sabato 23 aprile 2022
La rilevanza artistica e teologica del gioiello architettonico, tra Rinascenza e Risurrezione, è stata oggetto di un simposio ed è spunto per una mostra di arte contemporanea al Museo Marini
Il Santo Sepolcro, realizzato da Alberti nella cappella Rucellai in San Pancraio, oggi Museo Marini, a Firenze

Il Santo Sepolcro, realizzato da Alberti nella cappella Rucellai in San Pancraio, oggi Museo Marini, a Firenze - Studio Lorenzo Michelini

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«Un capolavoro artistico assoluto, ma anche un capolavoro di testimonianza cristiana»: non ha dubbi Timothy Verdon, direttore dell’Ufficio di arte sacra della diocesi di Firenze, a definire così il Santo Sepolcro di Leon Battista Alberti realizzato tra il 1457 e il 1467 per la cappella Rucellai, attigua all’antica chiesa di San Pancrazio e oggi Museo Marino Marini, nel centro storico di Firenze, come replica in scala 1:2 del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Il disegno della Cappella e la realizzazione del Sepolcro seguirono i lavori di ampliamento della chiesa di San Pancrazio (documentata dal 931) realizzati dai benedettini vallombrosani che tra il 1447-56 rifecero il chiostro contiguo con il Palazzo Rucellai, rinnovato dallo stesso Alberti. Il committente, Giovanni di Paolo Ruccellai (1403-1481), per l’intensa attività costruttiva noto come "Giovanni delle fabbriche", fu un mercante di stoffe fiorentino, amico personale dell’Alberti, legato ai Medici attraverso il matrimonio del figlio Bernardo con la sorella di Lorenzo il Magnifico, Nannina de’ Medici.

La riproduzione del Santo Sepolcro, pensata inizialmente per Santa Maria Novella dove l’Alberti lavorava alla facciata, è un’icona architettonica e religiosa di cui anche molti fiorentini ignorano l’esistenza. Basterebbe questo per dare valore all’iniziativa di dedicare al prezioso tempietto un convegno di tre giorni su "Rinascenza come resurrezione" e una mostra, "Fons Vitae", che attraverso l’opera di quattro artisti contemporanei rilegge il tema della rinascita in dialogo con lo stesso capolavoro dell’Alberti, che costituisce in ogni caso una formidabile chiave di lettura per il primo Rinascimento e l’Umanesimo fiorentino.

«C’è un legame profondo tra Rinascimento e Resurrezione — ha spiegato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, intervenendo al convegno — il Sepolcro salda infatti le due dimensioni, quella culturale e quella della fede. L’evento salvifico cristiano non resta rinchiuso nell’ambito religioso, ma offre speranza alla dimensione umana».

Nel corso del confronto, da giovedì a questa mattina, tra la basilica di San Lorenzo e il Museo Marini, le caratteristiche del Sepolcro della cappella Rucellai sono state approfondite da teologi e storici dell’arte come Anke Naujokat della Rwth Aachen University, che da vent’anni studia il Sepolcro e che ha evidenziato come questo abbia il valore di una «metafora di Firenze», della sua prosperità e del suo ruolo di centro di rinnovamento religioso.

Per la prima volta il convegno ha preso in esame le connessioni storico artistiche e quelle spirituali del monumento, molto studiato dagli esperti di tutto il mondo, ma poco noto al grande pubblico. Il Santo Sepolcro racconta anche il ruolo di Firenze come nuova Gerusalemme e in queste senso la storica dell’arte Cristina Acidini ha guidato il confronto sul tema dei luoghi di pellegrinaggio ideale, che nel tempo hanno sostituito, in Europa e non solo, la visita al Santo Sepolcro gerosolimitano.

Il convegno ha visto la partecipazione di studiosi come il professor Alexei Lidov, Ettore Rocca dell’Università Reggio Calabria e University of Copenhagen, Giovanni Serafini del Museo dell’Opera del Duomo, Vincenzo Vaccaro dell’Opera di Santa Maria del Fiore che ha curato il restauro del Sepolcro, Lorenzo Gnocchi e Elena Bastianini dell’Università di Firenze, Gianni Cioli, Agnese Fortuna e Roberto Gulino della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.

Collaterale al convegno, come accennato, è allestita la mostra "Fons Vitae" nella cripta dell’ex chiesa, oggi museo, proprio sotto il Sepolcro dell’Alberti dal quale gli artisti Peter Brandes, Maja Lisa Engelhardt, Susan Kanaga e Filippo Rossi hanno preso ispirazione per sviluppare l’incontro tra umanesimo e contemporaneità. Un allestimento di forte impatto che si presenta come un’opera unica nonostante gli stili e i materiali diversi utilizzati dai quattro scultori e pittori.

La base del Sepolcro quattrocentesco è tracciata sul pavimento e trasformata in luce da Peter Brandes, mentre a destra e sinistra le sculture di Maja Lisa Engelhardt ne evocano il miracolo. Sopra le scale, tra i fiori dipinti da Susan Kanaga, Filippo Rossi raffigura il mondo nuovo evocato nell’Apocalisse, in mezzo al quale scorre «un fiume d’acqua viva, limpida come cristallo» e cresce «un albero di vita».

L’installazione accosta il Sepolcro all’acqua del fiume e alla vitalità del giardino invitando a riconoscere nella tomba vuota di Pasqua il segno dell’amicizia di Dio per l’umanità. L’impressione complessiva, nel buio della cripta, è di un sogno nato dalla Pasqua: un sogno di luce, di bellezza, di vita, che secondo gli organizzatori «deve lasciare allo spettatore il ruolo da protagonista mentre si trova a salire dal Sepolcro verso un cosmo redento con l’impressione di poter far parte, almeno per la durata della visita, della logica eterna dell’amore di Dio».

«È una mostra — spiega la presidente del “Marini” Patrizia Asproni — che cattura lo spirito del luogo: un museo che contiene al suo interno una cappella consacrata, il simbolismo del tempietto Rucellai e la forza delle opere d’arte contemporanea, la luce meditativa dell’architettura e il buio silenzioso delle cripta sotterranea, la pervasività del sacro e dello spirito laico fusi insieme nell’umanesimo dell’arte». La mostra sarà aperta al pubblico fino al 6 giugno nei giorni di apertura del museo, sabato, domenica e lunedì ore 10-19.

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