sabato 26 settembre 2015
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​ La vita, le ambizioni, la scaramanzie di portare sempre le stesse scarpe ovviamente risuolate prima di girare una scena, l’attenzione manicale per le inquadrature come per la verità o meno di una sceneggiatura: interpretata dal “re dei commissari e dei poliziotteschi”: Maurizio Merli (1940-1989). E’ la storia di questo attore oggi da molti dimenticato e morto a soli 49 anni dopo una partita a tennis il 10 marzo 1989 a Roma raccontata da Fulvio Fulvi nel libro Maurizio Merli, il poliziotto ribelle (Bloodbuster editore, pagine 160, euro 12). «Quello che ci interessa di più in queste pagine – scrive l’autore – è far venire fuori il Merli uomo e attore, illuminarne la personalità, soprattutto attraverso le testimonianze di chi lo ha incontrato e conosciuto nella sua breve vita, di chi ci ha lavorato accanto negli anni del successo e dell’oblio». Uno dei meriti di questo saggio, pensato per gli addetti ai lavori ma anche per il grande pubblico, non è solo quello di riconsegnarci la figura oggi forse impolverata dal tempo di questo attore “mito” degli anni Settanta ma ripescare, in una galleria di aneddoti e racconti, il mondo che ruotava attorno al “commissario di ferro”: dalle testimonianze di Stelvio e Danilo Massi, Massimo Mirani a quella di uno dei registi cult di questo genere Umberto Lenzi. Uno dei pregi di questa pubblicazione è ripercorrere con lo scomparso Merli (spesso mostrato dalla critica del suo tempo come il contraltare in chiave meno talentuosa di Franco Nero) tutti i suoi poliziotteschi di successo da Roma violenta a Italia a mano armata, da Paura in città a Poliziotto sprint di Stelvio Massi fino alle pellicole, firmate dal regista Umberto Lenzi come Roma a mano armata o il cult Il cinico, l’infame e il violento o, ancora, Napoli violenta. L’autore scandaglia la complessa personalità di Merli soffermandosi su aspetti poco battuti della sua biografia: le sue origini umili, il suo inizio nei fotoromanzi come le sue esperienze teatrali con Luca Ronconi o per la Tv con l’indimenticato Sandro Bolchi, o il remake nel 1974 di Catene (meno lacrimevole rispetto a quello firmato da Raffaello Matarazzo con Yvonne Sansonne e Amedeo Nazzari) fino a un piccolo cammeo nel Gattopardo di Luchino Visconti. Il volume permette di scoprire il dualismo sulla scena vissuto da Merli con i “cattivi” del set con cui si imbattè: Tomas Milian e Mario Merola; ad impressionare è poi la galleria fotografica dove si vede il leggendario commissario premere il grilletto, molte volte con una leggera facilità, contro i malviventi di turno o subire o essere lui il regista di memorabili scazzottate. Nella ricerca condotta da Fulvi si scopre che Merli quasi sempre anche nelle scene più rischiose a azzardate non utilizzava controfigure («Non aveva paura del pericolo» confiderà in un’intervista il maestro Umberto Lenzi). Leggendo e scorrendo queste pagine si torna quasi a un Italia chiusa nella cappa del terrore e degli anni di piombo: quasi ogni istantanea ci riporta agli inseguimenti delle mitiche “Giulia Alfa Romeo” e a quei cattivi che scappano per non essere presi dalle volanti della “Madama”: la Polizia. Lo scrittore rilegge il personaggio Merli, oltre la gabbia stringente e stereotipata del commissario, (che fu anche la causa indiretta del suo oblio tanto da non essere più scritturato per i film ma solo ripescato per qualche comparsata in Tv) e riconsegnarci un attore degno ancora di nota non solo per i suoi ruoli poliziotteschi ma anche per film come Zanna bianca alla riscossa o la serie Tv per la Rai Il giovane Garibaldi di Franco Rossi che gli diede l’iniziale popolarità. Un libro che ci restituisce in fondo un’Italia che non c’è più e l’immagine di un attore che dietro a quel volto da bullo e da seduttore con la pettinatura sempre in ordine anche dopo una scazzottata e un inseguimento a bordo di una “pantera” grigio-verde nascondeva soprattutto l’aspetto e lo stile di un timido perbene.
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