martedì 18 febbraio 2020
Il titolo iridato vinto dall’azzurra Wierer è l’ennesimo successo di una carriera costruita tra le mura di casa, dalla nonna tifosa al papà orgoglioso: «Anche da bambina non voleva mai perdere»
L’azzurra Dorothea Wierer, 29 anni, ha vinto l’oro nella gara a inseguimento ai Mondiali italiani di Anterselva

L’azzurra Dorothea Wierer, 29 anni, ha vinto l’oro nella gara a inseguimento ai Mondiali italiani di Anterselva

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Se per commentare l’oro iridato di Dorothea Wierer nell’inseguimento di Anterselva si è scomodato su Twitter anche il Premier Giuseppe Conte, che sabato sarà in Val Pusteria, significa che il biathlon sta davvero entrando nel cuore degli italiani. Era ora, perché da un anno a questa parte tra Mondiali e Coppa del mondo il tricolore sventola in alto nel regno dello scia e spara. A facilitarne la diffusione lungo lo stivale sta pensando la più brava con gli sci ai piedi e la carabina sulle spalle, la bellissima Dorothea da Rasun, profetessa in patria nello sbancare l’arena altoatesina e mandare in visibilio ventimila tifosi paganti. Dieci anni fa, quando apparve sulla scena, aveva poca voglia di allenarsi e tanta di fare festa. Pian piano, «a furia di scoppole», come ricorda il dt azzurro Fabrizio Curtaz, Wierer ha capito che se si fosse impegnata i risultati sarebbero giunti. La medaglia in staffetta femminile ai Mondiali 2013 è stata la prima della serie, i due bronzi olimpici in staffetta mista a Soci e Pyeongchang hanno gasato l’ambiente, ma è stato l’argento nell’inseguimento al Mondiale 2016 a consacrare Dorothea sul piano individuale. Da quel momento l’azzurra, oltre che bella, è stata considerata anche brava.

Così, se nel passato remoto si parlava di lei per il rifiuto a posare per la versione russa di Playboy («I valori vengono prima di tutto»), negli anni recenti Wierer è diventata una vera campionessa, il sostantivo con cui la Federazione internazionale l’ha immortalata in copertina sul suo magazine. Nel marzo 2019 aveva vinto la Mass Start al Mondiale di Östersund, nel dì in cui si era tinto d’oro pure il compaesano Dominik Windisch, mentre otto giorni più tardi aveva sollevato al cielo di Oslo la sfera di cristallo. Si era parlato di lei per una settimana, poi il nulla. Silenzio italiano e popolarità estera, dalla quale Doro non si è fatta travolgere, gestendo presenze agli eventi mondani e accordi con gli sponsor personali: dalla nota compagnia di bevande energetiche - adesso compare nelle interviste con una lattina in mano - fino all’azienda austriaca che le ha messo a di- sposizione un elicottero, usato negli spostamenti da casa (abita a Castello di Fiemme col marito Stefano, tecnico di sci di fondo) ai luoghi di allenamento, principalmente Livigno e Anterselva. Quando gareggia si muove invece su un’auto color verde, cadeau dello sponsor della Fisi.

Figlia di un cuoco, eppure non amante della cucina. È questo il paradosso della pargola mediana di papà Alfred («Era vivace sin da piccola, quando giocava a calcio con i maschi, non amando mai perdere ») e mamma Irmgard, titolari di una tavola calda a Brunico. Prima di Dorothea, classe 1990, sono nati Robert, falegname, e Caroline, che l’ha resa zia due volte: «Doro ha una grinta pazzesca e una grande voglia di fare». Dopo sono arrivati Richard, fabbro, e la 18enne Magdalena, studentessa al liceo sportivo di Malles, lo stesso frequentato dalla campionessa del mondo. Anche la sorella minore è una biatleta: «Ho cominciato seguendo le sue orme, siamo molto legate, ma non mi dà consigli, anzi mi dice che devo imparare da sola». La famiglia è al centro del suo mondo, tanto che domenica ha cenato a casa della più grande tifosa, nonna Burgl di 86 anni. Nel tempo libero Dorothea adora andare in bicicletta, così si può anche allenare, e a casa non parla mai di sport. Il marito è la sua chioccia, colui che è riuscita a calmarla, facendola entrare in una nuova dimensione: «Condividere la vita con Dorothea è la cosa più bella che poteva capitarmi. Siamo vicini anche nella lontananza e cerchiamo di ritagliarci i nostri momenti pur essendo via di casa», racconta lui, mentre Doro è sintetica: «Senza mio marito non ce l’avrei fatta».

Più che parlare preferisce i fatti, così ha sfoggiato il pettorale giallo come i tacchi a spillo a una festa, lei che ama truccarsi e vestirsi alla moda. «Il simbolo della leadership - spiega l’iridata, arrotondando la erre - mi ha dato lo stimolo in più, al resto ha pensato la forma» . Si, perché se nella Sprint si erano fatti sentire gli strascichi per i festeggiamenti del bronzo in staffetta mista («Ero andata a dormire a mezzanotte e non mi sentivo bene sulle gambe» ), nell’inseguimento la musica era diversa: «Le sensazioni erano ottime e durante la gara ho pensato solo a divertirmi». La cartina di tornasole della sua crescita è stato l’ultimo poligono: dopo l’errore iniziale non è andata in tilt, ma si è presa il giusto tempo per colpire i restanti quattro bersagli. «Un paio d’anni fa avrei sparato a raffica e magari avrei sbagliato buttando al vento la vittoria, adesso sono più riflessiva». Facile a dirsi, difficile a farsi: «È tutto un gioco psicologico, perché quando sei in piazzola non puoi allenare le emozioni». Ha gestito alla grande una situazione difficile e adesso può godersi «la vittoria più bella della carriera, un oro mondiale che vale quanto uno olimpico, perché raccolto in casa in una rassegna dove le aspettative su di me erano elevate ». Dorothea si è tolta il grande peso, ma il Mondiale continua: oggi l’individuale, giovedì e sabato le staffette, infine la gara in linea. Poi occorrerà difendere la sfera di cristallo nelle ultime tre tappe di Coppa, quindi in primavera la decisione sul futuro. Ha detto che c’è una vita dopo il biathlon e desidera diventare mamma, ma i soldi degli sponsor e lo sfizio a cinque cerchi potrebbero incentivarla a tirare avanti altre due stagioni. L’appetito vien vincendo.

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