venerdì 13 gennaio 2023
Per l’artista fiorentino l’armonia, l’equilibrio e la solida griglia euclidea sono alla base dell’arte di tutti i tempi. Al Museo Novecento esposte le 15 opere lasciate alla città
Alberto Magnelli, “Explosion lyrique N.7”, 1918 (particolare)

Alberto Magnelli, “Explosion lyrique N.7”, 1918 (particolare) - Firenze, Museo Novecento

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Al cimitero di Meudon, a sud di Parigi, una lastra tombale reca inciso questo breve epitaffio: “Alberto Magnelli 1888-1971 pittore fiorentino”. Per Magnelli, quel “fiorentino” è qualcosa di più di un semplice aggettivo, lui la città l’ha dentro di sé. E non solo perché a Firenze è nato, per poi trasferirsi in Francia, ma perché le sue pietre, i suoi marmi, gli inarrivabili esiti raggiunti da Giotto, Brunelleschi, Masaccio, da Piero della Francesca, soprattutto, sono indelebilmente impressi nella sua memoria. «Sono grato a Piero – ha dichiarato l’artista – che mi ha rivelato la composizione in una superficie, facendomi comprendere il gioco degli spazi vuoti e degli spazi pieni. A partire da lui ho sentito che i miei quadri avrebbero dovuto sempre tendere verso l’architettonico». L’arte di Magnelli, uno dei padri dell’astrattismo italiano e internazionale, affonda le proprie radici nel lontano Rinascimento, nella convinzione che l’armonia, l’equilibrio e la solida griglia euclidea siano alla base dell’arte di tutti i tempi. Questo è uno degli aspetti peculiari della sua poetica che fino al 15 febbraio ci è data la possibilità di approfondire grazie alla mostra "Armocromie" ordinata da Eva Francioli al Museo Novecento a Firenze. L’esposizione è incentrata sul lascito ricevuto dalla città direttamente dall’artista di 15 opere rappresentative della varietà di tecniche e stili sperimentati dall’artista nel corso degli anni e di tutte le fasi della sua carriera a partire dagli inizi figurativi, attorno al 1914, fino alle composizioni astratte più mature della fine degli anni Sessanta. «Certo è – ha dichiarato Sergio Risaliti, direttore del museo – che Magnelli è un maestro del colore, da qui la scelta del titolo della mostra che rievoca le sperimentazioni cromatiche che hanno coinvolto il mondo dell’arte dalla metà dell’Ottocento in poi». Francioli, a sua volta, commenta che «le opere in mostra, riunite per la prima volta dopo lungo tempo, ci offrono una preziosa chiave per entrare nell’universo pittorico di Alberto Magnelli, un universo fatto di infinite variazioni, crescendo improvvisi e delicate sospensioni». Da queste considerazioni si comprende come dei numerosi e prestigiosi artisti e dei gruppi innovativi con i quali entra in contatto, Magnelli mostra scarso interesse per il futurismo. Quel movimento, infatti, introduce nella pittura una problematica assai più complessa di quella essenzialmente pittorica valendosi di elementi non esclusivamente visivi e quindi ibride per la concezione che Magnelli dimostra di possedere dell’arte: il valore di messaggio che i futuristi affidano ad ogni loro opera, facendone un’arma contro la tradizione, contraddice l’ideale di composta classicità cui Magnelli tende. Viceversa l’esperienza cubista, proprio per il suo significato di indagine formale, e il movimento fauve che restituisce al colore un’importanza e un peso fondamentali nella struttura del quadro, trovano in Magnelli un attento interprete.

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