martedì 26 aprile 2011
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Ci risiamo. Ancora una volta la monarchia ereditaria britannica si accinge a offrire agli occhi del mondo nozze fra le più spettacolari. Il 29 aprile tocca al principe William e alla commoner Catherine Middleton. Nella City, blindatissima per l’arrivo di vip e teste coronate, se ne parla ovunque, e i tabloid popolari aggiungono pettegolezzi alle informazioni ufficiali di Saint James Palace. In ogni caso, incurante del proverbio «né di Venere né di Marte ci si sposa né si parte», la giovane Kate, trasformando il giorno del suo onomastico in Bank Holiday, accompagnata dal padre alla guida di una Rolls-Royce, arriverà all’abbazia di Westminster di venerdì, per un matrimonio che è un evento mediatico. Con la diretta tv che terrà incollati allo schermo milioni di telespettatori, e persino la possibilità di scaricare in tempo reale da Itunes lo "yes i do" della coppia, ennesima diavoleria, reclamizzata tra gli oggetti più kitsch. Per carità …, non ci mettiamo anche noi a fare gossip. Non ci interessa ricamare sulla cerimonia o partecipare al gioco delle presenze o assenze annunciate (compreso qualche monarca che di questi tempi ha problemi seri in casa), piuttosto val la pena di fermarsi sul valore storico, artistico, simbolico, del luogo, a pochi passi dal Big Ben, dove i due giovani saranno uniti in matrimonio dall’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, con il vescovo di Londra Richard Chartres e il decano di Westminster John Hall. Un’abbazia quella di Westminster, fondata nell’XI secolo, là dove già esisteva un convento benedettino dedicato a San Pietro, a opera di Edoardo il Confessore, che lì si fece seppellire, saldando l’alleanza fra il trono e l’altare. Sotto il regno di Enrico III, nel XIII secolo, la posa della prima pietra dell’edificio attuale (dopo che il precedente era stato distrutto da un incendio) a rivaleggiare con il gotico delle cattedrali francesi. Cent’anni dopo, la conclusione della grandissima navata, ma occorrerà attendere il XVIII secolo per il completamento delle famose torri. Nel frattempo la storia dell’abbazia aveva assunto una svolta dopo la scisma di Enrico VIII Tudor, la rottura dei legami con Roma, la sottomissione del clero inglese alla Corona. Così via via il monastero, rifondato, divenne il vero "santuario" dell’anglicanesimo. Insomma una storia che si salda a quella delle famiglie regnanti d’Inghilterra, oltre a quella di tanti illustri che qui hanno trovato una tomba (tradizione iniziata con Edoardo il Confessore), o il ricordo di un cenotafio, di una statua, di una lapide. Non solo sovrani. Ma anche poeti,scrittori, scienziati. Vi riposano ad esempio le spoglie di Geoffry Chaucer, Dickens, Kipling, Thomas Hardy e tanti altri. E ci sono le tombe di Newton e Darwin, Lord Kelvin, David Livingstone. Non sepolti ma ricordati John Milton, Keats e Shelley, William Blake, Eliot, Hopkins e Samuel Butler, Walter Scott, Ruskin, Shakespeare, Henry James, Lord Byron, e via dicendo. Un capolavoro architettonico che non esaurisce il suo significato nei portali, nelle navate, nelle cappelle, nelle vetrate e neppure nel pantheon delle celebrità appena evocate, ma lo dilata quando diventa scenario delle più importanti cerimonie, liete o tristi, che scandiscono la vita della monarchia. Immagini colte nel ’700 dalla potenza di un Canaletto o nell’ ’800 di un Turner, dal ’900 da quella delle telecamere. È con l’incoronazione di Giorgio VI, nel 1937, che vi fanno la loro comparsa, con l’esito di un film per le sale; ma è nel ’53, con quella di Elisabetta II, che portano in televisione una ventisettenne seduta su un trono circondata dai "potenti" di tutto il mondo. E si potrebbe continuare sino ai funerali di Lady Diana, nel ’97, quando l’abbazia ha fatto da cornice a sequenze filmate tra le più viste della storia. Quattordici anni dopo il figlio della principessa del Galles torna sotto i riflettori nella stessa chiesa per sposarsi sotto le stesse volte dove non risuoneranno le note di Elton John, ma quelle del coro dell’Abbazia e della Chapel Royal, alle quali seguiranno quelle delle fanfare della Cavalleria reale e la London Chamber Orchestra. Che dire? Auguri. Magari associandosi alla preghiera diffusa dalla Chiesa cattolica d’Inghilterra e del Galles, che chiede a Dio di accordare agli sposi la forza di servirlo e di servire il loro Paese e il Commonwealth, con onestà e fedeltà. Last but not least, il polverone sul matrimonio ha risollevato anche la necessità di spazzar via parti anacronistiche di quell’Act of Settlement, promulgato oltre tre secoli fa, con le regole della successione al trono. A tutt’oggi vieta ai cattolici di accedervi o di rimanervi ad esempio dopo una conversione, vieta al sovrano di sposare una persona di religione cattolica, pena la rinuncia alla corona. Una discriminazione (di religione) che si accompagna a quella (di sesso) tra figlie femmine e figli maschi (con precedenza sullo scettro a discapito delle primogenite). Per modificarla serve l’assenso dei governi membri del Commonwealth ancor sottoposti alla Corona inglese, come per esempio Canada, Australia, Nuova Zelanda. I tempi sembravano maturi per affrontare la questione, ma ieri la Chiesa d’Inghilterra ha posto un veto al tentativo del governo britannico di riformare la legge di successione. Alla riforma teneva molto il vicepremier Nick Clegg. Ma il progetto è stato affossato dall’obiezione della Chiesa anglicana che ha ricordato come il sovrano oltre ad essere capo dello Stato lo è anche della Chiesa. Un eventuale figlio nato dall’unione con un cattolico potrebbe essere cresciuto seguendo i dettami di Roma, rendendolo incompatibile con il secondo ruolo, seppur ormai solo formale. In quel caso il capo della Chiesa d’Inghilterra cattolico risponderebbe a un leader sovrano straniero, nella fattispecie il Papa.
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