sabato 31 marzo 2012
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​Una volta era “solo” Sebastian Coe, un mito del mezzofondo. Adesso è Lord Coe, l’uomo che sta sul ponte di comando di Londra 2012. Le Olimpiadi, il suo regno, il suo vanto. Vissute da atleta prima, percorrendo strade lastricate d’oro (due primi posti nel 1500, a Mosca e Los Angeles). E ora, dall’altra parte della barricata, leader del comitato organizzatore dei Giochi al via tra meno di quattro mesi.Lord Coe, ieri la delegazione del Cio dopo tre giorni di ispezioni, ha promosso la macchina organizzativa a pieni voti...«I lavori sono praticamente ultimati, ma resta altro: fare in modo che agli atleti non manchi nulla. Portate a termine le strutture, bisogna assicurarsi che tutto funzioni alla perfezione».Guarda ancora alle Olimpiadi con gli occhi dell’atleta?«Un po’, forse. Ma è normale che si pensi ai protagonisti dell’evento. In fin dei conti, sono le gare che contano, quindi gli atleti: fare in modo che possano vivere la competizione al meglio deve essere una priorità».Una questione di esperienza personale, visto che ha vissuto in prima persona Olimpiadi del boicottaggio?«No, quella è una questione differente, che non investe l’organizzazione ma altri temi, come la politica».Come si fa a organizzare un evento simile?«Tre parole soltanto: impegno, lavoro, dedizione». Quale dovrà essere la reale essenza dell’Olimpiade di Londra?«Il multiculturalismo, che poi è una delle grandi caratteristiche della capitale inglese. Londra è città multirazziale per eccellenza, una prerogativa che vogliamo tradurre in questo evento: tutti gli atleti, da qualunque zona del mondo provengano, dovranno sentirsi uguali». Sembra stia diventando una regola: solo le metropoli possono ospitare eventi di questo livello?«Probabilmente sì, ma non per una questione di grandezza, piuttosto per i servizi che una grande città come Londra o altre possono offrire, in termini di infrastrutture, trasporti, sicurezza».Peraltro, Londra sarà alla sua terza Olimpiade: differenze con le altre?«Enormi, com’è logico. Le altre si sono svolte in tempi lontani, e ognuna ha avuto le sue caratteristiche. Quella del 1908 fu la prima in cui uno stadio fu costruito appositamente per l’evento, quella del 1948 non poteva non essere condizionata dalla guerra appena finita: fu un’Olimpiade "povera", per certi versi».Allora la guerra, ora il rischio terrorismo: preoccupato?«Più che altro consapevole che quello della sicurezza è un punto importante, anzi la vera priorità. Poi, è naturale, ognuno ha le sue idee: per quanto ci riguarda ci teniamo allo spirito olimpico, quindi non vogliamo che ci sia una Londra militarizzata. Sicurezza sì, ma senza sottrarre libertà di movimento e voglia di socialità. E Londra in questo è preparata: vive quotidianamente la sua lotta al terrorismo, senza che la vita della gente ne sia condizionata».Rispetto ai Giochi di Pechino 2008 cosa cambierà?«Qualcosa che è insito nelle peculiarità delle due città: Londra è città vivace, culturalmente aperta, molto intraprendente. E ciò non potrà non influenzare positivamente l’Olimpiade e la gente che la seguirà».Cosa lascia un’Olimpiade alla città che la ospita?«Tanto, in tutti i sensi. Un’eredità importante, che una volta chiuso l’evento va al di là dello sport. L’impegno in fase organizzativa riguarda anche quello: fare in modo di lasciare un’eredità che possa arricchire la città del futuro».Ma a Londra, nello specifico, cosa resterà delle Olimpiadi?«Oltre che uno splendido ricordo, come è normale per eventi del genere, alcune nuove ricchezze, quella della crescita dell’East End, una zona da sempre depressa, che si avvarrà di infrastrutture in grado di cambiarne il volto e le abitudini, e quella di migliaia di ragazzi britannici che vedranno in questo evento l’impulso per avviarsi alla pratica sportiva».Il premier britannico David Cameron ha detto che le vostre Olimpiadi saranno «il più grande spettacolo sulla terra». Una previsione esagerata?«Diciamo che Londra è sulla strada giusta per offrire un evento eccezionale e certamente memorabile: il mondo vedrà, e ci giudicherà».
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