domenica 20 febbraio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
E per fortuna che il suo ultimo libro, appena uscito in Italia (Il Saggiatore), s’intitola proprio India mon amour... Altrimenti qualche distratto, leggendo questa storia, potrebbe pensare che Dominique Lapierre si sia «dimenticato» del suo «primo amore» – l’India appunto, e nello specifico il Bengala, e ancor più puntualmente Calcutta e le sue bidonvilles. Ovviamente no: la «Città della gioia» è da un trentennio e resta tuttora in cima alle preoccupazioni dei coniugi Lapierre, che lì devolvono gran parte dei fondi che si affannano a raccogliere in giro per il mondo. Però, e non da oggi, una dimensione internazionale accompagna i progetti di Dominique & Dominique, seguendo più o meno gli incontri e le conoscenze dei due, da sempre a caccia delle cosiddette «luci del mondo»: ovvero le donne e gli uomini che silenziosamente si adoperano per il bene dei loro simili. Monsieur Lapierre, dunque possiamo dire che la sua fondazione è ormai diventata una «multinazionale»... Lo scrittore è un po’ invecchiato (compirà 80 anni a luglio), ma coglie lo spunto col solito schietto sorriso: «C’est vrai, è vero! In India infatti abbiamo fondato e manteniamo 10 progetti (dai 4 battelli-ospedale sul delta del Gange alla clinica ginecologica per i sopravvissuti dal disastro chimico di Bhopal; dal Centro per i 300 bambini ex lebbrosi a Calcutta alle scuole per migliaia di alunni nella regione di Madras); ma abbiamo ormai una "Città della gioia" anche a Guatemala City, per ospitare ragazze strappate dalla strada, poi un programma di sviluppo sociale per 20.000 bambini nelle township di Città del Capo (Sudafrica), quindi una collaborazione con un ambulatorio per malati di Aids in Costa d’Avorio, infine aiutiamo addirittura un "parente" di Barack Obama in Guinea equatoriale»... Lapierre dunque non finisce di stupire, e soprattutto non è ancora stanco di nuove avventure. Da ormai trent’anni è sulla breccia non soltanto come grande giornalista e scrittore di bestseller internazionali, da solo o in coppia con Larry Collins (scomparso 5 anni fa), ma pure come tenace e generosissimo agente umanitario – la definizione di «missionario» forse non gli piacerebbe – nel terzo mondo. Un’attività che gli succhia i diritti d’autore e i sonni, nell’affannosa ricerca dei 2,5 milioni di euro l’anno indispensabili per non deludere nessuno dei 26 progetti ai quali ha promesso di dare una mano: «L’anno scorso siamo andati sotto di 800.000 euro, a causa della crisi finanziaria che ha decurtato le offerte. La cosa insopportabile è che, se non troviamo benefattori, dobbiamo chiudere dei dispensari, dobbiamo rimandare a casa dei bambini che ora frequentano le nostre scuole... Vorrebbe dire rimetterli in mano alle mafie locali, che li utilizzerebbero come operai-schiavi. Pensate che in certi villaggi dell’India paghiamo alle famiglie l’equivalente del salario che prenderebbero per il lavoro dei figli, pur di "avere il permesso" di farli studiare!». Tuttavia, nonostante questa sfibrante preoccupazione, i coniugi Lapierre si sono presi in carico anche un «cugino» del potentissimo presidente degli Stati Uniti... Questa storia va raccontata, Dominique. «Tutto è cominciato a Ramatuelle, il villaggio sulla Costa Azzurra dove abitiamo. Ogni anno, per un paio di mesi l’estate, viene a dare una mano al parroco un sacerdote della Guinea Equatoriale. Ovviamente nero. È molto simpatico e si chiama Obama, padre Santiago Obama; lui stesso non esclude di avere lontani legami di parentela con il presidente degli Stati Uniti». In effetti il clan degli Obama è abbastanza diffuso tra Camerun, Gabon e Guinea, una zona dalla quale sono partiti moltissimi schiavi per l’America; per di più qualche volta padre Santiago si fa fotografare con un cappellino che riporta il nome dell’illustre "parente" statunitense, un gadget residuato delle ultime elezioni presidenziali. Del resto un legame con la politica "alta" il sacerdote ce l’ha sul serio, dato che uno zio – Bonifacio Ondo – è stato per 4 anni presidente provvisorio del suo Paese durante la fase di passaggio all’indipendenza, alla fine degli anni Sessanta...Riprende Lapierre: «Abbiamo fatto in fretta a fraternizzare con padre Santiago. È un uomo onesto, molto simpatico, un apostolo che in patria è incaricato di alcune parrocchie di campagna, dove abita gente molto povera. Si occupa anche di costruire case e scuole (infatti gli abbiamo comprato una macchina per fabbricare mattoni e un camioncino fuoristrada perché possa trasportare il materiale) e compie una bella azione umanitaria. Ha 49 anni ed è prete da quasi 20, è laureato alle università di Kinshasa, Yaoundé e alla Cattolica di Lovanio, conosce 5 lingue occidentali e almeno 6 altri idiomi africani, insegna in vari istituti a Bata, la seconda città del Paese... Eppure non esita, per dar da mangiare ai suoi, ad andare ogni tanto nella giungla e uccidere un elefante (tranquilli: là ce ne sono tanti!); solo che per trovare le munizioni adatte deve attraversare la frontiera e recarsi in Camerun a comprarle! Avete mai sentito di un prete che va a caccia grossa?». Ma c’è un problema che tiene padre Obama lontano dal suo Paese da oltre due anni, durante i quali è stato appunto incaricato di quattro medie parrocchie dell’entroterra francese tra Nizza e Marsiglia: «La Guinea equatoriale – spiega ancora Lapierre – è un Paese molto ricco, la sua crescita addirittura è percentualmente la più alta del globo grazie soprattutto al petrolio, i cui ricavi però sono riservati soltanto al presidente (un dittatore feroce in carica dal 1979 in seguito a un golpe) e alla sua casta. La corruzione è totale, assoluta; basti pensare che il presidente possiede un patrimonio di 600 milioni di dollari ed è all’ottavo posto assoluto dei potenti più ricchi del mondo. In compenso ci sono squadre della morte che girano nelle campagne e sopprimono gli oppositori politici col veleno. E anche padre Santiago è in pericolo, a causa della sua attività: i suoi amici gli hanno sconsigliato di rientrare in patria, per il momento». È qui che lo scrittore ci ha messo del suo: «Una cosa però potrebbe salvargli la vita: se diventasse vescovo, perché allora le autorità non potrebbero prendersi più troppe libertà con lui... Del resto padre Santiago è un uomo che merita di esserlo dal punto di vista della carità evangelica». Detto fatto, Dominique Lapierre si è attivato perfino in Vaticano per segnalare la vicenda del suo protetto. Comunque vada a finire, sarà un’altra avventura da iscrivere nel carnet dell’inesauribile francese. Ma non ha ancora pensato di «andare in pensione»? «Non è possibile, quando si hanno tanti amici la cui attività dipende da noi per sopravvivere... Ormai ho abbandonato anche l’idea di costituire una Fondazione che possa continuare a finanziare i nostri progetti quando noi non saremo più in grado di farlo: con gli attuali rendimenti finanziari, infatti, bisognerebbe costituire un capitale impensabile per i nostri mezzi. Così andiamo avanti cercando ogni anno di racimolare i fondi necessari e per il resto ci affidiamo alla Provvidenza, come ci ha insegnato Madre Teresa: "Non temere, Dominique: Dio provvederà". Certo, lei era una santa e poteva ben dirlo. Io invece sono soltanto un umile scrittore».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: