sabato 11 febbraio 2012
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Il paradosso dei poveri. Sarebbe stato forse questo il titolo più adatto all’in­contro su 'Gesù e i poveri' che ieri ha visto come protagonisti, guidati dallo storico Adriano Roccucci, della Comu­nità di Sant’Egidio, il vescovo di Oristano monsignor Ignazio Sanna, il biblista del­la Facoltà teologica della Catalogna Ar­mand Puig Tarrech e Cariosa Kilcom­mons, delle Comunità dell’Arca fondate da Jean Vanier. Il paradosso della povertà che esclude dalla vita sociale e che tutta­via avvicina a Cri­sto. Paradosso dai mille volti, perché non è povero solo colui che ha poco o niente per sosten­tarsi, ma sono po­veri tutti coloro ai quali manca qual­cosa per vivere pie­namente la loro u­manità. Sono pove­ri coloro che si sen­tono o sono isolati, che sono esclusi dalla vita sociale o che si sentono e­sclusi dalla vita re­ligiosa, hanno det­to Puig Tarrech e monsignor Sanna, «come i divorziati e i separati che dormono nelle macchine o sono tornati a dormire nella casa dei vecchi genitori», sono poveri i peccatori così come gli am­malati, quelli del corpo e quelli dello spi­rito. Il pubblicano e la prostituta, il para­litico come l’indemoniato, per dirla con Gesù. Siamo poveri tutti noi che, ha sot­tolineato Kilcommons, «non siamo ca­paci di chinarci su coloro che hanno bi­sogno perché non riusciamo prima a ve­dere le nostre povertà, le nostre debolez­ze ». Gesù è venuto per tutti loro, anzi, per tutti noi. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma gli ammalati». Per questo «i poveri sono tutti coloro che hanno l’umiltà di chiedere di essere gua­riti », ha ribadito Puig Tarrech. «Non è un caso che questa sia proprio la prima del­le beatitudini: beati i poveri in spirito. E di loro Gesù dice che possiedono il Re­gno di Dio. Di nessun altro Gesù dice che il Regno gli appartiene». Ed ecco l’enne­simo paradosso reso possibile da Gesù: la povertà che si trasforma in ricchezza. Un concetto che, ha spiegato Sanna, non ha niente di ideologico. Di per se stessa la povertà è un male che deve essere com­battuto. Non ci si salva solo per il fatto di essere poveri, così come non ci si perde solo perché si è ricchi. Così come non si trasforma in ricchezza la povertà dello stoico o del seguace di religioni orientali che si fa povero per concentrarsi meglio su se stesso, evitando gli oneri e i pensieri della vita. La ricchezza della povertà è nell’umiltà dell’affidamento, nella gene­rosità con cui si vive la propria condizio­ne. A questo proposito Puig Tarrech ri­corda che Gesù in­dica come esempio ai suoi discepoli la povera vedova che offre in elemosina tutto quello che ha. Tre soldi che, ag­giunge il biblista, sembrano contra­stare con i trecento denari di oli profu­mati versati da Ma­ria sul capo di Ge­sù a Betania. «Un gesto che Gesù ap­prezza somma­mente, ma che nei discepoli crea scandalo perché non riescono a comprenderne la gratuità», che si ri­vela tanto nel dare quanto nel ricevere. Nel libro di Tobia, annota Puig Tarrech, si invita a non disto­gliere lo sguardo dal povero perché in questo modo non si distoglierà mai lo sguardo da Dio. Nel Vangelo Gesù dice che «tutto quello che avrete fatto a questi fratelli più piccoli lo avrete fatto a me». «Dio si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà», ha sottolineato monsi­gnor Sanna citando Benedetto XVI. Per questo il diacono Lorenzo prima del martirio poteva dire che «il tesoro della Chiesa sono i poveri». Per questo il mira­colo della moltiplicazione dei pani è l’u­nico che nei Vangeli si ripete sei volte: l’abbondanza viene dalla condivisione del poco con tanti. La grande ricchezza dei poveri è quella di farci sentire ricchi. «L’ho scoperto – raccontato Kilcommons – lavorando con i disabili: Gesù ci invita a essere amici dei poveri perché attraverso la condivisione con loro ci viene rivelata la bellezza che è in noi».
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