martedì 6 aprile 2010
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Se dell’Iran avete in mente solo le immagini restituiteci da Kiarostami, Makmalbaf o Panahi (recentemente arrestato), che per anni hanno fotografato un paese popolato da donne con il velo e bambini un po’ petulanti, beh, allora correte a veder I gatti persiani di Bahman Ghobadi, dal 16 aprile nelle sale distribuito da Bim. Scoprirete una sorprendente Teheran rock e hip hop, moderna e vitale come non l’avete mai vista, più vicina a quella attraversata dal furore dei manifestanti contro il regime di Ahmadinejad e destinata a cambiare irrimediabilmente il nostro punto di vista su quella realtà.L’Iran di Ghobadi (che avevamo già conosciuto grazie al bellissimo Il tempo dei cavalli ubriachi), è infatti quello dei giovani e della cultura underground, del dinamismo e della musica pop, proibita dal regime islamico, eppure suonata e ascoltata nel sottosuolo, dove le note si nascondono a orecchie indiscrete ma aprono le porte di mondi lontani e affascinanti. La sceneggiatura (scritta insieme al regista e a Hossein M. Abkenar) e la produzione esecutiva del film si devono alla giornalista irano-americana Roxana Saberi, fidanzata di Ghobadi, condannata in Iran per spionaggio industriale, ma improvvisamente liberata lo scorso maggio, poco prima del Festival di Cannes dove I gatti persiani è stato presentato con grande successo. Ma veniamo alla storia: due giovani musicisti iraniani appena usciti di prigione decidono di mettere in piedi una band. Non potendo esprimersi liberamente nel proprio paese, decidono di procurarsi illegalmente dei passaporti e raggiungere l’Europa. Con l’aiuto di Hamed i due percorrono la metropoli in lungo e in largo per incontrare gli altri musicisti e convincerli a organizzare un grande concerto clandestino che finanzierà la loro fuga. Ma un’improvvisa irruzione da parte della polizia tramuterà la festa in tragedia. Gli iraniani naturalmente non vedranno il film, se non clandestinamente, come avviene di solito: girato e montato al ritmo dei brani musicali, i cui testi di denuncia sociale sono parte integrante della storia, I gatti persiani era un progetto "impossibile".Il regista, già precedentemente osteggiato dal regime, non avrebbe mai ottenuto i permessi necessari per raccontare la verità sulla vita dei giovani a Teheran e sulla durezza della repressione e ha così deciso di rinunciare alla macchina da presa e alla pellicola in 35 millimetri, la cui concessione dipende dallo Stato, per girare tutto clandestinamente con una piccola telecamera. Niente prove, dunque, e se la sceneggiatura ha richiesto continue modifiche e improvvisazioni, molte scene sono state "rubate" a bordo di motociclette e testimoniano l’estrema povertà del paese, ma anche la sua sorprendente modernità. Ogni ripresa doveva essere poi realizza in fretta, per evitare che la polizia rintracciasse la troupe, arrestata peraltro in ben due occasioni.Poi, siccome tutto il mondo è paese, qualche amico influente e un regalo alla persona giusta, tra cui i dvd dei film precedenti di Ghobadi, sono serviti al rilascio. Una scena del film ne spiega poi il titolo: gli iraniani non possono uscire con i cani e i gatti che allevano nelle proprie case. La legge lo proibisce e prevede il sequestro della povera bestia trovata fuori dalle mura domestiche. E i ragazzi di Teheran sono proprio come i bellissimi felini persiani, privati della loro libertà e costretti a nascondersi  per suonare la loro musica.
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