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In campo filosofico, le tendenze si formano e si consolidano per molti motivi, non ultimo l’influenza dei dati scientifici. Un motivo di successo, invece, è spesso dato dal carattere controintuitivo, ovvero dal fatto che le teorie vadano contro il senso comune. Oggi questo accade per la libertà intesa non nella sua accezione politica bensì in quella fondamentale degli individui presi in sé. Chiunque di noi si sente libero quando sceglie se ordinare risotto o pastasciutta al ristorante o, meno prosaicamente, di sposarsi o di entrare in convento. Ma le cose non sono così semplici. E questo lo sappiamo almeno da Platone. Le scoperte che vengono dallo studio rigoroso del comportamento e le nuove conoscenze sul cervello sembrano dirci che le cose invece sono piuttosto lineari: non siamo liberi come crediamo. Punto.
Nel moltiplicarsi di opere che cavalcano questa idea inquietante e rivoluzionaria per le nostre pratiche sociali, arriva un libro rigoroso e accessibile mirato a contrastare l’euforia per il cosiddetto “illusionismo”, ovvero l’idea che la libertà sia solo una nostra erronea e superficiale impressione. Christian List, docente alla London School of Economics and Political Science, ha preso di petto il tema come indica il titolo originale dell’opera: Perché il libero arbitrio è reale, divenuto nell’edizione italiana, ben tradotta da Vincenzo Santarcangelo, un più cauto Il libero arbitrio. Una realtà contestata (Einaudi, pagine 218, euro 21,00). L’argomento di List si appella a tre condizioni che definiscono la nostra libertà. La prima è la agency (non c’è vero corrispettivo italiano in senso filosofico), ovvero il fatto che noi siamo dotati di intenzioni che ci guidano e motivano azioni coerenti. Questo presupposto è sfidato dal materialismo riduzionistico, per cui c’è solo il cervello che causa le azioni senza bisogno di intenzioni mentali. La seconda condizione è data dalle possibilità alternative, cioè dal fatto che per essere liberi dobbiamo avere la possibilità di fare altrimenti (nozze o vita religiosa).
Ma qui il determinismo (difficile da negare in natura) dice che il corso degli eventi è stabilito da catene causali precedenti su cui non possiamo intervenire. Infine, il controllo causale stabilisce che devono essere stati mentali coscienti come le intenzioni a produrre le nostre scelte e non processi cerebrali sui quali non abbiamo controllo, come al contrario afferma l’epifenomenismo. Come si superano le tre forti obiezioni? List propone di non pensare che tutto si giochi dentro il nostro sistema nervoso e di considerare invece un livello d’analisi superiore. Agency , possibilità alternative e controllo causale sono fenomeni che emergono da processi fisici, ma che non possono essere descritti in termini esclusivamente fisici, come i governi o la disoccupazione. La libertà è un fenomeno di livello superiore, non meno vero e reale di entità puramente fisiche. Argomento elegante e da apprezzare. Tutto di nuovo a posto, dunque?
Non proprio. Perché gli “illusionisti” hanno frecce al loro arco. Come dimostra l’ormai classico volume che riassume gli esperimenti che hanno dato fama allo psicologo americano Daniel Wegner, L’illusione della volontà cosciente, meritoriamente messo ora a disposizione del pubblico italiano dall’editore Carbonio (pagine 460, euro 18,00). Lo studioso, scomparso nel 2013, presenta la volontà cosciente come una mera apparenza senza capacità causali.
A suo giudizio, gli strumenti della psicologia sperimentale (ingegnosi e spiazzanti esperimenti realizzabili senza grandi mezzi) mostrano come l’esperienza della volontà – che pure, nella gran parte dei casi, è adeguatamente accoppiata alle nostre decisioni e ci dà dunque l’illusione della paternità sulle nostre azioni – faccia capo a un modulo mentale distinto dai reali meccanismi della volizione. E da ciò segue, secondo Wegner, che la volontà cosciente è senz’altro un’utile guida per comprendere il nostro agire nel mondo, ma non ha alcun potere causale, al pari di una bussola che non agisce sulla rotta della nave, anche se può indicarla. La conclusione è che «sentiamo di avere causato consciamente tutto ciò che facciamo, ma le nostre azioni ci capitano per caso». Abbastanza sconfortante se fosse sempre così.
Probabilmente siamo in una condizione mediana, nella quale la libertà è una proprietà difficile, frutto di tanti fattori, non esclusi i geni. Lo mostra il ruolo dell’autocontrollo (o forza di volontà), raccontato dallo studioso che ha inventato una ormai famosa prova per valutarlo. Mettere un bimbo di fronte a un dolcetto e lasciarlo solo dicendogli di mangiarlo o di aspettare alcuni minuti se vuole ottenerne due. Chi resiste, in media, ottiene migliori risultati nella vita e si mette in meno guai. Per Walter Mischel ( Il test del marshmallow. Padroneggiare l’autocontrollo, Carbonio, pagine 298, euro 16, 50) non siamo tuttavia determinati a un destino di impulsività o di temperanza. Ambiente sociale e sforzo individuale ci danno la possibilità di cambiare. Ovvero di essere liberi. Come, quanto e quando è una domanda che, come si vede, non ha ancora precisa risposta.