venerdì 8 luglio 2022
Al Festival dei Due Mondi di Spoleto porta al debutto “Il gabbiano”, il capolavoro dell’autore russo tutto incentrato sul confronto-scontro fra generazioni e sull’essenza del teatro
IL regista e attore Leonardo Lidi

IL regista e attore Leonardo Lidi

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Leonardo Lidi ha quasi 34 anni, l’aspetto del giovane Orson Welles e talento da vendere. Insomma, è uno da tenere d’occhio. Se ne è accorto il grande pubblico scoprendolo recentemente come attore nel ruolo del simpatico fidanzato sovrappeso di una delle protagoniste nella fiction di Rai 1 Noi. Ma ancor prima lo ha scoperto e lanciato il Teatro Stabile di Torino, dove Lidi ha studiato, che ben presto lo ha nominato vicedirettore e coordinatore della Scuola per Attori, affidandogli i suoi primi lavori importanti come regista residente. L’anno scorso il regista piacentino aveva debuttato al Festival dei Due Mondi di Spoleto con La signorina Giulia di Strindberg. Quest’anno fa il bis aprendo il weekend finale del Festival spoletino, che si concluderà il 10 luglio, nel segno di Cechov col debutto al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi de Il gabbiano. Tutto esaurito e lunghi applausi per questa nuova produzione del Teatro Stabile dell’Umbria con Ert-Teatro Nazionale e Stabile di Torino in collaborazione con il Festival di Spoleto in replica stasera e domani, in cui 13 attori mettono in scena in modo nitido e accattivante il capolavoro dell’autore russo tutto incentrato sul confronto-scontro fra generazioni e sull’essenza del teatro. Lo spettacolo dalla prossima stagione sarà in tour in tutta Italia per approdare anche al Piccolo di Milano e al Vascello di Roma.

Lidi, lei in pochi anni è diventato uno dei nuovi artisti più lanciati del teatro italiano.

Devo sempre ringraziare tante persone che hanno avuto fiducia nel mio lavoro. Pur non essendo 'figlio di', hanno visto uno serio di 27 anni che veniva dalla scuola dello Stabile di Torino, che studiava, e mi hanno dato sempre fiducia sostenendomi.

Lei come ha scoperto il teatro?

A Piacenza io ho fatto sempre teatro, laboratori e recite dalle elementari sino alla fine delle superiori. Fresco di diploma in agraria ho iniziato a lavorare per una tv privata di Milano, assunto come inviato e poi alla programmazione e progettazione: è stata una scuola molto importante. Ma dopo due anni e mezzo ho voluto provare a entrare in una scuola di teatro e al primo colpo mi hanno preso a quella dello Stabile di Torino. Ho avuto anche la fortuna di avere dei genitori, papà operaio e mamma titolare di un negozio di abbigliamento, che non mi hanno mai messo i bastoni fra le ruote.

Ma come è passato da attore a regista?

A Piacenza mi era stato affidato lo spazio al Filodrammatici, dove dirigevo i ragazzini e gli attori amatoriali. La mia indole va in quella direzione. Cinema e tv mi diverto a farlo ancora come attore, ma in teatro la macchina è molto complessa, a me vien meglio star fuori.

I riconoscimenti le sono arrivati quasi subito.

Ho vinto la prima edizione di Biennale College a Venezia con Spettri di Ibsen che mi è stato prodotto nel 2018. A Torino, invece, sono grato perché mi ha concesso un percorso, prima il Peter Pan per le famiglie, poi la trilogia su Natalia Ginzburg e infine il palco del Carignano con Misantropo di Molière la stagione scorsa.

Ed ora tocca a Chechov, un altro classico.

È arrivato l’incontro con Nino Marino direttore del Teatro Stabile dell’Umbria. Si è fidato molto delle mie scelte che sono dettate da un lungo periodo di studio. Cechov è il mio autore preferito ed è la mia scuola. Io ho sempre adattato i classici per una chiave di lettura vicina al presente. Ora invece questo testo classico lo prendo senza toccarlo, perché non ha bisogno di rivisitazioni per parlare al pubblico dell’oggi. A Spoleto debutta la prima tappa di un progetto triennale, a cui si sono associati al Teatro Stabile dell’Umbria, lo Stabile di Torino in cui e Ert: una trilogia sul grande drammaturgo russo, che dopo Il gabbiano, proseguirà con Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi.

Nel Gabbiano si scontrano due visioni del teatro.

Il gabbiano ha cambiato la mia vita teatrale. Io a scuola pensavo esattamente quello che pensa il giovane Kostia (qui interpretato da Christian La Rosa), che crea un teatro di forma astratta e non per tutti, ed è giusto così perché è all’inizio del suo percorso. Mentre ora mi avvicino di più al maturo Trigorin (Massimiliano Speziani), che è al culmine della sua carriera e pensa che occorra mediare nella forma per farsi comprendere dal pubblico. È un testo che parla delle forme teatrali nel modo più alto, senza giudicarle. Il gabbiano racconta tutti, gli spettatori, gli attori, gli scrittori.

Ed è anche un potente confronto generazionale. Ogni generazione è un passaggio della vita che va amato e mai giudicato. La grandezza di Cechov è che ti fa innamorare dei personaggi che ti restano incollati per settimane, parlano come noi, hanno le nostre emozioni e fanno le nostre stesse stupidaggini. Cechov per me ha questo coraggio, paragonabile a Tennesse Willians e Woody Allen. Per questo motivo le occasioni vanno date a prescindere dall’età. Come coordinatore della scuola dello Stabile sto cercando di porre attenzione ai giovani attori e autori. Però trovo anacronistica l’idea che i giovani debbano ammazzare i vecchi. Io studio i classici e imparo da loro. Il gabbiano di Orazio Costa è il mio trampolino.

Il pubblico è tornato ad aver voglia di teatro in questi tempi altalenanti di pandemia?

Il pubblico, quando proponi le cose ci sta. C’è la paura inutile che lo spettatore non comprenda. Però per attirare i giovani bisognerebbe ispirarsi al modello inglese e londinese che funziona. Ovvero creare e produrre teatro per ragazzi e bambini tenendo conto delle fasce d’età, perché uno di 8 anni non è uno di 15, con altissima qualità. E occorre tenere sempre attivo lo sguardo sul presente. Anche i classici non bisogna chiuderli in una bolla museale, non si semina nulla. La mia regola è che lo sguardo deve assolutamente essere rivolto allo spettatore che non è mai entrato in sala.

Lo farà anche come nuovo direttore artistico del Ginesio Fest, dal 18 al 25 agosto tra le strade e i siti d’arte del centro marchigiano terremotato?

San Ginesio (Macerata) è un borgo in cui sanno cosa vuol dire ricostruzione. Io ho cercato di legare la mia parola con questo percorso. Quale è la forma oggi per raccontare le nostre emozioni? Mi sono soffermato soprattutto su persone che lavorano con la nuova drammaturgia in Italia, creando un gruppo per interrogarsi sulla forma, come si potrà raccontare la pandemia, se raccontarla e in che termini. Avremo anche grandi attori e un omaggio a Vitaliano Trevisan in occasione della sua scomparsa.

La grande popolarità le è arrivata con la fiction di Rai 1 'Noi'. Come l’ha vissuta?

È stata un’esperienza molto bella dove il regista Luca Ribuoli era molto attento alla recitazione. Farò ancora cinema e tv. Per il cinema ho un progetto che uscirà a breve con la regia di Tavarelli, mentre in questi giorni è nelle sale Il Paradiso del pavone di Laura Bispuri , dove faccio il marito di Alba Rowrwacher, un’attrice e una persona strepitosa.

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