giovedì 1 giugno 2023
A colloquiocon lo scrittore cileno, che presenta il suo ultimo libro al festival "La grande invasione" di Ivrea. Le tradizioni popolari, i ritmi rurali la passione per Rodari e Italo Calvino
Lo scrittore Andrés Montero: «Il tempo lento apre il cuore»

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Che rappresentazione ha la morte nel nostro tempo? Come è cambiata rispetto al passato? Sono domande centrali nell’atmosfera magica e sospesa costruita dallo scrittore cileno Andrés Montero nel suo nuovo libro, La morte goccia a goccia (Edicola Ediciones, pagine 138, euro 15), composto da una raccolta di sei storie in cui il tempo della vita e quello della morte si mischiano nell’attenzione ai particolari più intimi e significativi. Montero, membro della compagnia teatrale La Matrioska, con la quale ha presentato centinaia di spettacoli itineranti per tutti i tipi di pubblico, salvando e diffondendo la memoria e la tradizione cilene, parte quindi da questi punti fermi: l’importanza della narrazione orale e l’identità latino-americana. I racconti sono infatti ambientati nel sud del Cile, una terra complessa, misteriosa ma ricca di rituali e tradizioni. Un luogo dove nostalgia e ricerca di autenticità sono la vera essenza delle cose. Il libro sarà presentato alla “Grande Invasione” di Ivrea domenica 4 giugno.

Perché ha scelto di ambientare i suoi racconti nel sud del Cile?

Circa dieci anni fa ho vissuto per un anno nel sud del Cile e mi sono interessato a rituali e tradizioni di quei luoghi. C’è qualcosa di magico in quelle piccole città, hanno tutta una loro mitologia. Lì le persone hanno più tempo per parlare rispetto a quanto accade nelle grandi città. Noi tutti penso che stiamo perdendo un po’ il senso del tempo per parlare, per ascoltarci l’un l’altro. Mi piace molto invece passare momenti davanti al fuoco, con una tazza di tè o caffè, parlando e raccontandosi storie, proprio come accade in quei paesini e come accadeva un tempo.

Lei fa parte di una compagnia teatrale. Che importanza ha nel nostro tempo la tradizione orale?

La tradizione orale o l’arte di raccontare storie è forse una delle prime cose che riguardano l’essere umano. Quando perdiamo la tradizione orale, quando non parliamo con i nostri antenati, perdiamo un patrimonio di storie. Il teatro in questo senso aiuta a preservare le storie e portarle in giro nei bar, nei locali, nei ristoranti, in tutti i luoghi. Raccontare storie è un lavoro molto bello proprio per questo motivo, e non servono costumi, bastano le parole. Chiaramente, però, è molto importante l’interazione con il pubblico, perché è parte integrante della storia. Il racconto infatti è fatto anche di ascolto, dei silenzi, così ogni storia diventa materiale d’archivio per altre narrazioni, altri libri, altri spettacoli.

Che rappresentazione ha la morte nel nostro tempo e com’è cambiata rispetto al passato?

È importante, centrale. L’unica cosa di cui siamo sicuri è che un giorno moriremo. Ho notato che spesso nelle grandi città, nel nostro tempo, quando muore qualcuno, siamo impreparati su come affrontare l’addio. Perché nel Sud e nel Nord, in città più piccole, esistono invece ancora rituali antichi per dire addio? È anche per questa ragione che ho scritto sei storie con diversi modi per provare a capire la morte, cercando una risposta nei rituali e nella tradizione cilena.

Qual è il suo rapporto con la spiritualità e la fede? I personaggi dei suoi racconti per esempio citano spesso l’anima.

La mia è una famiglia cattolica. Sono cresciuto con questi rituali e questa cultura. Ho conosciuto persone che non credevano nella religione cattolica ed erano magari anche arrabbiate con la religione, per molte ragioni. Questo spesso faceva sì che non avessero altro modo per trovare una vita spirituale. E questo credo sia un problema, perché penso che tutti noi dovremmo avere una vita spirituale, in un modo o nell’altro. Forse questo è proprio uno dei nodi del XXI secolo.

Qual è il legame tra le storie del libro?

Ho scritto una raccolta di racconti, ma anche di persone. In qualche modo questo libro è come un romanzo, perché alcuni personaggi, alcune suggestioni, ricompaiono a distanza.

Il sito di Casa Contada, Scuola di letteratura e tradizione orale di cui è direttore, si apre con una frase di Gianni Rodari sull’uso della parola. È tra i suoi riferimenti letterari?

Gianni Rodari non è solo un grande scrittore in generale, ma è anche un grande scrittore per i bambini, e soprattutto era un grande narratore. Tutto il suo lavoro è molto importante per me. Uno dei suoi testi di riferimento per me è la Grammatica della fantasia. Sa essere moderno e al tempo stesso tenere in considerazione il valore più antico di raccontare una storia. Un altro mio riferimento tra gli scrittori italiani è Italo Calvino. Tra i riferimenti non italiani, invece, non posso non citare Julio Cortázar e Violeta Parra, che non è una scrittrice ma è stata cantautrice, poetessa, pittrice, e ha esplorato il Cile raccontandone il folklore e scrivendo storie di persone incontrate durante i suoi viaggi.

Che momento sta vivendo la letteratura cilena?

Credo che in Cile ci troviamo in un momento positivo per la letteratura, soprattutto tra i più giovani, che stanno aprendo nuove strade, in particolare nel movimento dell’editoria indipendente.

Dai suoi racconti emerge l’importanza del tempo e dell’attesa. Dopo il Covid in tanti sono tornati a una vita fuori dalle città, in cerca di ritmi più lenti. Qual è il valore del tempo nella nostra società?

Credo che il tempo sia la cosa più importante. Dobbiamo però imparare ancora tanto su come rispettare il tempo altrui. Raccontare storie è una alternativa al tempo che corre delle città. Se si vuole conoscere la propria famiglia o la propria cultura, si deve avere il tempo per questo, e in città è più difficile. Non è impossibile, ma è più difficile prendersi del tempo, per cui penso che tutti noi nelle grandi città abbiamo ancora tanto da imparare sul ritorno a una vita più lenta.

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