sabato 4 giugno 2011
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«Dopo la scomparsa di A­roldo ho dovuto trova­re la forza per andare avanti, da sola anche sulla scena. O­ra, dopo 5 anni, so che sono riuscita a fare teatro di qualità e gli applausi, ogni sera, li dedico tutti a lui». Giu­liana Lojodice è donna combattiva e artista di razza, ma nei suoi pensieri non manca mai l’amatissimo mari­to Aroldo Tieri, compagno di vita e di scena per 40 anni. La Lojodice ha ap­pena terminato una tournée di suc­cesso con Le conversazioni di Anna K e si prepara ad un recital sulle eroine del Risorgimento a Pinerolo. Poi un debutto importante, il 22 luglio alla Festa del Teatro di San Miniato, con la prima italiana assoluta di Sara­banda l’ultima opera di Ingmar Berg­man, che da film tv viene trasforma­to in dramma familiare dal regista Massimo Luconi.Signora Lojodice, Bergman è una nuova sfida per lei.Vado a San Minato per la quinta vol­ta con un testo difficile, il testamen­to spirituale di Bergman. I protago­nisti sono gli stessi di Scene da un ma­trimonio, più invecchiati e tormen­tati. Io interpreto il ruolo di Liv Ull­man, la moglie che torna dopo anni a trovare l’ex marito. L’opera testi­monia la lontananza di Bergman da una vera pacificazione interiore: lui non ha metabolizzato le crisi che possono avere i matrimonio e i figli. Qui tutti i legami si intrecciano in ma­niera molto conflittuale, ci sono te­mi terribili come il suicidio, la ma­­lattia di mente, osservati con distac­co.Temi forti in un festival di ispirazio­ne cristiana.Tutto sembra negativo, invece alla fi­ne non lo è. Marianna, la moglie, è il deus ex machina spirituale, è lei che perdona, che aiuterà l’anziano e ci­nico marito terrorizzato dalla morte, verso la quale lo aiuterà ad avviarsi.Qual è il rapporto di Giuliana Lojo­dice con la fede?Io ho iniziato il mio percorso spiri­tuale ben prima della malattia di A­roldo. La mia fede non è legata a sen­si di colpa o paure, a volte sono an­che critica, ma ho sempre sentito u­na spinta interiore che mi ha porta­to a Lourdes tre volte. Mi sento mol­to vicino a queste realtà di sofferen­za, ma anche di speranza. E ho un padre spirituale che seguiva me e A­roldo, qui a Roma.Le è capitato di incontrare il sacro anche in scena?Ho letto in pubblico brani dal Gesù di Nazareth di Ratzinger e il cardinal Ra­vasi mi ha chiamata a leggere San Paolo nell’anno paolino. Un sogno nel cassetto io ce l’ho. Vorrei tanto leggere la Via Crucis al Colosseo.Com’è la sua vita a distanza di 5 an­ni dalla scomparsa di suo marito?Lui è una presenza ancora forte per me. Oggi che ho una certa età, capi­sco sempre più il grande amore che mi ha donato, la fatica fisica che ha affrontato per starmi accanto in sce­na e in tournée sino a 84 anni. Poi, io ho smesso di lavorare per quattro an­ni, per stargli vicino: gli ultimi perio­di per lui, reso cieco da un glaucoma, sono stati molto duri. Trovo però al­lucinante che dei grandi del teatro, come Tieri, Gassman, Lionello, Sa­lerno, non si parli più.Che ne pensa del ritorno del teatro in tv con l’Eduardo di Ranieri?Siamo sotterrati dall’infamia televi­siviva, altroché ritorno del teatro in televisione. C’era bisogno di tradur­re Eduardo in italiano? È solo una scusa, un prodotto preconfezionato che doveva funzionare per l’auditel, incentrato su volti popolari in tv, Ra­nieri in testa. Io la controprova vera del pubblico ce l’ho tutte le sere a tea­tro: anche le cose difficili funziona­no, dipende da come le proponi e dal rispetto della gente: io, in 55 anni di teatro al pubblico non ho mai dato u­na fregatura».
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