giovedì 7 marzo 2019
Da oggi a sabato i Colloqui fiorentini discutono sulla poesia e il pensiero di Leopardi. Giovanni Maddalena: «Sa far emergere il lato emotivo delle cose e i giovani, anche oggi, vibrano con lui»
Il manoscritto dell'Infinito di Giacomo Leopardi

Il manoscritto dell'Infinito di Giacomo Leopardi

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Inviata a Firenze «Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare». Compiono 200 anni i versi conclusivi de L’Infinito di Giacomo Leopardi, una delle poesie più amate e più stupefacenti, con gli “interminati spazi”, i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quïete” che conducono proprio il poeta del pessimismo cosmico e del nichilismo a tangere per un istante “l’eterno”. Ma era davvero il poeta del nulla e della disillusione? O non è forse Leopardi un autore tutto sommato incompreso, prima di tutto da lui stesso? A Leopardi e al “Misterio eterno dell’esser nostro” è dedicata la 18° edizione dei Colloqui fiorentini (tre giorni da oggi a sabato al Nelson Mandela Forum di Firenze), maratona letteraria capace di attrarre un numero sempre crescente di studenti: organizzata dall’associazione di insegnanti “Diesse Firenze e Toscana”, quest’anno batte l’ennesimo record di 4.000 adesioni da 179 scuole superiori di tutta la Penisola (più un liceo inglese e uno giapponese, e dodici università italiane). «Stupefacente? Sì, non è scontato che oggi migliaia di giovani vengano per affrontare tre giorni di lavoro intenso su un poeta», commenta Giovanni Maddalena, docente di Storia della Filosofia all’università del Molise, che questa mattina aprirà i lavori, «invece non mi stupisce che i grandi autori possano essere ancora attrattivi e continuino a parlare ai ragazzi. Dimostra anche che in Italia la scuola superiore ha un corpo docenti valido».

Nel suo intervento, lei affronta due anime coesistenti: da una parte l’adesione del poeta al sensismo materialista, dall’altra la tensione all’infinito. Come esistessero due Leopardi antitetici.

«Ed è così. Come mai in Leopardi si sente sempre una tensione tra i pensieri negativi nichilisti e una poesia sognante, immaginativa, impregnata di una descrizione positiva della realtà? Il fatto è che in campo filosofico si era formato su cattivi maestri come i sensisti francesi, aveva studiato Rousseau e il pensiero materialista. Ma, senza rendersene conto lui stesso, nutriva in sé anche una filosofia opposta, metafisica, legata alla sua teoria del linguaggio e dei termini “vaghi”, indeterminati, che perciò ci fanno amare gli spazi sconfinati e palpitare per una poesia di cui non capiamo esattamente tutto... Dalla coesistenza di queste due filosofie nasce quella dialettica interiore che ce lo fa amare».

Il cliché del pessimista cosmico, insomma, è una banalizzazione.

«Oggi ai Colloqui non userò una sola volta la parola “pessimismo”. Non perché sia sbagliata, ma è insufficiente, considera solo un aspetto. È un errore che si fa spesso, non comprendendo che anche la sua teoria del linguaggio non è solo poesia ma pura filosofia. Ed è l’errore che compiva lui stesso, avendo ricevuto dai sensisti un’idea molto ristretta di pensiero filosofico e ignorando che la sua vera filosofia era quella dei mondi possibili, positiva, capace di sfuggire alle crudeli leggi meccaniche dell’universo».

Insomma, promosso in poesia, ma rimandato in filosofia?

«Non scordiamo che era molto giovane e autodidatta, imbattibile quando componeva opere geniali come L’Infinito, Aspasia o La sera del dì di festa («Dolce e chiara è la notte e senza vento » è il verso perfetto), ma la sua famosa teoria del piacere dal punto di vista filosofico non funziona proprio. Ed è questo che ce lo rende ancora più umano e simpatico. La riassumo: secondo Leopardi l’uomo in ogni singolo piacere della vita cerca il piacere universale ma, poiché esso è impossibile per definizione, alla fine tutte le speranze sono smascherate come illusioni, e più l’uomo è consapevole più soffre: la cultura svela il nulla del tutto. Il ragionamento non regge perché, dicendo che l’uomo cerca il piacere, Leopardi mette già in gioco un’entità che i filosofi chiamano universale, che non è presente nei particolari che si colgono con i cinque sensi: ad esempio l’amore universale nessuno lo vede o lo tocca, ma tutti ne conosciamo la forza particolare, nei particolari momenti della vita. A un animo grande come quello di Leopardi questa visione ristretta dei sensisti non bastava, così cercò di uscirne con la sua teoria linguistica sui termini “vaghi”, davvero interessante come filosofia».

Ci riassume anche questa?

«Secondo i romantici i sogni, gli ideali, l’amore sono frutto del sentimento. Invece per Leopardi, che è contrario ai romantici, sono le cose ad avere dentro di sé un infinito vago, indeterminato, che genera i sentimenti e di cui la poesia è imitazione, seppure insufficiente ad esaurirne la ricchezza. Per lui, insomma, la poesia è la rappresentazione limitata di una realtà infinita, addirittura è ciò che fa emergere la realtà come per Michelangelo la scultura. Le parole poetiche generano sogni, illusioni, chimere, ideali e speranze, e ci aiutano a vivere (almeno finché non interviene la “ragione calcolante”, che le spoglia del loro potere di suggestione)».

Ed è in quei momenti che il giovane Giacomo tange l’Infinito.

«In una lettera a Pietro Giordani del 1820 scrive che «poche sere addietro, aperta la finestra della mia stanza e vedendo un cielo puro, un bel raggio di luna, e sentendo certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare domandando misericordia alla natura, la cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo...». Sembra di vederlo mentre scrive L’Infinito... Secondo lui, nelle nostre illusioni c’è un autore che non si è ancora del tutto espresso ed è la Natura, cui si può “domandare misericordia” perché ci aveva promesso felicità, la felicità annunciata quella notte da “un moto nel cuore”».

Ai ragazzi di oggi, così diversi, cosa può dire Leopardi?

«Parla loro come ai ragazzi di 200 anni fa e di domani. Io insegno alle matricole 18enni del Molise come ai laureati dell’École Normale Supérieur di Parigi, ma quando si dice qualcosa di profondamente vero si è sempre in consonanza. Leopardi esprime la conoscenza delle esperienze facendo emergere tutto l’aspetto emotivo e i giovani vibrano con quel ragazzo di 200 anni fa. Tutto dipende dagli adulti e da cosa propongono: il cuore dell’uomo è sempre lo stesso, a mutare sono solo gli aspetti sociologici, e passare attraverso questi per raggiungere ogni cuore è il compito dei professori».

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