E uno
Stoner italiano no? Un libro dimenticato, poco o comunque non abbastanza valorizzato al suo apparire al quale andrebbe data oggi la possibilità di una riscoperta. Per motivi culturali, certo, ma senza trascurare l’eventualità del best seller involontario. Del resto allo
Stoner originale, quello americano, è andata proprio così: prima uscita sottotono nel remoto 1965, trasformazione in libro “di culto” a oltre quarant’anni di distanza, quando nel 2006 la “New York Review of Books” prende l’iniziativa di riproporre questo romanzo dell’altrimenti negletto John Edward Williams, uno scrittore morto nel 1994 e, fino a quel momento, ammirato da pochi e ignorato da tutti gli altri.Nato in Texas nel 1922, combattente in Birmania nella Seconda guerra mondiale, a lungo docente di letteratura in università relativamente marginali (Missouri e, in particolare, Colorado), Williams è autore di quattro romanzi in tutto, ai quali va aggiunto l’incompiuto
Il sonno della ragione. La sua prova d’esordio, il cupo e fitzgeraldiano
Nulla, solo la notte del 1948, esce soltanto ora in Italia nella traduzione di Stefano Tummolini (Fazi, pagine 138, euro 13,50), a coronamento di un percorso che coincide con la marcia trionfale di
Stoner anche nel nostro Paese.A rendere ancora più interessante il quadro è il fatto che il protagonista del capolavoro di Williams non è precisamente un vincitore. Figlio di una modesta famiglia contadina, il giovane William Stoner arriva all’università quasi controvoglia, lì scopre per caso il fascino di Shakespeare e si specializza in una disciplina scarsamente popolare come la letteratura latina medievale, avviandosi a una carriera accademica priva di autentiche soddisfazioni. Vita familiare tutt’altro che felice, per di più, ma l’uscita di scena è contrassegnata da qualcosa che assomiglia alla felicità: aver conosciuto se stesso, aver trovato il proprio posto nel mondo. Lo
Stoner redivivo ha entusiasmato anzitutto gli scrittori, da Ian McEwan alla francese Anna Gavalda, che ha voluto tradurre personalmente il romanzo. Il successo del libro – in testa alle classifiche in Olanda come in Israele – è andata di pari passo con la valorizzazione degli altri titoli di Williams. Da noi il fenomeno era iniziato già nel 2010, quando Castelvecchi aveva proposto
Augustus, la corposa rievocazione della Roma imperiale che all’inizio degli anni Settanta aveva guadagnato a Williams un
ex aequo al National Book Award (l’altra metà del premio era andata a
Chimera di John Barth, autore all’epoca molto amato dalla critica). Poi, nel 2012, Fazi ha pubblicato
Stoner nella versione del già ricordato Tummolini, dando il via a un’ondata di entusiasmo che non accenna a diminuire. Anche perché nel frattempo è arrivato in libreria
Butcher’s Crossing (ancora Fazi, traduttore immutato), romanzo di ambientazione western apparso originariamente nel 1960 e, sotto molti aspetti, non meno interessante dell’acclamato
Stoner.Adesso il cerchio si chiude con
Nulla, solo la notte, nel quale riecheggia il disincanto del
Grande Gatsby e già si annuncia la rivolta morale del
Giovane Holden. Non per questo, però, la sorte di
Stoner appare meno misteriosa: possibile che occorra così tanto tempo per accorgersi del vero valore di un libro? E non sarà, appunto, che anche nel passato prossimo della narrativa italiana ci sono testi meritevoli di una seconda occasione? È la domanda che abbiamo rivolto a tre protagonisti della critica e della letteratura di oggi, ottenendo – come prevedibile – risposte di volta in volta molto diverse. Ma che il calendario della cronaca non coincida con quello della storia, a pensarci bene, non è una novità. In alcuni casi, come questo di
Stoner, può addirittura essere una consolazione.