martedì 14 agosto 2018
Un mosaico di popoli antichi e giovani insieme, che fonde le identità particolari in un unico insieme capace di valorizzarle attraverso il sano agonismo
La 20 km di marcia, maschile e femminile, sfila ai piedi della Gedächtniskirche (Ansa/Ap/Matthias Schrader)

La 20 km di marcia, maschile e femminile, sfila ai piedi della Gedächtniskirche (Ansa/Ap/Matthias Schrader)

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Comunque sia andata, è stato un successo. Quali che siano stati – come sono sempre, in ogni grande manifestazione sportiva – le gioie e i dolori, i trionfi insperati sul filo di lana e le brucianti delusioni per anni di lavoro sfumati magari per una foratura o per un inciampo, i primi Campionati europei hanno rappresentato una vittoria scintillante, sia per lo sport sia per l’Europa.

Per lo sport, perché questa manifestazione organizzata un po’ di corsa ha davvero avvicinato il livello tecnico e l’attenzione mediatica di una piccola Olimpiade. Con buona pace del Comitato internazionale olimpico, la cui analoga iniziativa – i Giochi europei – non ha scaldato né gli atleti, né il pubblico, né soprattutto le federazioni sportive continentali: alla prima edizione, Baku 2015, hanno partecipato di fatto solo seconde linee. Fortemente voluti dall’Unione europea di radiodiffusione, questi Campionati europei si sono invece intelligentemente appoggiati a iniziative già in corso (gli Europei di atletica 2018 erano già stati assegnati a Berlino, Glasgow aveva tutti gli impianti pronti dopo i Giochi del Commonwealth di quattro anni fa) e le ha riunite in un unico contenitore ben calibrato soprattutto dal punto di vista televisivo. E ottimi sono stati i dati di ascolto, dei quali si sono giovate soprattutto le discipline minori (dal canottaggio al golf) che hanno beneficiato dell’effetto traino costituito dalle due regine, nuoto e atletica. Per ospitare la prossima edizione – che si terrà nel 2022 – non mancano le candidature, tra le quali quella di Roma: ma prima andrà sciolto il complesso gioco a incastri in corso per portare in Italia le Olimpiadi invernali del 2026. Organizzazione intelligente, coordinamento tra le federazioni sportive continentali che hanno fatto convogliare sull’iniziativa i propri Campionati che comunque si sarebbe dovuti svolgere nel 2018, costi contenuti grazie l’uso di impianti già esistenti: tutto ha funzionato a dovere.

Ma anche l’Europa nel suo complesso esce bene da questa rassegna, e proprio in un momento in cui il vecchio e un po’ acciaccato continente ha un gran bisogno di guardarsi allo specchio e vedere riflessa un’immagine un po’ migliore di quella, improntata agli egoismi e alla sfiducia, che sembra andare per la maggiore. A brillare è soprattutto l’Europa dei popoli che si incontrano e si sfidano, sì, ma per abbracciarsi sempre a fine gara; l’Europa di un marciatore (l’italiano Stano) che al rifornimento di metà gara prende due spugne anziché una, e l’altra la passa all’avversario tedesco accanto a lui. È l’Europa dove l’origine etnica e famigliare degli atleti – dei cittadini – è giusto un dato biografico e nulla più. La platea continentale ha esultato e si è rattristata allo stesso modo quando i colori delle loro nazioni erano in campo, indifferentemente dalle sfumature melaniche della pelle di chi li indossava. Senza enfasi, anzi, con la massima semplicità: come raccontava in telecronaca il sempre eccellente Franco Bragagna, nella staffetta italiana c’erano Filippo Tortu detto Pippo, brianzolo di origini sarde, ed Eseosa Desalu detto Fausto, cremonese di origini nigeriane. Senza bisogno di aggiungere altro.

Non è retorica: è la reale quotidianità di tanti europei, soprattutto giovani, che sono nati e cresciuti in un contesto in cui l’orizzonte continentale, e non nazionale, è quello nel quale sono abituati a muoversi, a confrontarsi, a vivere. Senza dimenticare le proprie radici – e la cerimonia del podio con gli inni e le bandiere è sempre lì, al termine di ogni gara, a ricordarle – ma capaci di portarle, queste radici, nel tronco comune di un’identità più ampia, come se il fusto del grande albero europeo avesse bisogno di abbeverarsi ai mille rivoli delle sue pluralità, per poter infine abbracciare sotto il suo ombrello frondoso tutti i popoli del continente.

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