mercoledì 1 agosto 2012
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Almeno fosse stato un filosofo, un professore, un uomo di cultura, insomma un intellettuale.... No: uno zoccolaio quasi analfabeta. Ecco chi fu il primo obiettore di coscienza italiano.Lo ammette persino l’unica Storia dell’obiezione di coscienza in Italia, compilata nel 1993 da Sergio Albesano per l’editrice Santi Quaranta: «Dall’unità d’Italia fino alla fine della seconda guerra mondiale i casi di vera e propria obiezione di coscienza furono rarissimi. Se ne conoscono solo alcuni documentati, accaduti durante la prima guerra mondiale. Uno di tali obiettori fu Luigi Lué di San Colombano al Lambro (Mi), zoccolaio e padre di 6 figli»... Appunto. E fu il primo: sia per età (nacque nel 1878), sia per «carriera»; infatti il processo che lo condannò a ben 7 anni di galera (poi condonati a 30 mesi) risale al luglio 1917, in piena Grande Guerra.«La mia compagnia era a un miglio d’aria dal tragico S. Michele ed eravamo sotto degli obici dei cannoni. Il mio Capitano Gettardi, che io non lo sapevo che era esso, che da borghese offese l’Ideale di Tolstoj, una mattina vado in comando e gli dico che mi madi sotto processo, perché il soldato non sento più di farlo...». Scrive così Luigi Lué, perché aveva fatto solo la seconda elementare; a 7 anni era già orfano e l’anno dopo cominciava a lavorare: zoccolaio come il padre, come il nonno. Ma se la sintassi manca, i princìpi sono saldissimi ed eroicamente difesi: «Ho ubbidire alla legge del Dio del Vero. Ho ubbidire alla Legge degli Uomini. Sielsi di non partire a qualunque costo, Cristo dice: và che io ti assisterò. (...) E venne il Processo del 22 luglio 1917 che mi condannava ad anni sette, 7; e la fucilazione se avrei ancora le mie Idee. Alzai gli occhi al Cielo, e nell’Anima mi dissi: Solo a te mi confido o mio Dio».Una bella figura, una bel la storia – che i nipoti di Lué, alcuni dei quali ora residenti all’estero – hanno raccolto dalle testimonianze di famiglia e conservato con cura. Comprese le lettere, dalle quali si può ricostruire, per la prima volta in pubblico, la vicenda di questo coraggioso precursore. Precoce in tutto, nel lavoro ma anche nella difesa dei suoi diritti: il primo sciopero, infatti, Luigi lo organizzò a 17 anni per difendere i contadini sfruttati della campagna lodigiana. Aveva anche il physique du rôle, grazie a alla barba e ai capelli lunghi neri e ricci «alla nazarena». I suoi ideali? Presto detto: il socialismo, Tolstoj e Garibaldi, ma anche Gesù Cristo, in uno strano miscuglio di anticlericalismo (il parroco del paese sconsigliava i parrocchiani dal servirsi da lui) e religione.Lué è talmente conseguente da regalare alla sorella (che gli aveva fatto da madre) la sua parte di eredità fondiaria, perché «la terra è di Dio, il padrone è lui». Pare che, presentatosi alla leva nel 1898 con i capelli lunghi e la ferma determinazione a non vestire la divisa, lo rimandarono a casa con una scusa: erano tempi di sommovimenti sociali, meglio non eccitare il popolo... Nel 1901 e 1902 il giovane viene però richiamato per essere utilizzato dal governo nella repressione delle proteste popolari: Lué, che «sempre in mezzo coi compagni si cercava di organizzare operai e contadini nell’Ideale Socialista», non ci sta e si ribella. Si presenta in caserma solo dopo tre giorni, e perché – scrive – «mio povero Padre è in angoscia, un mio cugino Avvocato, fà sapere ad esso, che avrò dai due ai tre anni di carcere, egli si sgomenta». Per fortuna, i superiori vedendo la sua convinzione un po’ lo coprono, un po’ s’inventano delle malattie per rimandarlo a casa; comunque fino al 1914 lo zoccolaio finisce in carcere per ben 8 volte, trattenuto parecchie settimane.Nel frattempo si è sposato con Angioletta Pozzi, una sartina vicina di casa, dopo forti dubbi suoi (probabilmente non voleva coinvolgere altri nelle sue irriducibili lotte) e anche della famiglia di lei, fieramente avversa al matrimonio della figlia con uno che in paese era visto come minimo alla stregua di uno «strano». La moglie sarà poi una pedina fondamentale della sua vita, il punto fermo (anche dal punto di vista della sopravvivenza dei figli) quando il marito finisce in carcere per le sue battaglie; e Angioletta va sempre a riprenderselo, supplicando gendarmi e giudici perché rilascino quel suo uomo così cocciuto. Ma una volta anche lei è tanto esasperata che prende a bastonate il quadro di Tolstoj appeso in casa da Luigi, insieme ai ritratti di Giacomo Matteotti e di Cristo coronato di spine.I figli intanto nascono numerosi (10, di cui 7 sopravvissuti) e i loro nomi stessi testimoniano dell’ideale cristiano-libertario del padre: prima Bruno Mario e Giordano Bruno, poi Aurora e Verina, ma anche Vera Fede e Maddalena Crocifissa e Angelo Cristiano... In una lettera dal carcere Lué esorta la moglie ad avere «fiducia nell’Eterno Spirito di Tolstoj e di Gesù»; tra le sue immagini è stato ritrovato un Cristo coronato di spine che abbraccia l’autore di Guerra e pace. Ingenuo? Può darsi. Ma granitico nella sua convinzione, tanto da sopportare qualunque sacrificio. La prova più dura arriva con la Grande Guerra: Luigi ha già 37 anni e 6 figli, l’ultimo nato nel 1914... «Il tormento dei bambini, della moglie, del padre, mi trattenero dal rifiuto, in considerazione anche, che io ero anche nella Territoriale, e con cuore acerbato mi consegnai». Dopo Caporetto però anche la sua classe deve andare al fronte, e Lué decide di nascondersi al suo paese. Scoperto e arrestato, nonostante fosse difeso da Antonio Greppi – futuro primo sindaco di Milano dopo la Liberazione – viene condannato prima alla fucilazione (al prete venuto a confessarlo ribatte a testa alta: «Vada piuttosto dal plotone d’esecuzione, sono quelli che hanno bisogno di perdono») e poi a 7 anni.Non è finita: in prigione tentano di fargli indossare la divisa. «Appena posto sul stanzone, io mi gettai a terra; incrociai gambe e braccia: e con voce forte e calma Evocai i Spiriti più alti e santi della storia da Cristo a Confucio, da Buddha a Veda; da Vittor Ugo a Manzoni a Tolstoj, mi dovete fare a pessi per vestire la divisa ubbudisco al Dio della Verità. Attorno vera un centinaio di soldati alquanto comossi». Ottiene però anche qualche soddisfazione: «Un mese dopo, fui chiamato da un Capitano (Giudice istruttore) dall’aspetto duro e m’interroga per quale motivo io rifiuto di vestire la divisa e andare al Fronte, e portare le armi. Rispondo calmo e sereno; Sig. Capitano, io rifiuto di portare le armi; prima per ubbidire alla Legge di Dio; secondariamente per protestare contro gli uomini, ho incoscienti, ho malvagi che scrivono e dicono, che Leone Tolstoi è un pazzo e pur anch’io che ne seguo il suo insegnamento. Si alzò dalla sedia, mi venne incontro, mi stese la mano, mi strise la mia, mi sorrise e mi disse: Luè Luè, le Idee del Tolstoj sono le più nobilissime che esistono su questa terra».Luigi torna a casa per amnistia nel 1919, dopo 30 mesi trascorsi tra Savona e Poggioreale; è magrissimo ma per nulla pentito; anche durante il ventennio fascista non manca di distinguersi per l’indipendenza di giudizio. Per esempio allo slogan ducesco «Meglio un giorno da leone che cento da pecora», Luigi risponde: «Gli faccio vedere io se sono una pecora!». Il suo coraggio è premiato quando, davanti alla sezione fascista, dichiara «Io sono cristiano-tolstoiano» e se la cava perché – sentenzia il capo – «queste idee non sono dannose per la nostra causa». D’altra parte non ha paura a cambiare le sue idee filosovietiche non appena, con il patto Ribbentrop-Molotov, Stalin si allea con Hitler.Lué muore il 20 settembre 1954, «dispiacente per la sofferenza e i dolori arrecati a i miei cari, ma l’anima e la coscienza tranquilla di aver fatto il mio Dovere». Pochi anni prima la moglie gli aveva bruciato le lettere ricevute addirittura da Gandhi, col quale corrispondeva facendosi gli scritti tradurre in inglese: lo zoccolaio della Bassa milanese e il profeta scalzo della nonviolenza.
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