venerdì 26 giugno 2020
Occorre rimettere a registro le discendenze del caravaggismo e il pittore francese, esposto a Palazzo Reale, non ne fa parte. Certi suoi schemi precedono il maestro italiano e vengono da Honthorst
Georges de La Tour, “Educazione della Vergine” (1650 circa)

Georges de La Tour, “Educazione della Vergine” (1650 circa) - Skira

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Precocemente oscurata dal lockdown, ha riaperto anche la mostra che Palazzo Reale a Milano dedica a Georges de la Tour ("Georges de la Tour. L’Europa della luce"), prolungata fino alla fine di settembre. Mostra preziosa (catalogo Skira) tanto per il numero delle opere del misterioso pittore lorenese quanto per l’inquadramento all’interno del fenomeno europeo dei “pittori della luce”. In sostanza, si archivia il legame con Caravaggio, che specie in Italia tende a imporsi per via della lunga ombra longhiana. Semplificando, la questione se l’artista abbia visto i dipinti di Caravaggio o sia stato a Roma non è così importante, perché la sua dipendenza da quei modelli è relativa e tutto sommato incidentale.

Appare molto più interessante inserire la Tour nel problema del notturno a lume artificiale (i dipinti illuminati da una candela o da una torcia, spesso schermata da una mano così da moltiplicare effetti e virtuosismi), che – bisognerà pur ribadirlo – è un tema mai frequentato da Caravaggio e che invece è un fenomeno ampiamente europeo e precede (in Italia, per esempio, con Cambiaso e i cremonesi), lambisce e supera l’isola caravaggesca.

Ma è la stessa categoria generale del caravaggismo ad apparire sempre più fragile. In la Tour e per la pittura francofiamminga del Seicento appare ben più fondamentale Gerrit van Honthorst, per il quale certamente è essenziale il soggiorno romano e lo studio di Caravaggio: ma la sua produzione si riallaccia a un filone consolidato ed elabora modelli di successo in mezza Europa. Forse, con una provocazione, per molti si dovrebbe parlare di “honthorstismo”.

Georges de la Tour, dunque, riportato nella sua autonomia e nel suo tempo, a partire da un confronto serrato con dipinti coevi di van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot, Adam de Coster. Con questi e più di questi La Tour costituisce la controparte intima della grandeur barocca. La sua è una sofisticata pittura di concetto, dove il bilanciamento degli elementi e la sobrietà pittorica, spettacolare nel nascondere bravura e difficoltà, corrisponde a rigore logico e morale. La Maddalena penitente, gli straordinari Apostoli di Albi – pellegrini, cacciatori o soldati nei quali non si scorge l’azione dello Spirito – sono dipinti parlanti nel loro silenzio.

Se il lessico della pittura di genere (la vanitas e un grottesco confuso con il realismo) e la questione della luce sono comuni a molti colleghi, la Tour li sottopone a un progressivo asciugamento che condurrà alla pittura lignea, quasi arcaica, della fase finale: una sorta di essiccazione nella luce calda della candela che accentua elemento religioso in chiave domestica, cioè interiore.

Il rigore meditativo di la Tour, contemporaneo di Cartesio, è affine a un mondo spirituale su cui si affacciano figure come Pierre de Bérulle, Blaise Pascal, Pierre Nicole. I suoi dipinti hanno il timbro struggente e crepuscolare della viola da gamba e il viluppo ipnotico di tanti pièce de caractère: una produzione musicale, intellettuale e spirituale insieme, da camera e per intenditori.

In sostanza in la Tour (e qui sì è affine a Caravaggio) c’è la coincidenza di morale e pittura nel tema della luce; ossia la luce non è semplicemente artificio o mezzo di stupore ma è il dispositivo attraverso cui la pittura si incarica di risolvere i propri problemi, che essi siano estetici o etici. La Tour sembra procedere a una desertificazione della pittura, che passa per Giacobbe deriso dalla moglie e termina nella notte del San Giovanni Battista dove, scomparsa finalmente la candela, la figura è quasi indistinguibile e la stessa luce è ombra.

Milano, Palazzo Reale
Georges de La Tour. L'Europa della luce
Fino al 27 settembre

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