venerdì 5 marzo 2021
Walter Vacchino, patron del Teatro più famoso d’Italia, dove dal 1977 si tiene la kermesse canora, si racconta da una platea rimasta per la prima volta vuota
Le poltrone intelligenti del signor Ariston
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A piazza Colombo, a due passi dall’Ariston in questo drammatico e pazzo marzo 2021 va in scena l’altro Festival. Quello dei commercianti, dei ristoratori e gli albergatori che sono rimasti al verde nella città in arancio rinforzato, in realtà, trattasi di un rosso tutt’altro che relativo. «Non è possibile cambiare colore dal mattino alla sera, a questo punto era meglio riaprire il lunedì dopo il Festival. La programmazione è tutto, nel lavoro come nella vita ». Saggezza e solidarietà di un pilastro della cultura sanremasca, Walter Vacchino, alias il signor Ariston. Il padrone del Teatro più famoso d’Italia e anche l’unico aperto al momento grazie al Festival. Unico spettatore e rappresentante della 'terza parete', il pubblico, assente. Ma questa apertura, non tutti l’hanno gradita e tanto meno compresa. Così come molti non hanno apprezzato affatto che in piena pandemia la musica di Sanremo non si sia stata fermata. «L’Ariston aperto è un segnale di ripartenza nazionale ed internazionale – attacca Vacchino – . Una radio francese ieri mi ha chiamato e mi ha detto: 'Apprezziamo il vostro coraggio, qui in Francia è tutto chiuso'. Io ho massimo rispetto della sicurezza sanitaria e dei relativi protocolli ministeriali, ma ho anche decine di dipendenti che a differenza di molti là fuori hanno continuato a prendere lo stipendio e a mandare avanti altrettante famiglie. Il Festival che si fa lo stesso è una pietra che viene lanciata al Palazzo della politica affinché al più presto ripartano le attività legate alla cultura e allo spettacolo... E poi è bene che si sappia: l’Ariston ha una sua unicità, questo è un distaccamento della produzione Rai nella città di Sanremo». L’unicità di un teatro dove dal 1977 si tiene la kermesse della canzone italiana e contemporaneamente continua ad ospitare tante di quelle manifestazioni da far utilizzare a Vacchino il vecchio slogan Rai, «all’Ariston di tutto di più».


«Questo teatro, grazie all’intuizione di Amilcare Rambaldi, ha una doppia anima musicale: una è quella del Festival della canzone italiana, l’altra è il Club Tenco e il Festival della musica d’autore che va avanti dal 1973». Vacchino chiude gli occhi dalla sua poltrona solitaria e rivede una Targa Tenco con un «quartetto da favola sul palco: Conte, Be- nigni, Fossati e De Gregori. E quando mi ricapita più?» Ricorda un Antonio Ricci, il papà di Striscia la notizia giovane cabarettista esibirsi dal palco dove ora sta provando Renga e la Casadilego. «Qui da sempre si fa cinema, teatro, convegnistica, campionati mondiali di poker e perfino di pugilato. Nel ’68 Benvenuti mise in palio la corona iridata dei pesi medi combattendo contro Don Fullmer... Ricordo ancora i biglietti venduti a 50mila lire: 2.200 spettatori, di cui 200 piazzati sul intorno al palco diventato ring». Vacchino mentre racconta mostra dal telefonino l’ex ring e la sala vuota in cui ogni sera si tiene il dialogo surreale tra Fiorello e le poltrone. «Io ci parlo? Da sempre, anche perché le ho disegnate personalmente e fatte realizzare dalla ditta Destro. Si sono sentite sole e abbandonate, ma dopo l’attimo di smarrimento iniziale della prima serata hanno cominciato a vibrare vibrare e ad animarsi – sorride divertito il signor Ariston – Le posso assicurare che queste sono poltrone molto sensibili e intelligenti».

Poltrone non più prenotate e finalmente non appaltate da vip e politici abituati a sfilare ad ogni Festival piazzandosi in prima fila a favore di telecamera Rai1. La metà dei posti nel Festival dell’emergenza sono stati tolti per dare ancora più spazio alla magnifica scenografia realizzata da Gaetano Castelli, «il mio amico geniale», sottolinea Vacchino, e per permettere a Fiorello di spaziare con i suoi monologhi e le sue gag. Amadeus, come il signor Ariston avrebbe voluto riempire il Teatro «con centinaia di medici e infermieri», gli angeli di questo nostro tempo come Alessia Bonari (il selfie del Covid) che ha calcato quelle tavole dove è passata la storia dello spettacolo italiano. E Vacchino ha avuto il privilegio di vedere lo show sanremese sempre molto prima della diretta tv. «I conduttori a cominciare dagli ultimi, i nostri 'Amarello' (Amadeus e Fiorello), li ho amati tutti. Ognuno per le sue peculiarità. Con Pippo Baudo è stato il rapporto più lungo (13 Festival). Mi divertivano le pause e l’ironia di Raimondo Vianello, la leggerezza colta di Paolo Bonolis, la professionalità maniacale di Mike Bongiorno ma anche quella umana di Antonella Clerici e Carlo Conti. E poi la passione per il mestiere di Fabio Fazio e il senso per la musica di Claudio Baglioni... Un’esibizione memorabile? Peter Gabriel con Shock the monkey che si lancia con la fune e poi crolla di schiena in mezzo al pubblico della platea». Momenti di grande spettacolo ma anche di ordinaria follia, con le folli incursioni di Cavallo Pazzo o i tentativi di suicidio in eurovisione dalla balaustra della galleria, più o meno architettati ad arte. «Non so quali siano stati gli episodi finti o veri, di sicuro quella volta che Baudo portò i dimostranti dell’Italsider sul palco non c’era niente di preparato. E quel momento di umana e legittima disperazione, purtroppo non è tanto diverso da quello che stiamo vivendo». Si alza dalla poltrona il signor Ariston e sale sul palco. E allora prima di salutarci dal piccolo schermo del cellulare, chiedo: ma scusi, perché tutti i cantanti, anche i più grandi, dicono che questo palcoscenico fa paura? «Il segreto è presto svelato, se da qui il cantante riesce a creare certe emozioni, quelle arriveranno a far vibrare milioni di poltrone intelligenti quanto queste, e l’effetto sarà talmente forte che a quell’artista gli cambierà la vita, per sempre».

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