venerdì 10 giugno 2022
A dieci anni dalla morte la serva di Dio continua a tonificare la fede di tanti che si rivolgono al suo esempio. I genitori: «Ha saputo trasmettere il senso sorridente della sofferenza trasfigurata»
Chiara Corbella Petrillo a Medjugorie il 18 aprile  2012, poche settimane prima di morire

Chiara Corbella Petrillo a Medjugorie il 18 aprile 2012, poche settimane prima di morire - Cristian Gennari

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Entri al cimitero del Verano, a Roma, domandi della tomba di Chiara e tutti te la sanno indicare. Dal giorno della sua morte, 10 anni fa, non solo è di gran lunga la più visitata, ma è anche la più adornata e colorata di oggetti, di rosari ed ex voto, fotografie, lettere e bigliettini in un flusso costante di devozione e d’amore. Quella tomba offre la percezione della vita che non muore. In qualche modo sorride ai suoi visitatori con la stessa capacità rigeneratrice del sorriso di Chiara, del volto di Chiara. Qualunque giorno tu vada troverai certamente giovani donne che chiedono la grazia di un figlio, che ringraziano per averlo avuto. Lì dove riposano le spoglie di questa grande donna dei nostri giorni la vita sorge sempre nuova. Poche persone ricevono come lei così tanta corrispondenza. Poche riescono, come lei, a rispondere con tanta sensibile e amorosa assiduità. «Sul sito ufficiale di Chiara ogni giorno arrivano messaggi e lettere di riconoscenza "per grazia ricevuta". Qualcuno in Brasile ha fatto un sito social a lei dedicato e ci sono decine di migliaia di follower. Accanto alla sua tomba una grande cassetta postale accoglie le paure, le confidenze, i bigliettini, le lettere, i disegni, le fotografie che le persone desiderano condividere con lei. Scrivono come a un’amica perché lei allarga i cuori, li accoglie nel suo. Tante volte ho parlato con queste persone delle ragioni di tanta speranza... Molti sono giovani religiosi e religiose che sottolineano l’importanza di Chiara per la loro vocazione. Questo è davvero il Volto di Dio. Il volto sorridente della sofferenza trasformata, trasfigurata come solo Dio sa fare».

A parlare sono i genitori di Chiara Corbella, Maria Anselma e Roberto, seduti l’uno accanto all’altra nel giardino della loro casa romana, quella in cui Chiara è cresciuta insieme a Elisa, la sorella maggiore e che ancora ospita la nonna, 101 anni, a cui era particolarmente legata: «Anche negli ultimi giorni di vita, la prima domanda alla mattina era: "la nonna come sta"». A guardare i volti così sorridenti e voltivi di questa mamma e questo papà, seppure di tanto in tanto velati dalla naturale commozione che segue il flusso dei ricordi, si intuisce quanto possa essere stata straordinaria l’esperienza con quella figlia traboccante di gioia pur nelle aspre esperienze della sua giovane vita.

Anselma. «Le ultime settimane a pensarle ora sono state incredibili. C’era un’atmosfera positiva, quasi di allegria. Capisco che possa sembrare strano. Uno sconosciuto che ci fosse venuto a trovare sapendo di tanta tragica sofferenza avrebbe potuto tranquillamente pensare di essere entrato in una casa di matti. Si scherzava e si rideva insieme e lei partecipava alla scherzo».

Roberto. «Oggi le persone che ci incontrano ci ringraziano, ci dicono "voi non sapete quanto Chiara ci sia vicina". Perché da quando è morta Chiara non è più semplicemente "nostra figlia", Chiara è di tutti e noi siamo diventati: "I genitori di Chiara". Qualche settimana fa mi ha chiamato un amico che vive a Dublino per dirmi che una sua nipote, novizia delle suore di Madre Teresa, gli aveva parlato di due novizie a Roma che avrebbero preso i voti a giorni e avevano scelto di chiamarsi Chiara in onore di mia figlia. Sono andato alla cerimonia: una Chiara Luz e l’altra Chiara Amata... avevano un bel sorriso...

Dicevate della straordinarietà di quelle ultime settimane.

Anselma. Subito prima di Pasqua 2012 i dottori ci avevano comunicato che il tumore, manifestatosi l’anno precedente, si era diffuso e non c’era più speranza. Dopo Pasqua ci siamo trasferiti nella casa di campagna, vicino a Roma. Gli amici di Chiara venivano a visitarla e una volta a settimana si trovavano tutti insieme per il rosario. Ogni volta si aggiungeva qualcuno e dopo il rosario si stava insieme, si condivideva come in una grande festa.

Effettivamente quando nelle fotografie o nei filmati si incontra il volto sorridente di Chiara in quegli ultimi mesi è davvero difficile privarsene, non desiderare di vederlo ancora.

Anselma. Era allegra, positiva. Non si lamentava. Non era mai rassegnata. Se mi vedeva triste diceva: «Non ti preoccupare mamma... vuol dire che è la cosa migliore per me e per tutti quelli che ci stanno vicino». Era convinta che Dio voleva per lei e per noi la cosa migliore. A un certo punto ha capito chiaramente il senso di tanta sofferenza, si è sentita chiamata a essere parte dell’opera redentrice di Gesù.

E voi? non è facile per dei genitori?

Roberto. Cosa posso dire... Io mi ritengo fortunato. Anche qui si sono invertite le parti: non siamo stati noi ad accompagnarla, ma lei ci ha accompagnato fino in fondo. Ci ha detto a tutti, uno per uno: «Vi voglio bene. State sereni». Sì, se n’è andata ma ci ha fatto vivere e capire che era per qualcosa di più grande, che valeva la pena. Per il suo funerale ha chiesto a Enrico (il marito Enrico Petrillo, ndr) di comprare una piantina da donare a coloro che sarebbero venuti. Lui ne ha comprate a centinaia e tutte sono state accolte dai presenti come vita che continua.

Anselma. Lei è associata un po’ alla lavanda. Per il matrimonio ne aveva fatti tanti mazzetti da regalare. A ogni messa per l’anniversario della morte, che quest’anno faremo ad Assisi, mettiamo centinaia di piantine di lavanda intorno all’altare e poi le distribuiamo ai presenti.

Perché ad Assisi?

Era molto legata ad Assisi, ai francescani di Santa Maria degli Angeli. Lì si è rafforzato il legame con Enrico, lì vive il direttore spirituale. E poi la postulazione passa dalla diocesi di Roma nelle mani dei frati Minori francescani.

Torniamo alle piantine del funerale...

Roberto. Sì, amava molto la vita. Ha dato la vita per la vita. E poi aveva particolare attenzione per la bellezza, per la famiglia, per la serenità delle relazioni umane. Fin da bambina non tollerava che avessimo discussioni. Quando capitava, come in ogni coppia, lei arrivava e ci congiungeva fisicamente, pretendeva che ci dessimo un bacio. Era molto attenta al prossimo, desiderava sanare, anche prevenire, ogni discordia.

Anselma. Era tutta per gli altri. Notava ogni sfumatura sui volti delle persone. Si accorgeva della minima sofferenza. A scuola, ma anche quando seguiva la preghiera dei più piccoli nella comunità del Rinnovamento che frequentavamo, aveva molte attenzioni per i figli di genitori in crisi. Aveva maturato capacità di ascolto, di pazienza misericordiosa. Gli amici si appoggiavano a lei. Non imponeva punti di vista, ma era coerente nella fede e nella vita. Sempre accogliente. Questo ne faceva un riferimento anche al liceo Visconti.

E a casa?

Roberto. Una sua caratteristica era la naturalezza. Mai nulla in lei era ostentato. Amava scherzare e ci divertivamo con le battute, i giochi di parole. Si interessava a tutto quello che succedeva intorno a lei e nel mondo. Era un’ottima interlocutrice, pacata, eppure determinata.

Anselma. Era concreta, con i piedi per terra, ma con lo sguardo rivolto al cielo.

Aveva un particolare dialogo con Dio?

Anselma. Era nella sua indole. E a me sembrava naturale: in fondo con lei e con Elisa abbiamo sempre frequentato lo stesso gruppo di preghiera, facevamo ritiri, pellegrinaggi, andavamo a Medjugorje. Abbiamo cercato di fare una strada di fede. Lei non saltava mai la preghiera personale. Faceva preghiera del cuore. E la Madonna per lei era una mamma, ne ascoltava gli insegnamenti che le salivano dal cuore. Poi appuntava ogni ispirazione, la arricchiva con dei disegni... Era il suo modo per mettere Dio al primo posto e il resto della giornata veniva di conseguenza, nella normalità.

Roberto. Sì, in famiglia l’unico fuori linea ero io. Vivevo queste cose di riflesso, ma tutto era normale, vissuto con semplicità. Per Chiara il Signore era un amico, si rivolgeva a lui in romanaccio.

Medjiugorje era un riferimento...

Roberto. Ci è andata più volte. Aveva 19 anni quando a Medjugorje ha conosciuto Enrico. È sempre stata bella ma sembrava disinteressata alle relazioni affettive. Vedendola molto coinvolta, ho provato a dire: «È il primo, Chiara, non ti preoccupare troppo» e lei mi ha detto: «Guarda che questo me lo sposo». Tutti e due andavano ad Assisi dove facevano corsi vocazionali. Hanno cominciato a frequentare don Fabio Rosini. Sono diventati amici di un frate di Santa Maria degli Angeli. Un giorno ci hanno invitati a cena e ci hanno comunicato data e ora del matrimonio in una chiesa di Assisi. Era il 2008.

Poi i due figli con malformazioni congenite e subito morti. Nel 2011 arriva il concepimento del terzo.

Anselma. Finalmente andava tutto bene. Poi si manifesta quella che sembrava un’afta alla lingua. Al quarto mese di gravidanza la situazione è esplosa. A tutti i costi lei vuole proteggere il bambino così la operano in anestesia locale: tolgono un pezzo della lingua, poi niente morfina. La notte è durissima, i dolori lancinanti. Una vera notte oscura. La assalgono i dubbi: «Se Dio ci fosse non mi tratterebbe in questo modo, non mi lascerebbe in questo stato». La fede e la speranza tornano limpide alla mattina quando arriva Enrico e insieme fanno le Lodi.

Viene in mente santa Bakhita che sul letto di morte, alle consorelle che chiedevano se si sentisse sul Calvario, rispondeva: «No, sul Tabor».

Anselma. Eppure la sofferenza è stata tanta. Dopo l’operazione c’era la necessità di fare subito dopo un intervento di pulizia dei linfonodi del collo che però non si poteva fare in anestesia locale. E lei trattava con i medici per far passare il tempo. Il giorno del parto trova nella stanza una mamma che aveva perso il bambino e la consola. Dopo quattro giorni la operano. Il cancro si era già diffuso. Tutta l’estate fa chemio e radio. Non riusciva a deglutire e viene alimentata con un sondino. A Natale 2011 si pensava che il peggio fosse passato.

Eppure quello che più si ricorda di Chiara è ciò che accade dopo. A cominciare dalla foto del suo volto sorridente con la benda sull’occhio.

Anselma. È stata fatta a Medjugorje, ad aprile 2012, quando la malattia aveva già intaccato l’occhio.

Ci è voluta andare dopo che ha saputo che le restava poco tempo?

Roberto. Lo desiderava tanto. Voleva portare noi e i suoi amici. All’inizio si pensa a quaranta persone. Io mi sono sempre occupato di turismo e attivo i miei contatti per organizzare. Intanto aumenta il numero di chi vuole venire. Alla fine riempiamo un aereo da 160 posti e a tanti dobbiamo dire di no. Siamo partiti il 17 aprile con un tempo pessimo e lei la sera prima stava malissimo, non stava in piedi.

Anselma. Quella sera gli dicevo: «Non andare. Come fai? La Madonna ti ascolta anche da casa...». «Non ti preoccupare mamma - fu la sua risposta - quello che il Signore vuole che io faccia me lo lascia fare». Il giorno dopo a Medjugorje, in un incontro con tutto il gruppo, seduta accanto a Enrico parla per due ore rispondendo alle domande sorridente e spigliatissima, la battuta pronta. Lì viene scattata quella fotografia. Alla mattina seguente sale anche lei a piedi al luogo delle apparizioni con un sole splendido. Tornati giù il tempo è pessimo e il giorno dopo uguale. Al rientro a Roma non reggeva più il dolore e ha dovuto cominciare la morfina.

Fede incrollabile e spontaneità...

Anselma. Era davvero spontanea in tutto. Salda in Dio e spontanea, felicemente spontanea. Un giorno Gigi (Gigi De Palo) le organizza un incontro col cardinale vicario Vallini. Lei stava già male. Abituata a jeans e maglietta, spigliata come sempre mi chiede: «Come ci si veste per incontrare un cardinale?». Ma quel giorno è il cardinale a incontrare Chiara. Si appartano. Parlano a lungo. In occasione del funerale, Vallini quasi non può fare a meno di sottolineare: «Abbiamo una nuova Gianna Beretta Molla». Lei era così. È così. La guardi a arriva al cuore. Io la chiamo la freccia di Dio perché arriva senza intermediazioni.

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