sabato 28 maggio 2022
Assecondare le nuove tecnologie, secondo il modello liberale Usa, ci sta costando caro in cultura e valori: ormai è chiaro a molti. Come l’ex presidente Obama, che ha fatto mea culpa
Silvio Wolf, "Horizons 23-22-26", 2011-2015, particolare

Silvio Wolf, "Horizons 23-22-26", 2011-2015, particolare - L’opera è esposta nella mostra 'L’invisibile' alla Casa Museo Boschi di Stefano di Milano fino al 5 giugno, che comprende due esposizioni: 'Valentino Vago. Figure e orizzonti' e 'Silvio Wolf. Prima del Tempo'

COMMENTA E CONDIVIDI

Si suole dire: meglio tardi che mai. L’adagio si applica a pennello all’importante discorso dell’ex presidente Obama, tenuto nelle settimane scorse alla Stanford University. Egli vi denuncia i pericoli, le notizie false, le distorsioni che rigurgitano nella Rete globale, e richiama la necessità di regolamentare lo strapotere dei giganti del big tech. Obama confessa che quando era presidente avrebbe potuto fare di più. Forse così non accadde in quanto nel suo gabinetto politico erano presenti grandi manager di Google e di Facebook. Le proposte avanzate convergono sostanzialmente con quelle di altri attori informati sulla vicenda. I giganti del web devono accettare, o forse meglio bisogna loro imporre, la fine dell’attuale situazione, che di fatto contempla una loro completa irresponsabilità. Essa in genere si basa sulla segretezza di calcoli e algoritmi volti a decidere le informazioni da offrire e la loro priorità. Molti ormai concordano che il sistema massmediatico onniavvolgente, oltre a comportare benefici, provoca maggiori danni per quanto riguarda la democrazia, la sua delegittimazione, il caos informativo, spesso sapientemente istigato, la preminenza dello scontro rispetto al dialogo, le teorie cospirative, le interferenze politiche nella vita degli stati, dove giocano influssi esterni non procedenti dalla volontà popolare. In questo cahiers de doléance è in crescita esponenziale la manipolazione delle parole, per assegnare loro un nuovo significato. Essa giunge sino al punto di trasformare una guerra di aggressione in un’operazione speciale. L’intento è chiaro: distorcere il senso delle parole per cambiare la realtà e ostacolare un giudizio adeguato. La situazione è scappata di mano e non sarà un gioco da ragazzi raddrizzarla. Un compito già in cammino, ma da potenziare fortemente, consiste nello sviluppare un pensiero critico- discernente sulle nuove tecnologie. Nell’area informatica è giustificato procedere in giudizio contro la “ragione digitale”: questa mira a prendere il posto della ragione integrale, e a spazzar via il mondo comune e il sensus communis. Ecco un’impresa indispensabile, se non intendiamo sottometterci alla dittatura dell’io digitale. Si dice: Digito ergo sum, ed è tutto. All’origine di questo sconvolgimento sta l’errore antropologico dell’individualismo liberale, che mira ad assecondare il soddisfacimento degli interessi dei singoli come obiettivo primario. Da qui la dittatura dell’istante e la distruzione del criterio di autorità, quanto meno dell’autorità epistemica secondo cui vi è chi sa di più e chi invece parla a vanvera. L’io autocentrato, che non ha vere relazioni e che si confronta polemicamente con il resto del mondo, ritiene di essere al di sopra di tutti: l’accesso alla rete nutre in lui un senso di onnipotenza e lo predispone alla lotta con gli altri. Commettendo un errore mortale di cui tuttora in Occidente paghiamo le pesanti conseguenze, Rousseau determinava l’individuo come «un tutto di per sé perfetto è chiuso», ossia privo di relazioni. Questo io fittizio e monadico è oggi diventato un io rabbioso, che cerca più la rissa che l’intesa. Nel perenne tumulto della rete l’io digitale rischia di diventare un io tiranno: non solo la fiducia negli altri viene meno, ma essi sono un pericolo di cui diffidare e un avversario con cui scontrarsi. Il conflitto mediatico genera più distanza che accomunamento; e la sua bulimica pervasività pone in questione tradizioni consolidate. Lo stesso valore delle radici e delle identità connesse, prezioso in specie nella nostra epoca in cui tutto viene rimesso in gioco ogni giorno, tende a sbriciolarsi: più che a radici stabili si pensa a onde, vento, mare e al movimento perpetuo in cui sembra che nulla stia saldo e consista. Occorre sottrarci all’egemonia del presente, entro la quale la cultura perde l’anima e viene travolta. È un fatto che il dipanarsi della cultura tecnoscientifica marginalizza culture, lingue, arti, tradizioni dei popoli a favore di un cosmopolitismo tecnico- universale. La distorsione mediatico-digitale pone ulteriormente in luce la crisi che investe l’antropologia maggiormente praticata dalle liberaldemocrazie occidentali, dove emergono due piaghe: la secca riduzione del ventaglio dei diritti umani soltanto a quelli di libertà, che ne rappresentano solo un versante, e che vengono intesi come arbitrio sciolto da ogni legame da parte del singolo. Non di rado tali “diritti” sono semplici pretese. Non dobbiamo sottovalutare altezzosamente l’assunto di coloro che da diverse prospettive vedono nell’Occidente un declino morale. L’altra piaga sta nell’assunto dell’illimitata manipolabilità della natura (compresa quella umana). Le convinzioni primarie con cui lungo i secoli della modernità abbiamo edificato i pilastri del nostro sistema di valori (crescita, benessere, ricchezza, produttività, trattamento fiduciosamente illimitato dei problemi tramite la tecnica) traballano, e se rimaniamo a loro legati saremo costretti all’insana rincorsa della modernizzazione continua. Ne seguirebbe la distruzione progressiva dell’ecosistema, se intendessimo mantenere il modello moderno basato sull’alleanza tra crescita, sfruttamento delle risorse, conoscenza e produzione di ricchezza. L’American way of life non è negoziabile, come si è spesso affermato? Tanti, troppi, cercano vie di uscita senza mettere in discussione i modelli di sviluppo sedimentati da secoli in Occidente. L’idea di un progresso illimitato è un mito che vive ben radicato in noi e cui in fin dei conti non vogliamo rinunciare. Non è ancora chiaro se i passi verso un’economia verde, il riciclo, l’abbattimento delle emissioni sia un fine, o invece solo un mezzo per diminuire gli effetti negativi dell’attuale modello di sviluppo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: