intellettuali. Dove, viceversa, contano e sono decisive le idee, con la loro impareggiabile forza nel cercare la bellezza e nell’alimentare la speranza non solo di individui bensì di grandi comunità, di un popolo intero.
Alla fine, poiché questo è il campo proprio della cultura, i vent’anni di “Luoghi dell’Infinito” davvero scandiscono un’esperienza genuinamente culturale.


Antonio Paolucci - storico dell’arte

Poche sentenze sono state usate e abusate più della frase che Fëdor Dostoevskij ha messo in bocca al principe Lev Nikolaevic Myškin, il protagonista de L’idiota: “La Bellezza salverà il mondo”.
Quella frase dovrebbe essere rovesciata di senso. Non sarà la Bellezza a salvare il mondo. Deve essere il mondo, cioè noi, a salvare la Bellezza. La Bellezza esiste indipendentemente da noi. È fatta dalle opere d’arte che le generazioni dei viventi hanno creato e dei libri che popolano le nostre biblioteche, è fatta dei tesori che la natura ha dispiegato ovunque (montagne e coste, foreste e laghi, fiumi e praterie), è fatta di paesaggi modellati dal lavoro e dalla vita degli uomini, è fatta di centri storici e di monumenti nei quali la nostra storia e il nostro destino si riflettono come in uno specchio. Tutto questo è la Bellezza che ci consola, ci scalda il cuore, ci rende almeno per un poco felici. Salvare la Bellezza significa salvare le ragioni delle emozioni, dello stupore, in definitiva della felicità.
La Bellezza continuerà a esistere anche senza di noi, anche dopo di noi. Anche nella terra desolata, abbandonata dalla civiltà degli uomini, la Bellezza vivrà. Sarà forse la Bellezza delle rovine, il fascino di una Pompei post-industriale e post-atomica. Occorrerà dunque correggere il principe Myškin e fargli dire qualcosa di profondamente diverso. Cioè questo: la Speranza, non la Bellezza, salverà il mondo e con la Speranza, se noi vorremo, sarà salvata anche la Bellezza che lo abita. Quella Bellezza che non puoi definire ma che quando la vedi, quando la godi, quando entra dentro di te, ti fa sentire felice di essere vivo, di avere occhi per guardare, un cuore per emozionarsi e memoria per ricordare.
“Luoghi dell’Infinito” in questi anni ci ha aiutato a cogliere il rapporto profondo tra bellezza e speranza, questo legame inscindibile che la fede cristiana, da due millenni, continua a generare.


Carlo Ratti - architetto, docente al Mit di Boston

Nell’epoca della specializzazione, che nel mondo contemporaneo ha generato una distanza tra scienze umanistiche e scienze “esatte”, l’architettura – o forse dovremmo dirla all’anglosassone: il mondo del design, inteso come “progettazione” – è tra le poche discipline che conservano la capacità di parlare entrambi i linguaggi: in un certo senso tenendo unite le arti di quel che era il Trivio e il Quadrivio. Al Senseable City Lab, il nostro laboratorio al Massachusetts Institute of Technology, cerchiamo di coniugare questi aspetti nello studio dell’impatto delle tecnologie digitali sull’esperienza dello spazio abitato e della città. Il fine ultimo del nostro lavoro non può essere lo sviluppo tecnologico in sé, quanto la ricerca di un nuovo rapporto armonico tra la ricerca scientifica e l’educazione umana: quella sinergia che rende una civiltà autenticamente civile. Credo che oggi quel che si chiama “cultura” non possa non ambire a ritrovare questa unitarietà.
Per questo credo che una rivista come “Luoghi dell’Infinito”, che accoglie testimonianze varie e profonde – dall’architettura alla storia, dalle arti alla letteratura – possa svolgere un ruolo di grande rilievo nel dibattito culturale italiano.


Antonio Spadaro - direttore de “La Civiltà Cattolica”

Un luogo è sempre finito, cioè incastrato in uno spazio da dove vede lo scorrere del tempo, accompagnando la storia nel suo accadere. Da quando però il Dio di cui non si può pensare il maggiore si è fatto piccolo tanto da entrare in una stalla, e ha preso immagine di uomo tanto da entrare nel rettangolo di una icona, le cose son cambiate. La storia dell’uomo ha al suo cuore un “luogo dell’infinito” per eccellenza: Betlemme. Quella grotta o mangiatoia, come possiamo immaginarla, fatta di roccia e di terra battuta, di fieno e d’altro materiale di scarto, è diventata scala per cui l’infinito si è fatto materia finita e tenera. Per questo la rivista “Luoghi dell’Infinito” vive del paradosso cristiano postulando con decisione che ci sono luoghi su questa terra che sono il “correlativo oggettivo” – direbbe Montale – dell’infinito, luoghi che lo evocano senza ingabbiarlo. Le immagini del periodico, dunque, sempre bellissime, hanno un compito impensabile: dire Dio, evocandolo senza imprigionarlo. E in questo senso è terreno di incontro ecumenico e interreligioso. Tra i commenti e le immagini c’è una sintonia apprezzabile che fa sì che l’arte non entri in competizione con la religione, ma ne diventi espressione. Perché il rischio è sempre che l’occhio sia talmente sedotto da restare incantato da ciò che vede e resti lì. La sfida di “Luoghi dell’Infinito” è invece quella di aprire prospettive di fuga per l’occhio che può intravedere l’infinito a partire da quel luogo contemplato. Sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali invitava a «contemplare vedendo il luogo» in cui si svolgevano i misteri del Vangelo. Al mistero evangelico non si addice l’astrattezza. Ma si addice la creatività. Per questo il reportage non è mai un referto, ma una scoperta. Le foto d’arte, la cura del dettaglio, la ripresa del particolare di una tela ci fanno capire che il reale è più grande della fantasia. Senza quel reale non ci sarebbe la creatività di cui “Luoghi dell’Infinito” è espressione. Ecco, sfogliare la rivista per me ha questo valore: mi aiuta a contemplare perché vedo i luoghi dove un vissuto di fede prende corpo in maniera reale e insieme gravida di immaginazione. Compone itinerari, ma è una sosta. Non si sente la fatica del viaggio scorrendo le sue pagine, ma si avverte il riposo di un occhio che trova ciò che cerca. E le riflessioni aiutano a riconoscerlo. Si sente il bisogno di una rivista così, a suo modo necessaria. E ci rassicura del fatto che l’infinito – che può sfuggire alla punta fine dell’intelletto – non sfugge alla profondità spirituale dei sensi.


Susanna Tamaro - scrittrice

La bellezza e la speranza sono le grandi assenti dal panorama contemporaneo. Non possono mai stare separate, perché l’una illumina l’altra. Ma questo significa che senza bellezza non è possibile neppure la speranza. Oggi purtroppo bruttezza e abbrutimento dominano indisturbati. Resto sempre impressionata, per esempio, dalle tendenze che la moda impone nel campo dell’abbigliamento. Una volta si faceva di tutto per presentarsi al meglio. Alla domenica, in particolare, il vestito della festa era un modo per offrirsi, per celebrare insieme. Adesso, al contrario, sembra che le persone siano appena scampate a un disastro atomico. Magliette sdrucite, pantaloni strappati, una gara a chi si presenta peggio. E tutto questo, tra l’altro, è uno strano controsenso rispetto al narcisismo dilagante. Si indossa un determinato capo perché lo decide la moda, non perché si adatta al corpo di chi lo ha comprato. Questa cecità coinvolge anche la natura, che è la prima dispensatrice di bellezza e di speranza. Rispetto all’ambiente, il fanatismo ideologico impera e la cecità davanti alle meraviglie della natura è sempre più diffusa. È un problema tremendo anche dal punto di vista educativo, come dimostra l’incapacità dei bambini di percepire con i propri sensi la meravigliosa ricchezza che la natura ci offre. Questo è il motivo per cui, quando leggo “Luoghi dell’Infinito”, mi soffermo volentieri sulle immagini che mostrano la bellezza del Creato. Un campo arato alla perfezione, per me, è un meraviglioso segnale di speranza, non meno importante dei capolavori artistici.


Roger Scruton - filosofo

Ci sono due tipi di speranza. C’è la speranza per una cosa specifica, qualcosa che hai voluto tanto ma potresti non ottenere. E c’è la speranza per nulla in particolare, la speranza “intransitiva” della persona che è in pace con se stessa e che vede tutto il mondo come un dono. In questo secondo senso puoi vivere nella speranza non aspettandoti nulla oltre questa vita. Nell’esperienza della bellezza il mondo viene rivelato come un dono e la persona che spera si attacca a questa esperienza perché gli dimostra che quello che ha è già sufficiente.


Timothy Verdon - storico dell’arte

La bellezza in tutte le forme in cui si presenta ci parla di Dio. Così il ventennale impegno di “Avvenire” di presentare, con foto e testi anche di firme prestigiose, “Luoghi dell’Infinito” implica un’ininterrotta ricerca di trascendenza, l’invito reiterato a salire dalla bellezza vista a quella invisibile, che sappiamo o almeno crediamo maggiore – più intensa, più vera – di quanto l’occhio può contemplare. La rivista ha tradotto in forma giornalistica l’universale brama di vedere ciò che l’occhio mai vide, e di udire (leggere) ciò che l’orecchio mai udì. Intitolata “Luoghi”, il mensile ha offerto e offre sguardi su una Persona: Colui attraverso il quale tutte le cose sono state fatte, Cristo. Questi venti anni hanno costituito una catechesi cristologica attraverso la cultura, forse unica nella storia recente della Chiesa in Italia. Credo che abbiano anche fatto scuola, in un modo in cui solo l’Italia può fare, insegnando a cercare l’azione dello Spirito nei processi della storia.

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