domenica 8 settembre 2019
Ama i classici greci e latini ma tiene lo sguardo attento sul presente: «Nutro forti timori riguardo alla Brexit. Il settarismo in Irlanda del Nord è così forte che abbiamo ancora i "muri della pace"»
Il poeta Michael Longley

Il poeta Michael Longley

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«Pensa ai bambini / nascosti dietro le bare. / Guarda in faccia il dolore. / Quei trent’anni chiamali / gli Anni del Disonore». Bastano pochi versi, a un grande poeta come Michael Longley, per descrivere lo strazio della guerra che dilaniò il suo paese per decenni. La breve elegia Troubles fa parte di Angel Hill, la sua undicesima raccolta poetica, appena uscita in edizione italiana nella traduzione di Paolo Febbraro (Elliot. Pagine 192. Euro 19,50). Il dramma dell’Irlanda del Nord gli ha ispirato anche un’altra struggente poesia contenuta nella stessa raccolta, Dusty Bluebells, dedicata a Patrick Rooney, il ragazzino di nove anni che venne ucciso dalla polizia britannica nei primi giorni del conflitto. L’immaginario e l’arte di quello che oggi è considerato il più grande poeta irlandese vivente si nutrono da sempre del tema della guerra. Non uno strumento per schierarsi o esprimere giudizi, bensì un terreno di continua esplorazione letteraria, un modo per trascendere la ragione e "annotare le proprie incertezze".

In questa raccolta, uscita nel suo paese due anni fa e vincitrice del PEN Pinter Prize, il sangue versato in Irlanda si riflette nell’orrore che ha segnato l’inizio del Novecento: la Prima guerra mondiale. Un massacro al quale il padre del poeta aveva preso parte, tornando dalle trincee vivo ma irrimediabilmente segnato nel corpo e nella mente. Poco più di venti anni fa Longley si recò in Francia a visitare i campi di battaglia e i cimiteri della Grande Guerra. Era ben consapevole di quanto poco potesse la poesia di fronte alla guerra, ma sentì ugualmente il bisogno di «vegliare sulle lapidi» e costruire elegie su quel massacro, per elaborare i lutti e farsi carico del peso collettivo della memoria. Lo fece ispirandosi a Edward Thomas, il poeta di guerra britannico che morì nel 1917 nella battaglia di Arras, nei pressi di Calais. In I sonetti - un’altra delle poesie contenute in questa raccolta - il poeta-soldato si salva perché tiene i versi di Shakespeare nel taschino e il libro blocca il proiettile a un passo dal suo cuore.

Angel Hill è un cimitero delle Highlands scozzesi dove riposano i caduti della Prima guerra mondiale ma è anche un paesaggio dell’anima per Longley, che ha appena compiuto ottant’anni. Nato a Belfast da genitori inglesi che si trasferirono in Irlanda del Nord poco prima della sua nascita, il suo nome è spesso associato a quello di Seamus Heaney. I due grandi poeti sono stati legati da una grande amicizia e dopo la morte di Heaney è toccato proprio a Longley raccogliere l’eredità del premio Nobel. Entrambi sono del 1939 - quando il mondo era sull’orlo della Seconda guerra mondiale - e hanno cercato di dare un senso poetico al conflitto in Irlanda del Nord. Ma l’opera di Longley risente assai meno dell’eredità gaelica mentre assai più profonda è in lui l’impronta della poesia greca e latina.

Le memorie contrapposte della Seconda guerra mondiale hanno segnato anche il conflitto in Irlanda del Nord?

Certamente, nella misura in cui hanno contribuito alle divisioni all’interno dell’Irlanda del Nord e tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda. I nazionalisti di entrambe le parti dell’isola hanno rimosso il ruolo dell’Irlanda nazionalista combattendo la Germania, mentre gli unionisti hanno usato a lungo il proprio ruolo nella guerra per enfatizzare la loro lealtà al Regno Unito. Ma paradossalmente, modi più articolati per ricordare la Prima guerra mondiale hanno contribuito al processo di pace irlandese, che rappresenta la nostra forma più alta di “storia condivisa”. Mio padre combatté nella Grande guerra e io ho composto molte poesie ispirate alla sua esperienza anche per cercare di interpretare i Troubles irlandesi. Penso che la Prima guerra mondiale rappresenti una ferita dalla quale tutta l’Europa sta ancora cercando di riprendersi.

Lei ha affermato che l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 la fece sentire per la prima volta sia britannico che irlandese. Teme che le conseguenze della Brexit possano riaccendere l’odio e il settarismo in Irlanda del Nord?

Ho molti timori nei confronti della Brexit. Finora nel mio paese il settarismo è stato tenuto sotto controllo, ma non è mai svanito del tutto, basti pensare che a Belfast abbiamo ancora i cosiddetti “muri della pace”. Temo che la Brexit costituisca una minaccia alla nostra fragile pace, al pari dei politici nazionalisti e unionisti che negli ultimi due anni si sono rifiutati di lavorare insieme in un governo condiviso.

Oltre vent’anni dopo, crede che quell’accordo abbia soddisfatto le aspettative di pace?

Molte persone giuste continuano a lavorare duramente per la riconciliazione e il fronte moderato si sta lentamente allargando. Ma per costruire una vera pace ci vorranno generazioni e di certo non possiamo permetterci terribili battute d’arresto come la Brexit.

La questione della lingua è uno dei nodi centrali dello stallo politico del suo paese. Cosa pensa dei poeti che rimano in irlandese e in inglese?

Sono profondamente invidioso dei miei colleghi bilingue, perché credo che abbiano accesso a un retroterra culturale e a fonti di ispirazione per me inaccessibili. La scuola che ho frequentato in Irlanda del Nord non mi offrì l’opportunità di imparare l’irlandese, poiché era considerato un simbolo del nazionalismo. Forse il mio interesse nella traduzione della poesia greca e latina è un modo per compensare questa mancanza linguistica. Recentemente ho tradotto di nuovo dal-l’Iliade, che considero il più grande poema di guerra mai scritto in Europa. Nel nostro paese siamo molto fortunati ad avere due lingue ma di fatto, oggi la maggior parte dei poeti irlandesi scrive in inglese.

Cosa significa essere irlandesi, dal suo punto di vista?

L’Irlanda mi ha fornito la maggior parte delle informazioni e delle immagini attraverso le quali le mie poesie cercano di interpretare il mondo che ci circonda. I due luoghi più importanti, per me, sono la città di Belfast e la contea di Mayo, sulla costa occidentale dell’isola. Circa un terzo delle poesie che ho scritto sono ambientate in una piccola area sperduta chiamata Carrigskeewaun. Una poesia intitolata Cinquant’anni e inclusa nella raccolta Angel Hill riassume ciò che quel luogo ha rappresentato per me in quel lasso di tempo. I suoi uccelli, i suoi animali, le sue piante e il «filo ventoso» dell’Atlantico.

Lei è un profondo estimatore dei classici latini ma anche di alcuni poeti italiani contemporanei come Pavese e Pascoli. Qual è il suo rapporto con l’Italia?

È un po’ di tempo che non ci torno più ma il borgo di Cardoso, in Garfagnana, è un altro luogo molto importante per la mia opera. Forse il mio amore per poeti latini come Properzio e Catullo deriva da alcune delle sensazioni che ho provato per quel paesaggio. Sono stato là per parecchi anni, ospite di amici, e ho scritto molte poesie ispirate soprattutto alla sua flora. In tempi più recenti mi sono invece allietato davanti alle dolci colline e alle orchidee selvatiche del Mugello.

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