venerdì 31 agosto 2018
Dai dieci viaggi in Iraq dei documentaristi Mannocchi e Romenzi il tragico quadro: «Sui bambini dei terroristi la vendetta della gente»
Un'immagine tratta dal documentario Isis Tomorrow presentato a Venezia

Un'immagine tratta dal documentario Isis Tomorrow presentato a Venezia

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Li chiamano i “cuccioli del Califfato” e sono le armi che l’Isis ha lasciato in eredità per il futuro. Centinaia di migliaia di bambini educati alla violenza e al martirio, pronti a veicolare l’ideologia jihadista contro gli infedeli da sterminare. La guerra è finita, ma l’Iraq sarà in grado di accettare i figli dell’Isis, di perdonare le loro madri e riconciliare le anime del paese? È quello che si sono chiesti Francesca Mannocchi, reporter e giornalista che da anni collabora con numerose testate italiane e internazionali, e Alessio Romenzi, fotografo, nel bellissimo documentario Isis, Tomorrow - The Lost Souls of Mosul, presentato ieri fuori concorso a Venezia e prodotto da Lorenzo Gangarossa e Gabriele Immirzi con Rai Cinema e Wildside. Il film, che la Zalabad di Andrea Segre distribuirà dal 6 settembre con il sostegno dell’associazione non governativa “Un ponte per…”, pone alcuni scomodi interrogativi ripercorrendo mesi di conflitti attraverso la voce dei figli dei miliziani addestrati a diventare kamizake, ma anche delle loro vittime e di chi li ha combattuti.

Ne emerge un quadro complesso e disperante nel quale i sopravvissuti da entrambe le parti pianificano ritorsioni quotidiane e vendette a lungo termine, certi che il Califfato un giorno risorgerà dalle proprie ceneri. È evidente allora che il futuro del-l’Iraq, ma anche quello di una ben più vasta area geografica, dipenderà dal destino di questi bambini, figli dei carnefici, dal perdono che verrà loro concesso o negato dai figli delle vittime.

«Il film è frutto di dieci viaggi a Mosul nell’arco di un anno e mezzo – racconta la Mannocchi, che a gennaio pubblicherà il suo primo libro, Ciascuno porti la sua colpa – e nasce dal desiderio di restituire dignità umana anche ai colpevoli, di dare voce e corpo ai bambini addestrati dall’Isis. La maternità ha cambiato radicalmente il mio sguardo, ho scoperto di provare grande empatia per le donne che vedono i propri figli mutilati per ritorsione, mi sento vicina al loro dolore, anche se è stata dura trovarsi di fronte a madri orgogliosamente affiliate all’Isis, tutt’altro che vittime plagiate dalla propaganda, che stanno educando i figli alla vendetta dei loro padri martiri con argomentazioni assai complesse e consapevoli. Il loro “reclutamento” sarà più efficace di qualunque campo di addestramento.

Tutto è nato quando chiedendo a un medico cosa ne sarebbe stato di tutti questi bambini, ci siamo sentiti rispondere: «Ne ammazzeremo il più possibile, cosa possiamo fare?». Nessuno vuole i figli dei combattenti, la parola d’ordine è annientamento, usata anche da Trump. «Sono nati sbagliati e non potranno che peggiorare in futuro» dicono.

Nessuna speranza di riconciliazione dunque, nessun piano Marshall destinato a ricostruire un tessuto sociale. Non è ancora dato sapere neppure il numero delle vittime del conflitto: a giugno a Mosul venivano ancora strappati corpi alle macerie. «Gli Stati Uniti – continua Romenzi – hanno speso 14 milioni di dollari al giorno per la guerra militare. Hanno distrutto un intero paese e ora si dichiarano non interessati alla ricostruzione. Se l’Isis riesce a guardare lontano, l’Occidente ha deciso di non avere una visione e un progetto a riguardo. Che cosa diventeranno allora questi bambini marchiati come figli del Daesh? I terroristi di domani. Noi abbiamo cercato di umanizzare queste piccole macchine da guerra che hanno molte ragioni per combattere e morire». «Il martirio è l’arma più potente dell’Isis – dice ancora Mannocchi – basata sulla normalizzazione dell’idea della morte per una causa più alta. L’Isis tornerà con un altro nome perché l’ideologia jihadista ha strutturato un percorso nel tempo che la sconfitta non ha minimamente intaccato e i semi sono stati già gettati. Loro sono consapevoli di una circolarità storica che a noi sfugge, sanno che non conta il singolo individuo e il presente, ma l’idea che va oltre un territorio e un determinato momento storico».

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