martedì 13 febbraio 2024
Ad aprile cade il duecentenario della morte dello scrittore. Lo racconta in un saggio Fabrizio Pagni: le opere, i canti e l'amore per l’Italia e per la vita di cui apprezzava l’essenza e le emozioni
George Byron ritratto nel 1813 da Richard Westall

George Byron ritratto nel 1813 da Richard Westall - WikiCommons

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George Gordon Byron, di cui tra pochi mesi ricorre il secondo centenario della morte, avvenuta nell’aprile del 1824, è il più poliedrico dei tre grandi poeti inglesi romantici, John Keats e Percy Bysshe Shelley. Come per il loro maestro Coleridge, la loro poesia si estende dalla lirica alla narrazione e al dramma. Ma rispetto a tutti e tre, Byron è poeta anche comico. Accanto alla tragedia cupa e tenebrosa, come Manfred, alle liriche d’amore e di sogno straordinarie è un autore di due capolavori non solo intonati anche al comico, quali Don Juan e Beppo, ma ufficialmente di genere eroicomico, che egli letteralmente inventò nella poesia inglese, ispirandosi esplicitamente e accanitamente alle ottave del genere degli italiani Ariosto e Pulci.

In opere come Il buio e Il sogno la natura metafisica della poesia byroniana raggiunge i vertici di espressività, Beppo è un poema il cui titolo indica uno dei personaggi, e il cui sottotitolo è ancora più esplicito: Una storia veneziana. Da Coleridge con la sua Ballata del vecchio marinaio i poeti romantici inglesi fondono nella lirica una potente dimensione narrativa, che Byron accentua, dai suoi poemi, da quelli che saranno i “racconti turchi”, ai capolavori eroicomici Beppo, poi Don Juan, Il pellegrinaggio del giovane Harold. Manfred che l’autore definì un “poema drammatico”, e “metafisico”, è dramma che attinge con potenza al teatro elisabettiano.

Ma se la sua opera è tra le più importanti della poesia di lingua inglese e non solo, la sua vita si rivela un’esperienza di avventura e di fuoco. A partire dalle sue tumultuose relazioni in madrepatria, al suo Grand Tour, giovanissimo, in Oriente, navigando verso Grecia e Turchia. Poi, al ritorno in patria, lo scandalo per la sua relazione con la sorellastra Augusta, vita spericolata, fino al suo abbandono dell’Inghilterra.

Sdegnato, lui Lord Byron, cercò e trovò nuova vita a Venezia e poi, per scelta appassionata, partì per guidare la resistenza dei greci contro gli invasori turchi. E la sua tragica morte avvenuta nel 1824 a Missolungi, all’età di soli 36 anni, molto probabilmente a causa di una meningite, rese Byron un martire della libertà, oltre che il famoso nuotatore, il grande poeta, il licenzioso amatore.

A questa vita è dedicato un libro molto bello, Vita, amori e avventure di Lord Byron (Odoya, pagine 204, euro 16,00), scritto con energia e passione e accuratezza da Fabrizio Pagni, poeta, saggista, che all’attività letteraria ha sempre abbinato quella sportiva. Pagni scrive la biografia che vorremmo, che cioè pare tale ma in realtà è un saggio sull’autore indagato, precisa documentazione storica e sapiente selezione, racconto ricco e denso: il risultato è una vita che diviene appunto racconto.

E questo racconto di Byron rivela a fine lettura come Pagni, che conosce la realtà della poesia, ha scritto senza darne l’impressione un saggio su uno dei grandi poeti di sempre. Una storia in cui la poesia di Byron e la sua vita generano un altro libro, autonomo e affascinante. Il 27 maggio 1816 due giovani inglesi si incontrano in un albergo di Ginevra. Sono Byron e Shelley, poeti, il primo già noto, il secondo già famoso. Si conoscono e si leggono, astri nascenti della poesia romantica. Ma non si sono mai incontrati in madrepatria.

Ora accade, scoprono che tutti e due sono lì di passaggio per l’Italia, scelta come nuova vita. Si autoesiliano dall’Inghilterra. Inizia così la vita italiana dei due poeti, a Lerici, poi nel pisano per Shelley e a Venezia per Byron. Il libro di Pagni non inizia con questo celebre incontro, ma, meritevolmente, con il primo viaggio di Byron, il Grand Tour, il pellegrinaggio in Oriente, iniziato nel 1809 e concluso due anni dopo.

Poi la vita fremente in Inghilterra, il matrimonio e la separazione, gli scandali, vita sregolata e relazione con la sorellastra Augusta (per cui scriverà splendide stanze), e infine il volontario esilio in Italia, la scoperta di Venezia: «L’isola più verde della mia fantasia ». Trovò la città al culmine dei suoi sogni, come l’Oriente: Venezia lo incantò all’istante, definitivamente.

Centrale nel saggio-racconto di Pagni la città di cui il nobile poeta inglese divenne uno dei massimi cantori, centrale come lo è un mito o l’astro più luminoso in una costellazione, ma accanto appare un mondo, turco, greco, ravennate, di costa tra Liguria e Toscana, nuotate (una lapide, a Portovenere, lo ricorda come “grande nuotatore e poeta”), amori. In questo fluente racconto Pagni coglie la magia e il mistero di Byron. La sua grazia drammatica e segreta. La sua anima.

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