mercoledì 18 aprile 2012
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Niente gigantismi, siamo inglesi. È questo a 100 giorni dal via il biglietto da visita che Londra 2012 mostra al mondo. Il Regno Unito cala il suo tris olimpico dalla sponda del Tamigi, dopo le edizioni del 1908 (la prima Olimpiade davvero “moderna”) e quella del ’48, i Giochi postbellici, della ricostruzione dell’Europa martoriata, ma soprattutto dell’austerity londinese. E oltre al classico “God save the Queen”, è stato proprio il credo nella nuova austerity che ha mosso, in via di principio, tutte le strategie finanziarie del Locog, l’ente organizzatore di Londra 2012. Ma siamo davvero sicuri che l’avversario secolare del gigantismo olimpico qui sia stato scongiurato? I dati dicono che la macchina megalomane di Pechino 2008 polverizzò in prima istanza 30 miliardi di euro, i quali servirono per la costruzione di avanguardistiche infrastrutture e annessi servizi. «Però oggi il mondo sa più della Cina; oggi la Cina sa più del mondo grazie all’Olimpiade», si affrettava a giustificare il bagno di sangue compiuto dal governo pechinese, il compiacente numero uno del Cio, Jacques Rogge. Di Londra si sapeva già tutto da un pezzo, ma quello che non torna all’ultimo giro di countdown, sono i conti in cassa. Lo spirito british “antigigantismo” aveva parlato di un preventivo di spesa da 9,3 miliardi di sterline (11,2 miliardi di euro) ma, secondo tradizione olimpica i costi sono lievitati. Le ultime valutazioni parlano di 12 miliardi di sterline, cinque volte di più della stima fatta nel 2005, al momento della candidatura. «Ma solo il 25% di quella fortuna verrà speso per i Giochi, il restante 75% va per la fase successiva», precisa, di corsa, l’ex gloria nazionale Sebastian Coe (oro nei 1500 a Mosca ’80 e Los Angeles ’84) e il suo staff del Locog. Questo è tutto da vedere, così come sono da ammirare, comunque, i magnifici 33 impianti sportivi, alcuni dei quali preesistenti, come il monumentale stadio di Wembley. Sul piano architettonico il gigantismo è stato azzerato dal concetto “piccolo e bello” che le archistar chiamate a raccolta hanno messo in campo. La maggior parte degli impianti infatti sorge in un’area minimal che forse fissa già il primo record: appena 2 chilometri e mezzo quadrati di estensione. Una “cittadella” dello sport quella di Londra 2012 che sorge nella vecchia Stratford, nell’East End, l’altra faccia sporca della City. In quella che fino a ieri era una palude di canali putridi ai margini dei quali si davano appuntamento pericolose baby-gang dedite allo spaccio e a ogni sorta di teppismo “made in hooligans”, ora sorge il piccolo paradiso dello sport in cui spicca lo Stadio Olimpico (qui si terrà la cerimonia di apertura il 27 luglio e quella di chiusura il 13 agosto), l’Aquatic Center progettato dal celebre architetto Zaha Hadid e le 62 palazzine del Villaggio Olimpico, in cui verranno ospitati tutti gli atleti e i tecnici di Londra 2012. Grandi cattedrali che una volta che calerà il sipario sui Giochi verranno adeguatamente “riciclate”. Lo Stadio Olimpico scenderà da 85mila a 55mila posti per ospitare le gare settimanali del West Ham, l’Aquatic Center si trasformerà nella piscina pubblica dei londinesi e le palazzine del Villaggio Olimpico in magnifiche abitazioni private, già vendute a un consorzio di sceicchi del Qatar. Loro, gli sceicchi, sono sicuramente un esempio di gigantismo del business che sta facendo man bassa sotto il Big Ben. Ma se lo dite a mister Coe vi ricorderà che gli unici giganti sono i numeri di Londra 2012: «Come i 500mila spettatori fissi che circoleranno nella capitale nel periodo olimpico». E a chi non troverà il biglietto per assistere dal vivo alle gare, non rimane che andare ad ingrossare il popolo dei telespettatori che non saranno meno di 5 miliardi davanti al piccolo schermo. E per tutti loro, al terzo rintocco della campana olimpica che sancirà l’inizio dei Giochi, valga l’annuncio scespiriano della Tempesta: «Non abbiate paura, l’isola è piena di rumori». Ma forse, anche di giganti.
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