sabato 13 giugno 2015
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Maggio 1969. Alla 24 Ore di Le Mans si partiva a piedi. Correndo. Lui invece camminò, senza fretta. L’auto da guidare aspettava i piloti a motore spento, parcheggiata a spina di pesce dall’altra parte della pista. Cinquanta metri da fare col cuore in gola, perché chi prima saliva in macchina, prima partiva. Abitudine tradizionale, molto coreografica, vagamente folle. Perché costringeva i piloti a gareggiare senza cinture di sicurezza, che richiedevano di essere allacciate correttamente dai meccanici. Jacky Ickx invece salì per ultimo sulla sua Ford GT40. La accese con calma e si allacciò da solo le cinture, mentre tutti gli altri erano già schizzati via sgommando. Perse quasi mezzo giro. Rimontò, superò tutti, e 24 ore dopo vinse quell’edizione con 120 metri di vantaggio sul secondo classificato. Un gesto storico quello di Ickx, nome da leggenda, faccia da film ancora oggi, a 70 anni suonati e portati con la leggerezza di una curva a 200 all’ora. «Una provocazione la mia? Può darsi...», ha detto una volta sorridendo. Forse fu solo un gesto deciso al momento, anticonformista come lui. Resta il fatto che dall’anno dopo cambiò il regolamento (prima del ’70 erano permessi solo due piloti per auto, ora sono tre, ndr). La scelta di Ickx dimostrò che era inutile continuare con una procedura tanto rischiosa, e da allora la partenza avviene in modo normale, con i piloti seduti in auto. Ma l’episodio dimostra che la leggenda che ammanta una delle corse più affascinanti della storia, quella che dal 1923 - quattro anni in anticipo rispetto alla prima Mille Miglia italiana- si disputa sul Circuit de la Sarthe, 200 km da Parigi, dal nome del dipartimento francese in cui si trova la pista, non è fatta solo di auto e di tempi sul giro.Storia, tradizione, curiosità. La partenza “alla Le Mans” è anche il motivo per cui le Porsche da strada anche oggi (caso unico tra i marchi automobilistici) hanno l’accensione a sinistra dello sterzo, invece del più tradizionale alloggiamento a destra. Ciò permetteva al pilota di avviare il motore con la mano sinistra mentre al tempo stesso la destra inseriva la prima, consentendo così alle Porsche di uscire dalla linea di partenza più rapidamente.Nel 1970, con l’epica battaglia Ferrari-Porsche (poi diventata il film con Steve McQueen), iniziò l’era della casa di Stoccarda che tuttora è la Casa che ha vinto di più (16 trionfi). Il resto è cronaca, con i quattro anelli dell’Audi che hanno monopolizzato 13 delle ultime 15 edizioni (interrotte solo da Bentley nel 2003 e da Peugeot nel 2009), introducendo successi rivoluzionari, come il primo ottenuto con un motore diesel.Sui 13 chilometri e mezzo di un tracciato, che per metà è una strada pubblica prima e dopo la gara, sono passate imprese e tragedie. Terribile quella del 1955, quando la Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh investì l’Austin Healey di Lance Macklin piombando sulle tribune: insieme al pilota della Mercedes morirono 83 spettatori. Le Mans ha costretto il mondo dell’auto a migliorare la tecnica, la meccanica, le prestazioni, ma anche la sicurezza delle vetture e insieme l’evoluzione dell’automobile da competizione.Perchè, come dice Ickx, «disputare la 24 Ore è come correre 15 Gran Premi di Formula 1 uno di seguito all’altro. Senza respirare. Non basta essere un buon pilota ed avere la monoposto migliore. Servono anche due formidabili compagni e una squadra affiatatissima». Oggi e domani si replica: la 24 Ore di Le Mans resta l’evento di punta del Campionato del Mondo Endurance FIA, la più importante competizione mondiale per vetture Sport Prototipo e Gran Turismo in gare da durata. Un banco di prova importantissimo per i costruttori, diverso da quello della Formula 1 perché qui le vetture impegnate hanno fortissimi legami con quelle di produzione stradale e con la sfida dell’efficienza e del risparmio dei consumi.La classe regina, la LMP1, racchiude infatti prototipi con cilindrata libera (non più di 5,5 litri, invece per i modelli non ibridi) e con un peso minimo di 870 kg. Le Case impegnate con vetture a doppia alimentazione possono scegliere se rilasciare 2, 4, 6 o 8 MJ di energia per ogni giro. L’importante è che il risultato finale, cioè l’energia complessiva generata, sia uguale per tutti per equiparare le prestazioni. Per questo a Le Mans vince chi ha la tecnologia migliore.La favorita anche in questa edizione è l’Audi R18 e-tron quattro (4.0 V6 turbodiesel, 4 MJ), in modo particolare quella guidata dall’equipaggio composto dallo svizzero Fässler, dal tedesco Lotterer e dal francese Trèluyer, che insieme hanno già conquistato tre edizioni della 24 Ore. Dovrà battere la Porsche 919 Hybrid (2.0 V4 turbo benzina, 8 MJ), teoricamente la più veloce tra tutte le auto in gara, e la Toyota TS040 Hybrid (£.7 V8 a benzina), mentre la rivoluzionaria Nissan GT-R LM Nismo ha poche possibilità con il suo innovativo e originale layout "tutto avanti" (motore e trazione sono anteriori) mai visto, in tempi moderni, sul circuito della Sarthe.I prototipi di oggi hanno poco di eroico e molto di più di tecnologico e scientifico; ma per molti appassionati il fascino de “La Ronde Infernale”, come viene chiamata, rimane intatto. «Se un pilota - ricorda Jacky Ickx - anche il più forte, che non ha mai vinto a Le Mans, vi dicesse di non voler scambiare la sua vittoria più importante con una trionfo alla “24 Ore” non credetegli. Di certo sta mentendo».
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