lunedì 9 gennaio 2012
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Alla fine sarà il Logos. Sta irrobustendosi, nella cultura contemporanea, una tendenza scientifico-filosofica, di matrice dichiaratamente non-cristiana, che non esita a parlare di Dio. Una visione dai tratti panteisti o, più propriamente, panenteisti (Dio non coincide con l’Universo, ma l’Universo è parte di Dio), che si colloca in un’ampia riflessione non tanto sull’origine del cosmo, quanto sul suo immanente sviluppo e destino. Ed è quasi come se quel Dio «cacciato» dal ruolo di Origine, che l’umanità gli aveva tradizionalmente attribuito («In principio Dio creò il Cielo e la Terra»), «rientrasse» con il nuovo ruolo di Compimento. Un Dio più omega che alfa, dunque, più ricapitolatore che fonte, più reditus che exitus. Le attestazioni sono molteplici, anche in opere recentemente tradotte in Italia. Spesso si parte da tutt’altro genere di considerazioni e poi, inaspettatamente, sfogliando le ultime pagine, ecco che l’idea ritorna. In La Singolarità è vicina (Apogeo, 2008), Ray Kurzweil, uno dei maggiori teorici delle scienze applicate, dopo un grandioso affresco sullo stato e le tendenze di genetica, informatica e nanotecnologie, prosegue idealmente il suo grafico oltre le coordinate del tempo presente: «L’evoluzione va nella direzione di una maggior complessità, di maggior eleganza, conoscenza, intelligenza, bellezza, creatività e livelli più alti di attributi fini come l’amore. In ogni tradizione monoteista, Dio viene analogamente descritto con tutte queste qualità tese all’infinito… L’evoluzione procede inesorabilmente verso questa concezione di Dio, anche se non raggiunge mai esattamente questo ideale. Dunque, possiamo pensare che il liberarsi del nostro pensiero dalle gravi limitazioni della sua forma biologica sia sostanzialmente un’impresa spirituale». Un percorso assai simile è tratteggiato da Kevin Kelly, una delle firme prestigiose della divulgazione scientifica americana, in Quello che vuole la tecnologia (Codice, 2011). Kelly usa il termine «tecnologia» nell’accezione larga dell’etimo «techne», per cui i suoi confini vengono a coincidere con tutto ciò che è introdotto nel mondo dall’essere umano: «la cultura, l’arte, le istituzioni sociali e le creazioni intellettuali di ogni genere». Tale cosmo di artefatti a firma umana - osserva Kelly - è come se adesso assumesse autonomia e tendesse per «inevitabilità strutturale» verso una direzione precisa, dove la casualità dell’ortodossia darwiniana è sostituita dai meccanismi dell’auto-organizzazione, imperativi di sviluppo che comparirebbero di nuovo, anche «se il nastro della vita venisse riavvolto». Ebbene, conclude Kelly, «se esiste un Dio, è precisamente il traguardo a cui punta tale traiettoria». Pur prendendo espressamente le distanze dal panteismo, Kelly finisce per parlare di «una forza impressa nel tessuto della materia e dell’energia» e, nelle pagine conclusive, chiama in gioco quella teologia del processo di J.B. Cobb jr. e D.R. Griffin nei cui confronti, complessivamente, sembra ben disposto. Un approccio frontale al tema è poi proposto da Stuart Kauffman, membro dello storico Istituto di Santa Fe, con il suo Reinventare il sacro (Codice, 2010), introdotto da una dichiarazione d’intenti senza infingimenti: «Presenterò una nuova concezione di Dio - un Dio calato profondamente nella natura - e del senso del sacro, che fonderò su una nuova ed emergente visione scientifica del mondo». La nuova visione scientifica è basata sul riconoscimento della «inadeguatezza del riduzionismo» e sull’affermarsi della «concezione emergentista», secondo cui la biologia e l’evoluzione non possono essere spiegate esaurientemente dalle sole leggi della fisica. Al loro posto, o meglio accanto ad esse, sta «una meravigliosa creatività naturale… e Dio è il nome da noi scelto per questa incessante creatività dell’universo naturale, della biosfera e delle culture umane». Kauffman rafforza la propria posizione con un elenco di nomi eccellenti della scienza della complessità che gli sono compagni lungo questo viaggio intellettuale - Phil Anderson, Robert Laughlin, Leonard Susskind… - e osserva come tale prospettiva offra il vantaggio di «schiudere agli umanisti laici la legittimità della loro spiritualità».L’inaspettato accorciarsi del tempo tra una scoperta notevole e l’altra ed una rinnovata consapevolezza intorno alle potenzialità dell’essere umano nel destino del mondo - che non sono più, fortunatamente, solo potenzialità distruttive - alimentano, così, riflessioni intense sul senso della storia. E per itinerari di simile guisa, l’approdo è frequentemente costituito dalla nozione di Dio. Una nozione di Dio certamente sui generis, che evita quasi totalmente i concetti di «persona» e di «sostanza» e rimarca soprattutto l’aspetto di spinta interna al cosmo, razionale e diretta a uno scopo. «Quasi Dio» o «abbastanza Dio», si potrebbe dire, mutuando il titolo (God Enough che Steve Paulson ha dato alla sua conversazione tra scienza e fede con Kauffman comparsa su Atom & Eden. Il dato forse più interessante di questa convergenza di idee sta nel nuovo rapporto concettuale che si viene ad instaurare tra fede e freccia dell’evoluzione. Il plurisecolare dibattito sullo «scoccare» di tale freccia ha sollevato interminabili contese - talvolta anche inappropriate, come la pseudo-opposizione tra i concetti di «creazione» ed «evoluzione», in linea teorica del tutto compatibili -, mentre l’attuale disquisire sulla «direzione» della freccia medesima sembra inclinare verso una ricomposizione. Con molte differenze, certo, ma, almeno, con un nucleo condiviso.
Quasi a confermare quanto il teologo Ian Barbour della Unity Church ebbe a dichiarare al momento di ricevere il premio Templeton: «L’evoluzione è l’idea più importante introdotta dalla scienza nel mondo moderno e i teologi non hanno ancora colto tutte le implicazioni di quest’idea, soprattutto a riguardo della natura umana, della creazione e della relazione Dio-mondo». E a segnare il rinnovato clima tra scienza e fede, all’apertura del teologo fa da pendant la suggestione dello scienziato. Nella fattispecie il fisico teorico Freeman Dyson che, muovendo dall’alveo delle considerazioni dei colleghi sopra tratteggiate, può consequenzialmente affermare come «sia giunto ormai il tempo di fare della escatologia una disciplina scientifica rispettabile».
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