sabato 25 novembre 2023
Il grande architetto spagnolo racconta le sue intuizioni uscendo da una visita alla cappella del celebre maestro che rivoluzionò le stesse teorie moderniste di cui fu il profeta
Una vista interna della Cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier

Una vista interna della Cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier - Electa

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Anticipiamo alcuni brani del saggio dell’architetto spagnolo Rafael Moneo Ronchamp edito da Electa (pagine 78, euro 18,00).

Quando visitai la Cappella di Ronchamp per la prima volta ero convinto di conoscerla molto bene. Meta obbligata di pellegrinaggio per gli architetti del secondo Novecento, occupava un posto di rilievo nell’immaginario architettonico che mi accompagnava sin da quando ero studente. Ma allorché la vidi ne rimasi sorpreso e il ricordo di quell’incontro è tuttora vivissimo. Potrei iniziare col dire che rimasi meravigliato dalla scala della costruzione. Ma non erano le dimensioni, peraltro piuttosto ridotte, a rendere imponente Ronchamp. Dalla sommità di una collina dominava un vasto, bellissimo paesaggio e il suo volume bianco e austero non faceva segreto della sua enorme ambizione plastica. Aveva qualcosa di un’Arca di Noè ancora posata sulla terra: invitava a entrare, ma non indicava chiaramente come farlo [...].

Le Corbusier offre tre opzioni per entrare nella Cappella: le porte orientate a sud, a est e a nord che non stabiliscono priorità visive. Fanno semplicemente sentire che ci si trova all’interno, senza privilegiare un particolare orientamento. L’architetto ci spiazza da qualunque porta noi si entri: ci immerge in uno spazio discontinuo, fluttuante, instabile e incerto; egli è consapevole di manipolarlo ignorando la prassi e i principi convenzionali propri di una visione strutturata e organica di una costruzione. Nulla appare immediato e evidente, anche se non viene meno la fiducia che poi tutto si chiarirà.

Disorientati, i nostri occhi sono presto attratti da un paramento convesso e continuo verso cui conduce il disegno del pavimento, sul quale si individua un asse che conferma l’orientamento canonico, est-ovest, della Cappella. Su questo asse si trovano l’altare e, incastonata nel paramento concavo, una finestra in cui è incorniciata una scultura della Madonna, una finestra che comunica sia all’interno che all’esterno, anticipando una dialettica che in questa occasione Le Corbusier ha utilizzato continuamente.

Abituati a vedere le absidi concave, dobbiamo constatare che l’anomala abside convessa s’impadronisce dello spazio: il suo centro di gravità virtuale è costituito dalla finestra attorno alla quale una costellazione di punti luminosi sembra quasi fare da corona alla Madonna. L’abside convessa si offre alla vista come un gigantesco schermo su cui si proietta l’altare, con il tabernacolo al centro e una piccola croce di bronzo, che Le Corbusier, in occasione della consacrazione della Cappella nel giugno 1955, sostituì con una di legno. È una croce francescana, una semplice T, punto di partenza di una diagonale ascendente che include la finestra e che guida il nostro sguardo verso il punto più alto, fino a una sommità che, come vedremo, è cruciale in un’architettura così complessa [...].

Una volta soggiogati dall’interno della Cappella, immersi nella sua architettura, l’impatto squisitamente sensoriale che ne deriva è talmente forte da influenzare il nostro stato d’animo, i nostri sentimenti. L’atmosfera di Ronchamp propizia l’incontro con il nostro io più profondo e ci spinge a porci domande su noi stessi, quali raramente ci poniamo nella nostra vita quotidiana. A Ronchamp ci troviamo chiaramente in una chiesa: è uno spazio religioso, che percepiamo come tale non perché lo possiamo associare a un tipo di edificio di culto a noi noto, ma per la presenza di un’iconografia e di simboli che conosciamo, la croce, l’altare, il coro, i banchi, i pulpiti.

Inoltre, ogni minimo dubbio sulla destinazione dello spazio svanisce non appena ci troviamo di fronte alla finestra in cui appare la Madonna di Ronchamp. Siamo in una chiesa, ma anche in uno spazio che induce a riflettere sui misteri e sugli enigmi che ci accompagnano nel corso della nostra esistenza [...].

A La Tourette la chiesa è definita all’esterno da un rigoroso parallelepipedo longitudinale in calcestruzzo la cui singolarità è annunciata da una scultorea torre campanaria. La chiesa è collegata al convento solo al piano terra, mentre ai fedeli è riservata una porta d’ingresso modesta e discreta. A La Tourette, Le Corbusier allude direttamente al gotico, per molti il paradigma dell’architettura religiosa, se non altro per l’uso che fa delle proporzioni.

La cappella del convento di La Tourette

La cappella del convento di La Tourette - Electa

L’elementare sezione che definisce la chiesa rimanda alla verticalità dell’architettura gotica che, in questo caso, grazie al calcestruzzo, non richiede contrafforti né archi rampanti. Si tratta di un’architettura povera, minima, in cui si percepisce il silenzio e che induce all’abbandono di tutto ciò che è materiale e terreno; è uno spazio spoglio, astratto, dove i simboli sono stati ridotti al minimo dell’espressione. Solo nell’altare maggiore Le Corbusier si concede la licenza di eludere la simmetria, che invece rispetta nella disposizione degli altari inferiori.

Non vi sono immagini e l’acciaio contribuisce a rendere anche la croce imprescindibile quasi immateriale. La chiesa è soprattutto, data la posizione isolata del convento nella campagna, uno strumento liturgico per la comunità rispetto alla quale i fedeli rivestono un ruolo quasi testimoniale. Da qui l’importanza assegnata nella pianta della chiesa ai diversi altari al servizio della comunità, disposti sui fianchi nord e sud e illuminati da lucernari che Le Corbusier chiama “cannoni di luce”. Ma a differenza di Ronchamp, il cui spazio non sembra alludere al culto ma incita alla riflessione individuale, la chiesa de La Tourette ha senso soltanto quando vi si celebrano le funzioni sacre, per le quali questo spazio è stato concepito. Se a Ronchamp la preghiera sgorga spontaneamente, qui ci si aspetta risuoni il canto gregoriano [...].

Come spiegare la differenza tra due opere di architettura così diverse come Ronchamp e La Tourette? Certamente non è una diversità casuale e, all’epoca, Le Corbusier era in grado di calibrare il giudizio sui risultati ottenuti a Ronchamp. Interpretare questo scarto semplicemente considerando le circostanze molto diverse determinate dai luoghi e dai programmi non è soddisfacente. Voglio pensare siano intervenute altre ragioni e che la deviazione sia stata conseguenza di una riflessione intorno al significato dell’architettura religiosa e non soltanto di una reazione in termini strettamente stilistici a quella che era stata l’avventura di Ronchamp.

Tale riflessione sembrerebbe avere indotto Le Corbusier a dubitare della capacità delle forme di provocare direttamente le reazioni psichiche che aveva teorizzato, e a pensare che i simboli che identificano Ronchamp come chiesa cattolica sono quelli che si percepiscono con maggior forza proprio perché sono collocati in uno spazio che recupera l’atmosfera di mistero offerta dalle chiese romaniche. A La Tourette, la consapevolezza di come sia importante prendere in considerazione l’architettura religiosa tradizionale allorché si affronta il progetto di una chiesa, si traduce in reazione al fiducioso atteggiamento messo in campo a Ronchamp. Se un’opera come Ronchamp gli aveva fatto perdere la bussola, un incarico come quello per La Tourette fu una splendida occasione per recuperarla.

Una chiesa in ascolto delle litanie del cielo

Maurizio Cecchetti

Non c’è, credo, un edificio che abbia suscitato maggior sorpresa, e polemica, della chiesa di Notre-Dame du Haut, a Ronchamp in Borgogna. I francesi hanno un termine che calza a pennello per dire come venne considerata quest’opera dal mondo dell’architettura internazionale: bouleversant, sconvolgente.

Ma non si tratta soltanto di qualcosa che sconvolge appunto gli schemi, per Giulio Carlo Argan, grande sostenitore del progetto razionale, di cui Le Corbusier era stato fino agli anni Trenta il profeta indiscusso, Ronchamp era un ribaltamento che tradiva tutti i valori moderni e le teorie che erano state propugnate dagli architetti fin dal primi Congressi internazionali dell’architettura moderna (Ciam): tecnica, funzionalità, risparmio, angoli retti, una decisa prevalenza del bianco come colore che per non cedere a nessuna tentazione decorativa, diventa il distillato di una classicità che si fa a sua volta estetica e decorazione: da cui l’International Style, aborrito dai razionalisti più intransigenti. Le Corbusier ebbe il coraggio di cambiare rotta attraverso la sintesi delle arti. Ne parla anche l’architetto spagnolo, oggi ultraottantenne, Rafael Moneo nel suo breve ma intenso saggio Ronchamp edito da Electa, (pagine 78, euro 18, da cui anticipiamo alcuni brani): l’edificio si pone come un “tutto indicibile”.

Trent’anni fa, incontrando il vecchio Giovanni Michelucci, mi confessò di essere rimasto perplesso recandosi a Ronchamp quando aveva assistito a una scena peraltro non insolita per certi religiosi in preghiera: un gruppo di suore si era stesa sul pavimento della cappella e pregava avendo disteso le braccia formando col corpo una croce. Michelucci aveva visto in quel modo di pregare una forma di estetismo religioso, come forma dell’inautentico. Indubbiamente, Ronchamp ha questo potere di “manipolazione” della psicologia del credente (e non). Stupisce, genera ammirazione, ha la qualità suprema del capolavoro: l’unicità.

Michelucci, quando fa la chiesa dell’Autostrada cerca qualcosa di simile, ma è soprattutto nella chiesa di San Giovanni a San Marino che si avvicina all’idea di caverna o di tempio rupestre che anche Ronchamp esprime, con una impostazione rovesciata: Le Corbusier fa della luce il mezzo dell’esperienza mistica, ma in questo resta cartesiano; Michelucci celebra l’ombra e la penombra, come in una chiesa medioevale. La nota dominante che accompagna tutto il progetto di Le Corbusier è quella dell’ascolto: la chiesa si fa conca verso cui convergono le voci del paesaggio al vertice della collina.

Molti anni fa un architetto italiano, Amedeo Petrilli, aveva interpretato l’edificio, in pianta e in alzato, come un gigantesco orecchio: il disegno planimetrico della Cappella, infatti, sembra riprodurre la forma di un timpano. Notre-Dame du Haut fu pensata, forse, per captare le voci dell'infinito, come se si potesse raccogliere in alcune forme i segnali che ci vengono da ciò che è sopra il cielo. Una sorta di condensatore del silenzio, per così dire.

Ronchamp è fatta per cogliere di sorpresa. Non ha un centro vero: Le Corbusier – nota Moneo - «ci immerge in uno spazio discontinuo, fluttuante, instabile e incerto», «uno spazio viscerale con una continua oscillazione fra pareti concave e convesse». Pareti curve, inclinate, finestre strombate e vetri colorati, che sembrano scavate direttamente nel muro, esterno ed interno che si corrispondo come funzioni, la gigantesca copertura: l’idea che Le Corbusier mirasse a rendere nello spettatore-credente una percezione «senza pregiudizi culturali» contrasta però coi numerosi spunti che queste forme offrono come sedimentazione culturale e simbolica.

Molte sottolineature, anche tecniche, di Moneo aiutano a comprendere più che l’essenza costruttiva, il tentativo di Le Corbusier di occultare la struttura sotto la forma, la svolta incarnata da Ronchamp. Un discorso ancora da approfondire oltre lo stesso progetto moderno.

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