giovedì 23 febbraio 2023
Dopo aver portato alla luce e pubblicato nel suo ultimo album un inedito del 1937 del compositore russo, il musicista milanese lo suonerà oggi a un incontro sui due geni del Novecento
Il pianista milanese Luigi Palombi

Il pianista milanese Luigi Palombi

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Non era sulla Prospettiva Nevski, ma Igor Stravinsky l’ha incontrato comunque. E non certo per caso. In comune c’è il pianoforte, al centro esatto della musica e del loro dialogo a distanza. Uniti in prima assoluta da un inedito che il grande compositore russo aveva annesso ai suoi lasciti e che il pianista Luigi Palombi ha rinvenuto (e per primo suonato) mezzo secolo dopo la sua scomparsa. Ecco così vedere la luce Preludium, titolo quanto mai ad hoc. Per rianimarlo dalla sepoltura in cui giaceva, Palombi si è avvalso dell’aiuto fondamentale della musicologa Valentina Bensi, producer alla Radio Svizzera Italiana con cui il pianista milanese ha registrato e pubblicato il suo ultimo album, Igor Stravinsky Piano Conversations.

Disco che Luigi Palombi porterà oggi, venerdì 24 febbraio (ore 19), presso il Magazzino Musica (via Francesco Soave 3, a Milano) suonandone alcuni brani, in occasione dell'evento intitolato "Picasso e Stravinsky nel segno di Pulcinella". Al suo fianco, in questo incontro-conferenza che intreccerà le carriere dei due artisti, il direttore degli eventi culturali del Circolo filologico milanese, Luciano Tellaroli. A conclusione della serata, Palombi suonerà l'inedito stravinskyano Preludium.

Senta Palombi, com’è saltato fuori questo inedito? Possibile che nessuno ne conoscesse l’esistenza prima di lei?

Nel 2021 sono stati 50 anni dalla scomparsa di Stravinsky, avvenuta il 6 aprile 1971, a New York. Io nutro nei suoi confronti un grande trasporto artistico e volevo celebrarlo con un disco. Da anni collaboro con la musicologa Valentina Bensi e insieme, sfogliando il corposo catalogo stravinskyano, ci siamo accorti che c’era un brano intitolato Preludium (datato 1937) che non era mai stato eseguito al pianoforte, per il semplice fatto che non c’era traccia dello spartito, non si sapeva dove fosse.

Eravate in un vicolo cieco...

Quasi. Ma grazie alla grande esperienza di Valentina ci siamo resi conto che questo spartito poteva molto probabilmente trovarsi alla Library of Congress di Washington. Come fare però? La cosa più semplice era scrivere alla Library chiedendo notizie di questa partitura. La loro risposta è andata persino ben oltre le nostre aspettative, perché da Washington ci hanno addirittura inviato la copia anastatica di questo inedito e sconosciuto Preludium. A quel punto questo breve gioiello musicale non solo è stato incluso nel mio disco in uscita ma ne è diventato il brano di apertura trattandosi di una prima mondiale assoluta.

Scusi, ma possibile che nessuno ci avesse mai pensato prima di lei?

Il colpo d’intuito è stato aver trovato un vecchio libro, non più pubblicato in italiano, redatto da Robert Craft (che ha pubblicato ben sei libri con interviste a Stravinky), in cui alla fine c’è un elenco dei manoscritti di Stravinsky presenti nella sua casa negli Stati Uniti. Bene, questo catalogo è successivamente finito come fondo Craft alla Library Congress. Il merito di Valentina Bensi, che si è molto occupata come musicologa di compositori emigrati Oltreoceano, è stato di individuare la cartella dove era stato conservato questo spartito di Stravinsky che in America ha vissuto dal 1939 fino alla morte, nel 1971.

Cos’ha provato a ritrovarsi tra le mani questo inedito?

E’ stato un enorme e sorprendente piacere, oltretutto è un manoscritto privo di correzioni, datato 6 febbraio 1937. Quattro pagine di versione pianistica che ci ha aperto il cuore, anche perché eravamo nel periodo peggiore del Covid, in isolamento totale. Il Preludium è stato davvero tale, in tutti i sensi, e in un periodo difficile per noi musicisti, ha segnato il mio ritorno alle incisioni dopo tre precedenti dischi in cui avevo attraversato i confini della classica tra Duke Ellington, il cinema e suonando Bach senza Bach.

Di cosa si era trattato?

Il disco intitolato Cinema è praticamente una storia della colonna sonora dai prontuari per il cinema muto alle colonne sonore di oggi, per pianoforte solo. La musica per la settima arte dal punto di vista di un musicista per così dire classico. Non solo la ricerca delle origini, ma ogni mio disco è un po’ una ricerca attorno al mondo del pianoforte. Per esempio, il mio primo disco era stato su Duke Ellington. Non si trattava però di una raccolta dei suoi celebri standard, ma era tutto incentrato sulle sue composizioni pianistiche. Ne ho fatto una sorta di opera omnia, dal suo primo brano per piano del 1912 fino agli ultimi che lui aveva inserito in sue composizioni dette “Concerti sacri” con all’interno degli assoli che sono episodi a se stanti. Questo disco l’ho intitolato Piano Works ( anch’esso edito da Dynamic), come se fosse l’opera omnia di un compositore classico.

E il disco su Bach?

In Fake Bach giocavo invece sul fatto di immaginare un recital bachiano ma senza una sola nota originale del grande compositore tedesco. Un disco su un Bach molto trascritto ed elaborato, lontano dalle origini perché quello che mi interessa sempre è la percezione che si può avere del pianoforte, con la sua centralità anche dal punto di vista dell’ascoltatore. Fino, appunto, a quest’ultmo Piano Conversation su Stravinsky, che gioca sul fatto che il musicista russo aveva messo al centro del suo mondo compositivo il pianoforte. Del resto aveva sempre dichiarato di comporre al pianoforte e di avere bisogno del contatto con lo strumento per trovare accordi e idee, non scriveva immaginando la musica su una orchestra ideale. Era talmente legato al pianoforte, quasi ossessionato dal bisogno fisico della tastiera, da arrivare a chiedere al suo maestro Rimsky Korsakov se questo fosse giusto. “Lei deve comporre al pianoforte” fu la risposta. Ecco quindi l’assoluta tensione pianistica di questo disco solistico e nel contempo in dialogo.

Questo suo nuovo album sembra un mix di esecuzioni apparentemente distanti tra loro...

Ho voluto eseguire sia sue composizione sia trascrizioni, per esempio da balletti. Conversazioni tra i vari pezzi che si interrogano tra di loro senza nessuna divisione cronologica tra la sua produzione. C’è anche l’inno americano di cui lui scrisse un personale arrangiamento per un’asta di guerra. Ma poi il manoscritto gli venne restituito e lui stesso lo eseguì a Boston. Venne addirittura la polizia a vietarglielo perché c’era una legge di quello Stato che non permetteva esecuzioni diverse dall’arrangiamento ufficiale. In questo disco, eseguo anch’io, subito dopo il Preludium, questa sua versione dell’inno americano, The Star-Spanglesd Banner.


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