mercoledì 20 febbraio 2019
Formulata nel 1859, supposta valida ma insoluta, è tra i grandi problemi della matematica e quello che più accende l’interesse mediatico: per l’alone mitico di difficoltà e per il premio in palio
L'ipotesi di Riemann, il graal dei numeri primi, risolverla vale un milione
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“Problemi del Millennio”: già l’espressione contiene tutto il peso e la dimensione di quei sette enunciati matematici che nel 2000 il Clay Mathematical Institute raccolse nella “lista nera” destinata ad affascinare il mondo della divulgazione scientifica. Probabilmente a ragione, dal momento che i matematici contemporanei ritengono legate alla risoluzione di questi rompicapo aspetti di assoluta rilevanza, in termini matematici e non solo. Non si nega che la matrice comune che stimola l’ambizione delle menti più brillanti sia la pura curiosità intellettuale, e del resto la storia insegna che la scienza avanza per ricerche condotte a fini squisitamente teorici e solo in un secondo momento e di riflesso hanno determinato ricadute nella vita concreta.

Tra i sei problemi a oggi aperti – Perel’man nel 2003 sciolse infatti la congettura di Poincaré – la sfida maggiore e, probabilmente, più mediatica, si gioca attorno all’ipotesi di Riemann, cosí definita, perché nel 1859 Georg Frederich Bernhard Riemann – nel saggio Über die Anzahl der Primzahlen unter einer gegebenen Grösse (“Attorno al numero di numeri primi minori di un certo valore”) – ne suppose la correttezza come condizione necessaria al proseguimento delle investigazioni su una determinata funzione di variabile complessa. A tale supposizione rimase accollata la nomenclatura di ipotesi, benché – essendo un’affermazione non provata ma ritenuta valida per le conseguenze implicanti – secondo i criteri oggi in uso sarebbe più appropriato parlare di “congettura” di Riemann.

L’introduzione corretta e completa della “funzione zeta di Riemann” e dell’enunciato stesso – riguardante la dislocazione di certi punti di azzeramento (zeri non-banali) di tale funzione di variabile complessa – delle proprietà fin qui note e di quanto ancora resta ignoto, richiede una certa padronanza degli strumenti specifici di analisi complessa e teoria analitica dei numeri. Proprio in quanto materia per addetti ai lavori, la questione si presta a essere immancabilmente presentata e divulgata con una buona dose di pressapochismo e superficialità, incentivati dall’abbondante ricorso a roboanti locuzioni, dal “grande mistero irrisolto della matematica” in giù... Per convincersi dell’importanza della congettura di Riemann basterebbe un approssimativo conto delle pubblicazioni scientifiche degli ultimi centosessant’anni dedicate all’argomento.

La funzione zeta, in verità, compare già nel 1644 nel problema di Basilea, formulato dal bolognese Pietro Mengoli, e poi risolto un secolo più tardi da Eulero, il quale era ben consapevole dello stretto collegamento tra tale funzione e la distribuzione dei numeri primi. Non a caso, l’esistenza di infiniti numeri primi era nota ad Euclide, il cui celebre teorema a proposito fu indirettamente dimostrato da Eulero, sfruttando proprio una caratteristica della funzione zeta, di cui contemplò i soli valori reali. Il genio di Riemann si spinse, invece, a comprendere anche i valori complessi della variabile, intuendo non solo l’intimo legame tra la funzione e la distribuzione dei numeri primi, ma anche che la posizione dei suoi zeri consentisse di contarli in modo accurato. Cosa che, per al- tro, fece, calcolando la posizione di alcuni zeri, disposti (secondo la congettura) nel modo più semplice possibile, compatibilmente a certe proprietà. Dopo vani tentativi, lo stesso Riemann ammise di gettare la spugna, rinunciando alla dimostrazione dell’ipotesi («altamente probabile») da lui partorita. Nonostante la resa, il tedesco Siegel nel 1932, consultando l’archivio dell’Università di Gottinga, osservò che Riemann conoscesse la funzione zeta molto meglio di quanto emergesse dalla scarna pubblicazione di 70 anni prima.

Tra i grandi che si cimentarono nell’impresa, compare anche il padre della crittografia moderna, Alan Turing. La congettura, infatti, riveste una certa importanza anche per gli aspetti più teorici dell’informatica, poiché se ne deduce una quantità di informazioni sulla terminazione di alcuni algoritmi, di cui la nostra ipotesi non ne dimostra la correttezza, limitandosi a provare, a priori, che il numero di operazioni necessarie a portarli a termine è relativamente piccolo. Nonostante una seria disamina sull’argomento richieda ben altra completezza, occorre puntualizzare l’assoluta infondatezza scientifica dell’affermazione secondo cui la prova della validità della congettura di Riemann comporterebbe la violazione dei sistemi crittografici basati sulla primalità e sulla fattorizzazione di numeri naturali. La sicurezza di tali sistemi – fondata sulla presunta difficoltà computazionale di determinare i fattori di interi particolarmente grandi, aventi esattamente due divisori primi distinti – non dipende dalla risoluzione della congettura di Riemann semplicemente perché fino a ora non sono noti teoremi in tal senso.

Tra fallimenti e insuccessi – più o meno clamorosi – nel corso degli anni, merita di essere ricordato Enrico Bombieri, che conquistò nel 1974 la Medaglia Fields (massimo riconoscimento nella matematica) per gli studi condotti sui numeri primi nelle progressioni aritmetiche. In altre parole, risolse il “corrispondente” problema alla congettura di Riemann, affrontato nella prima metà del XIX secolo da Dirichlet. E se il nome di Riemann è sempre di grande attualità, è pur vero che in queste ultime settimane è tornato prepotentemente alla ribalta: a ciò, probabilmente, ha contribuito il giovane matematico Alessio Figalli, che – vincendo la prestigiosa Medaglia Field – ha affiancato il suo nome a quello di Bombieri. Certo, la principale ragione storica dell’interesse attorno alla congettura risiede nel rapporto con la distribuzione asintotica ottimale dei numeri primi. Ma non è la sola. La funzione zeta di Riemann è stata, infatti, la prima di una lunga e felice serie: rappresenta l’esempio più antico in cui proprietà algebro-geometriche di un dato oggetto matematico vengono tradotte in proprietà analitiche di una certa funzione. Sull’onda dello stratagemma di Riemann, oggi i matematici operano con “funzioni zeta” di gruppi, campi di numeri, curve ellittiche, varietà algebriche, forme modulari. In attesa della soluzione non ci resta che sfruttare proprietà e risultati della congettura – supposta valida, naturalmente – per fare luce su quanto ci è utile.

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