mercoledì 20 gennaio 2010
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Il calcio delle “grandi”, prenda spunto dai “piccoli” e da chi in silenzio, ai bordi di periferia o nella remota provincia, opera tutti i giorni per uno sport più etico. Se, come auspicava Candido Cannavò, esistesse davvero un “Giornale di solo buone notizie”, tante sarebbero quelle da pubblicare da quei campi che vanno in prima pagina solo quando, anche lì, c’è lo scandalo, la violenza, o ancor peggio la tragedia, come quella di Ermanno Licursi assassinato nel gennaio di tre anni fa in uno stadio della Terza categoria calabrese.Così nello stesso sabato in cui Bepi Pillon, allenatore dell’Ascoli, si rendeva protagonista del più bel gesto di fairplay del 2009 (la restituzione di un gol agli avversari della Reggina), apprezzato persino dal New York Times e da noi rapidamente cancellato, su un campetto di Firenze, il collega Alessio Giovannelli a sua insaputa, lo emulava in maniera altrettanto nobile. I suoi Pulcini, classe 2001, dell’Affrico, mentre giocavano sul campo del Firenze Sud erano rimasti di pietra, impauriti dalla rissa scoppiata in tribuna per il classico genitore invasato che ordinava al figlio di «spaccare le gambe» al Pulcino avversario. Giovannelli, da vent’anni poliziotto, che alla domenica opera nel servizio d’ordine allo stadio Franchi, non ha avuto esitazioni e ha riportato i suoi Pulcini negli spogliatoi. Sospensione della partita per colpa della violenza verbale dei genitori. La serie A infestata dai cori razzisti delle Curve, prenda spunto da mister Giovannelli. Così come dovrebbe far scuola per tutti i ragazzini montati e maleducati che inflazionano i nostri campionati professionistici, la lezione della Virtus Comeana di Prato. Dopo reiterati atti di maleducazione da parte dei loro turbolenti Giovanissimi la settimana scorsa annunciavano: «Abbiamo ritirato la squadra dal campionato perché i ragazzi sono troppo maleducati».Uno spot per la buona educazione in campo che vale più di qualsiasi lauto sponsor che porta denaro fresco e non sempre pulito nelle casse dei superclub. E a proposito di sponsor, se i campioni d’Europa e del mondo del Barcellona sfoggiano al petto quello solidale dell’Unicef - al quale devolvono 1,5 milioni di euro l’anno - il piccolo Corridonia (Promozione marchigiana) sulla maglia ha messo quello dell’Associazione di volontariato “La Rondinella”. «È un modo per stare vicino ai ragazzi con problemi di alcolismo e tossicodipendenza e alle loro famiglie», dice il direttore sportivo del Corridonia Flavio Falzetti che da anni si batte per i diritti dei calciatori dilettanti ed è uno dei fondatori della squadra “Life” che gioca e lotta per la tutela della salute degli atleti. Nel Corridonia non si parla di razzismo, ma di «integrazione», quella che hanno trovato i suoi due “colored” Buado e Kingsley.«Il calcio può servire come strumento per la convivenza civile», dice il presidente dell’Assoallenatori Renzo Ulivieri e tecnico di una squadra specialissima di Calcio a 5, i Matrix dell’omonima Cooperativa Onlus di Firenze. Sulla scia dei Matti per il calcio, la squadra de Il Gabbiano di Roma anche i Matrix attraverso il calcio tentano la sfida per la riabilitazione di ragazzi e adulti con disabilità fisica e psichica. Non è una palla di calcio, ma quella di cricket che riesce a superare tutte le barriere dell’intolleranza. A Roma grazie all’iniziativa di Federico Mento e Mercedes, si gioca a cricket a Piazza Esquilino, con una formazione rigorosamente mista, composta da ragazzi asiatici, africani e italiani. Chi arriva in Italia, dall’India o dal Pakistan e quindi è cresciuto in famiglie «cricket-dipendenti» e non calciofile, potrebbe subìre la prima discriminante e per questo ad Ancona l’Associazione «antirazzista», “Assata Shakur”, è riuscita a coinvolgere anche le comunità straniere in tornei di calcio, in cui prima di tutto conta la libertà di partecipazione e la possibilità di stringere amicizie. Cose di cui, nel “calcio che conta”, si è persa anche l’ombra della notizia.
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