mercoledì 17 gennaio 2018
Il fascismo escluse gli ebrei dalla società italiana. A Venezia il dissenso istintivo di un gruppo di studenti: un episodio che vede protagonista la futura stilista Roberta di Camerino
Una pagella scolastica successiva alla promulgazione delle leggi razziali (Ansa)

Una pagella scolastica successiva alla promulgazione delle leggi razziali (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Ne avevano cacciati cinque di docenti ebrei dall’università veneziana di Ca’ Foscari, all’indomani delle leggi razziali del 1938. I loro nomi, per non dimenticare: Gino Luzzatto, Adolfo Ravà, Gustavo Sarfatti, Olga Blumenthal ed Elsa Campos. Luzzatto era uno dei più illustri storici italiani dell’economia e diventerà rettore di Ca’ Foscari nel 1945, all’indomani della Liberazione; Elsa Campos emigra in Palestina, mentre Olga Blumenthal subisce la sorte peggiore: la deportano a Trieste, nella Risiera di San Sabba e da lì a Ravensbrück, dove muore nel febbraio 1945.

Le leggi razziali di ottant’anni fa costituiscono l’oggetto di una mostra, “Ca’ Foscari allo specchio”, allestita nella sede delle Zattere, a Venezia, fino al 31 gennaio. All’inaugurazione l’attrice Ottavia Piccolo ha letto il racconto di un episodio accaduto all’esame di maturità del 1939 nel liceo classico “Marco Polo” e che ha coinvolto una maturanda di nome Giuliana Coen, destinata a diventare ben nota con il nome che avrebbe in seguito scelto per firmare le sue creazioni di moda: Roberta di Camerino.

È la stessa stilista a spiegare come andò in un libro di memorie, R come Roberta, pubblicato nel 1981: «Quella mattina entriamo in classe e assisto alla prima sorpresa. Tutti i banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono due in un canto, un po’ scostati. Io faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: “No, laggiù per favore”, e indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di quel che sta accadendo perché c’è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c’è chi cambia idea all’ultimo momento, chi baratta il suo con un altro posto. Alla fine siamo tutti seduti. C’è un attimo di silenzio, finalmente. Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è un mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È il figlio di una principessa eritrea e d’un generale italiano. “Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte”. Ha una voce sonora, un accento romanesco, ma elegante. Il professore ha un momento d’imbarazzo, ma si riprende. “Sono privatisti”. Il mulatto sorride. “Certo: privatisti. Ma perché sono ebrei, non è vero?”. Questa volta l’imbarazzo del professore è più evidente. Il giovane eritreo non gli dà nemmeno il tempo di dire una parola. “Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito, non è vero? Perciò, con il suo permesso...”. Ma non aspetta il permesso di nessuno. Prende l’ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato. Allora accade l’imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, alcuni mi fanno alzare, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri. Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore. C’è un attimo di silenzio. L’insegnante è turbato. Si leva gli occhiali, passa una mano sugli occhi. Poi, quasi parlando a se stesso, ma lo sentiamo benissimo dal posto, si lascia scappare un: “Vorrei abbracciarvi tutti quanti”».

Il ragazzo mulatto che si alza per primo e scatena una reazione da Attimo fuggente si chiama Ludovico Sprocani; il registro della maturità dice che è nato a “Cheren (colonia eritrea)” – oggi Keren – e che viene promosso a settembre dopo aver ridato l’esame di matematica e fisica.

Sono centosette i candidati alla maturità di quell’anno. Oltre alle ragazze e ai ragazzi del Marco Polo, sono iscritti i maturandi dell’Istituto Cavanis, un liceo cattolico, e un certo numero di privatisti registrati sotto la voce “istruzione paterna”. Giuliana non è l’unica Coen a dare l’esame: c’è anche Lilla (sua grande amica, ma non parente) e pure Nelly Basevi è una pri vatista ebrea. Giuliana viene promossa a giugno con sette in matematica, scienze ed educazione fisica, sei nelle altre materie.

Le tracce di quel ragazzo coraggioso, si perdono. Sprocani, che tutti chiamano Vico, nel dopoguerra diventa direttore a Venezia di un giornale dell’Uomo Qualunque, la formazione politica che ebbe grande successo nelle elezioni del 1946, e poi si trasferisce a Gallarate con la moglie veneziana. La mostra di Ca’ Foscari si occupa anche di un’altra meticcia africana, Olga Manente, anche lei figlia di un ufficiale dei carabinieri in Eritrea, originario di Spinea, vicino a Venezia; il padre la fa studiare fino a iscriverla all’università. Anche lei, in quanto non ariana, è tenuta sotto controllo dalle autorità di polizia; si laurea nel 1945 e diventa insegnante di lingue a Verona.

L’immagine guida della mostra all’Università Ca’ Foscari, tratta dall’Archivio Storico dell’ateneo veneziano

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: