mercoledì 14 ottobre 2015
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Da ex “cenerentole” a protagoniste del calcio europeo. È l’incipit del nuovo capitolo storico che vale per il calcio che si gioca da Reykjavik a Belfast, da Cardiff fino a Tirana. Islanda, Irlanda del Nord, Galles e Albania, sono quattro Paesi felicemente nel pallone. Quattro nazioni che assieme non arrivano a contare 10 milioni di abitanti, ma le loro piccole-grandi nazionali di calcio, a sorpresa, ma neanche troppo, hanno fatto le scarpe (in questo caso gli scarpini) a diversi nobili casati, un po’ decaduti, del football del Vecchio Continente.Quattro debuttanti pronte per il gran ballo di Parigi, biglietto già in tasca per l’Eurostar di France 2016. Quattro miracoli del pallone? No, programmazione, impegno e nuova cultura sportiva applicata al campo. È il caso dell’Islanda che ha messo dietro di sé - ex - corazzate come l’Olanda (battuta due volte) e Turchia. Come ha potuto una nazione che conta meno abitanti di Firenze (sono 329.100 gli islandesi), la più piccola ammessa nella storia degli Europei, a compiere una simile impresa? Roba da film. Una sceneggiatura degna di Halldórsson, che quando non va in porta con la nazionale se ne sta dietro la macchina da presa: è un regista cinematografico. Il ruolo di regista in campo, invece, spetta al nostro Hallfredsson, nostro perché è arrivato in Italia nel 2007, alla Reggina, e dal 2010 milita nell’Hellas Verona dove è diventato uno degli idoli della tifoseria scaligera. Nella colonia italiana degli islandesi figura anche Magnússon difensore classe 1993 che la Juventus ha girato in prestito al Cesena - 2 presenze per lui nella nazionale maggiore -. E fino alla passata stagione uno dei punti di forza del Pescara era il centrocampista Bjarnason (ora al Basilea), che è anche uno dei gioielli della selezione che dal 2012 è guidata dal 67enne ct Lars Lagerbäck. È svedese il condottiero della nuova saga del calcio d’Islanda che ha acceso nuovi geyser di passione persino nel cuore del premier “anti-crisi” Sigmundur Gunnlagsson che all’indomani dell’epica conquista del pass europeo (il 6 settembre 2015) annunciava: «Mi pento di non aver dichiarato la festa nazionale». Il pallone nell’Isola del sole anche di notte è vissuto come una festa, ma soprattutto come “terapia” contro le dipendenze giovanili. Grazie al calcio, ai tanti campi e alle accademie che sono spuntate come fiordi in mezzo al mare del Nord, la percentuale di giovani alcolisti e tossicodipendenti si è sensibilmente ridotta. Governo e federazione hanno stretto un’alleanza che è alla base anche di questo straordinario successo sportivo. Ora, per Hallfredsson e compagni il viaggio al centro della terra (quello che Jules Verne non a caso fece partire da un vulcano d’Islanda) dei fenomeni del calcio europeo può cominciare. E lo stesso vale per l’Irlanda del Nord. I cugini poveri dell’Eire che fu del Trap, sono approdati fin dove neppure ai tempi del monumentale George Best (“il quinto Beatles”) erano mai riusciti ad arrivare. Feste di piazza e birra a fiumi per le strade di Belfast con i ragazzi di mister Michael O’Neil osannati come eroi nazionali dopo la vittoria decisiva sulla povera Grecia fanalino di coda del girone dominato dall’Armata Biancoverde. Il pari con la Finlandia ha dato la matematica certezza dello sbarco nordirlandese agli Europei. Il sogno ora, è sfidare i “nemici” inglesi e, magari, batterli. Un sogno condiviso con il Galles che completa la triade delle britanniche per la prima volta tutte insieme nella stessa competizione continentale. La notizia è che il secondo posto dietro al Belgio vale al Galles l’ottava posizione nel ranking mondiale (l’Italia è 17ª) e la vittoria scontata nell’ultimo turno contro la cenerentolissima Andorra (9 sconfitte e 34 gol subiti, solo Gibilterra ha fatto peggio: 0 punti, 56 reti incassate) varrebbe il sorpasso niente meno che ai maestri del futbòl bailado, il Brasile. Cose dell’altro mondo quelle che stanno vedendo a Cardiff. Il Galles ha scalato oltre settanta gradini (nel 2012 era la nazionale n.82 al mondo) e va veloce quanto il suo maratoneta di fascia, il galattico Gareth Bale, “mister 100 milioni di euro”, tanto lo ha pagato il Real Madrid. È Bale la grande anima dei “Dragoni” (6 gol segnati in nove partite), stella radiosa che illumina anche l’astro nascente Aaron Ramsey, pietra preziosa dell’Arsenal. Anche se per i tifosi il vero “Galles-man” è il 45enne ct Chris Coleman, subentrato nel 2012 a Gary Speed morto suicida quattro anni fa. Con le lacrime agli occhi, i ragazzi di Coleman la qualificazione l’hanno dedicata proprio a Speed. Pagine da libro cuore, come quelle che in Albania sta scrivendo Gianni De Biasi. Non trovando più panchine adeguate per le sue ambizioni in Serie A (l’ultima fu l’Udinese nel 2010), ha traslocato a Tirana sfiorando la qualificazione ai Mondiali del 2014. Apoteosi rimandata di un anno: l’euroqualificazione è un risultato che ha mandato in delirio l’intero popolo albanese che ormai considera De Biasi «uno di noi». «La crisi economica? Un pensionato italiano qui in Albania camperebbe bene, basti pensare che un operaio vive dignitosamente con uno stipendio di 250 euro al mese», dice il Gianni di Sarmede (Treviso) che ha sposato a pieno il progetto Albania. «Appena arrivato qui, nel 2011, ho capito subito che prima dell’allenatore serviva lo spirito dell’artigiano. Un esempio? Avevo chiesto un archivio dei calciatori albanesi sparsi nel mondo, beh... lo sto ancora aspettando. Così con il mio staff abbiamo scandagliato internet in lungo e in largo ed è venuto fuori che a Kalmar (Svezia), in un villaggio sperduto di pescatori, giocava Etrit Berisha», portiere classe 1989, portato dal connazionale Igli Tare - braccio destro di patron Lotito -, alla Lazio. Una saracinesca Berisha - 5 gol subiti in 9 gare - che davanti a sé ha la copertura di Hysaj perno difensivo del Napoli. Il terzo “italiano” della rosa è il centrocampista del Pescara, Memushaj, un altro dei punti fermi con cui De Biasi ha completato quella “rifondazione albanese” che, prima del suo arrivo, sembrava pura utopia. L’ultima delle quattro utopie concrete delle ex cenerentole del calcio europeo.
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