venerdì 17 agosto 2012
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​Entrando a San Maurizio d’Opaglio, sulla sponda occidentale del Lago d’Orta, si viene accolti da un rubinetto colossale, piantato al centro di una delle innumerevoli rotonde che anche da queste parti sminuzzano ogni tracciato stradale. È l’omaggio un po’ kitsch alla principale attività economica delle sponde del Lago d’Orta, le rubinetterie. Che hanno dato lavoro e benessere ai suoi abitanti, ma non al lago: negli anni Sessanta e Settanta gli scarti industriali rovesciati nelle sue acque ne minarono gravemente la vita, già seriamente compromessa dal disastro ambientale provocato nel 1929 da un’industria tessile. Il Lago d’Orta, a lungo, è stato un lago morto. Poi si è intervenuti, gli scarichi delle industrie sono stati depurati o convogliati altrove, e pian piano la vita è tornata. Oggi il Cusio – come ogni grande lago d’Italia, anche questo ha il doppio nome – vive, e non solo di pesci. Accanto all’ormai tradizionale industria, che tira avanti tra alti e bassi, ha preso piede un turismo non di massa, ma sostenuto. È forse meno noto, su scala nazionale e internazionale, dei più grandi e celebri laghi Maggiore, di Como e di Garda, ma da molti è ritenuto il più bello, o almeno il più affascinante dei grandi laghi alpini. Qui le rive raramente si stemperano in colline; più spesso s’inerpicano subito verso la corona di monti che cingono il bacino, che d’autunno si colma di nebbie e di bruma. Affascina e inquieta, con le luci dell’Isola di San Giulio, al centro, a fare da lanterna, punto di riferimento insieme geografico e spirituale grazie all’abbazia benedettina Mater Ecclesiæ della quale è badessa Anna Maria Cànopi. Lungo le due rive, occidentale e orientale, si allineano piccoli paesi, spesso incantevoli. Orta, innanzitutto. La piazza si apre sul lago; al centro, isolato, sorge il broletto, mentre da un lato parte la principale via del paese, stretta e lastricata. Alle sue spalle, dall’intrico di vicoli si staccano le scalinate che portano al sacro monte e all’unica strada carrozzabile, che corre a mezza costa. Più su ancora il Mottarone, la vetta di modesta altezza che separa il bacino del Cusio da quello del Verbano, a oriente. Sulla sponda opposta, quella occidentale, più appartato ma non meno affascinante è il paese di Pella, dal bel lungolago recentemente ristrutturato. Tra un borgo e l’altro si succedono grandi ville signorili e vecchie case di pescatori, spesso ristruttrate e trasformate a loro volta in residenze da villeggiatura; tra una e l’altra, fin sulle soglie dell’acqua, si susseguono i pergolati di legno che sostenevano i tralci delle viti. D’estate ci si può fermare sotto la loro ombra, sedersi sui muraglioni che fanno da argine al lago, ascoltare il silenzio della campagna e godere della frescura dell’acqua. L’unica vera cittadina che si affaccia sulle sue sponde, Omegna, è un bel borgo rivierasco, ricorda Arona sul Verbano o Salò sul Garda, ma più in piccolo. Sorge all’estremità settentrionale del bacino, dove il lago s’incanala in un breve corso d’acqua – il Cusio ha, contrariamente agli altri, l’emissario a nord – che lo congiunge al Toce e, da lì, al Maggiore. Vivace cittadina, borgo natale di Gianni Rodari che nelle sue opere ha più volte ricordato il lago. Non è stato l’unico letterato a essersi ispirato al Cusio: qui Nietzsche incontrava Lou Andreas Salomè, qui passarono Balzac e Gadda, Porta e Montale, e ne trassero descrizioni e ambientazioni. Terra piemontese di confine, rimasta nella storia a lungo nell’orbita milanese, il Cusio è sempre stato ripiegato su se stesso, lontano dai grandi assi della comunicazione transalpina. Abitato fin dal Neolitico e poi dai Celti della Cultura di Golasecca, fu romanizzato senza scosse. Ebbe un certo rilievo politico soltanto durante il Regno longobardo, quando nel 575 sull’Isola di San Giulio s’insediò il duca Mimulfo che amministrava l’intera regione ossolana, allora in prima linea nel secolare conflitto con i Franchi. Pare che Mimulfo, peraltro, abbia tradito la fiducia accordandosi con il nemico: e re Agilulfo lo fece decapitare nel 590, sulla stessa isola che portava il nome del santo giunto qui alla fine del IV secolo. Giulio era approdato sulle sponde del lago insieme con il fratello Giuliano; i due greci, originari di un’altra isola, quella di Egina, su mandato dell’imperatore Teodosio eressero chiese e distrussero gli antichi santuari pagani. Ne fondarono novantanove; per la centesima Giulio scelse l’isola al centro del lago ma, secondo la leggenda, non trovò nessuno disposto a traghettarlo. Allora stese sull’acqua il suo mantello e navigò con quello fino all’isola, dove dovette combattere e uccidere i draghi e i serpenti che l’infestavano, finché non poté gettare le fondamenta della basilica.
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