venerdì 3 dicembre 2021
Concluse le nuove traduzioni di tutti i romanzi per i Meridiani: i tre raccolti nell’ultimo volume sono i meno noti, ma anche i più vari e ironici
Thomas Mann

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Finalmente si conclude la grande impresa della traduzione di tutti i romanzi di Thomas Mann. Questo secondo volume dei Romanzi nei “Meridiani”, a cura dell’infaticabile Luca Crescenzi (pagine 1.568, euro 80,00), propone nuove traduzioni ad opera di Margherita Carbonaro e Elena Broseghini, dei romanzi per così dire minori: Charlotte a Weimar, composto tra il 1936 e il 1939, introdotto da Aldo Venturelli; L’Eletto, scritto tra il 1948 e 1950, con una prefazione di Elisabeth Galvan e infine Confessioni dell’impostore Felix Krull, con una premessa di Werner Frizen. Le Confessioni sono l’opera ironico-parodistica di una vita. Cominciamo dal Krull: Crescenzi, quale curatore del volume, ha avuto il coraggio di aggiornare il titolo, assai antiquato, che recitava Confessioni del cavaliere d’industria F.K. Pensate che nel 1905 Mann (aveva trent’anni), dopo la lettura delle memorie di un avventuriero rumeno, cominciò a scrivere su una figura simile, e così nacque il più ironico romanzo della sua vita. Un progetto che abbandonava e riprendeva. Erano tempi severi: la Grande Guerra, l’inflazione e finalmente la Repubblica di Weimar e infatti nel 1923 esce una parte cospicua del racconto, ma sarà solamente alla fine della guerra, nel 1954, che Mann conclude la prima (ed unica) parte. Di nuovo in Europa, a Zurigo, nel Grand Hotel Dolder dopo aver conosciuto un giovane cameriere, l’ultimo amore (platonico), sente di nuovo il piacere e la forza di proseguire a scrivere questo romanzo leggero, sottilmente perverso, un autentico ricamo dell’intelligenza e dell’umorismo. Morì sempre a Zurigo nell’agosto del 1955 e così ci lasciò con un’opera aperta, sublime e ironica, fascinosamente sospesa tra il romanzo di formazione, caratteristico della tradizione letteraria tedesca, e il racconto picaresco. Nel 1951 aveva pubblicato un altro racconto stranissimo, di tutt’altro segno: una sorta di riscrittura di un poema medievale, Gregorius. Divenne un racconto inquietante e nel medesimo tempo rispettoso – persino linguisticamente – di quella devota civiltà medievale. Si trattava di una variante del mito di Edipo, trasfigurata e redenta nell’Europa cristiana. L’impasto linguistico con elementi dal latino, dai parlati romanzi, dal tedesco medievale contribuisce al fascino intrigante, sostenuto da uno stile allegro, melodico come un Lied, come una canzone di un trovatore. Per noi l’incipit ha qualcosa di commovente con le campane di Roma: «Suono di campane, frastuono di campane supra urbem, sull’intera città, nelle sue brezze ricolme di note! Campane, campane, che oscillano e ondeggiano, dondolano e ciondolano con moto alterno sospese ai travi e ai ceppi, con le loro cento voci, in una babilonica confusione». E nella città eterna si compie il destino, altrimenti tragico, di Gregorius, l’Eletto al sacro soglio pontificio: colui che molto peccò, e molto si pentì ed espiò, era scelto a sostenere la santa istituzione della Chiesa. Si dice che questo romanzo venisse apprezzato dalle romane gerarchie tanto da consentire al luterano Mann un incontro con il Pontefice nel 1953, come ricorda nel diario: «Mercoledì 29 aprile udienza privata da Pio XII, esperienza di grandissima intensità e commozione, che continua ad agire con forza in me in modo strano». È la magia di Roma, quella Roma dove Mann aveva scritto, ventenne, il primo capolavoro, I Buddenbrook, quella Roma che lo collegava al suo grande maestro, a Goethe, che lo aveva accompagnato, idealmente sostenuto per l’intera esistenza di scrittore e d’intellettuale. Nei momenti più amari e aspri della vita tornava sempre a Goethe, come in quel terribile 1936 in cui ruppe pubblicamente, definitivamente con il Terzo Reich dopo un lungo silenzio di tre anni, trascorsi già in esilio. Il rifugio spirituale fu questo divertissement serissimo: Charlotte a Weimar. Mann rievoca la visita che Charlotte Buff Kestner, la Lotte del Werther, compì a Weimar nel 1816. Lo spunto era autentico, Frau Kestner era stata veramente a Weimar e durante il soggiorno fu invitata nella sontuosa casa di Sua Eccellenza von Goethe, che gli mise a disposizione la carrozza per una rappresentazione teatrale. Alla fine dello spettacolo, la carrozza attendeva la donna – che al figlio aveva scritto quanto Goethe fosse stato algido. Nel tragitto – sogno o realtà non sappiamo – Goethe appare e le parla come allora: ecco che il genio del Werther ritorna. Lei ascolta e infine non le resta che augurargli: «Pace alla tua vecchiaia!». Augurio per il grande di Weimar, ma anche per Mann, il grande esule, lontano dalla patria, ma che poteva ancora affermare con amaro orgoglio: «Dove sono io, c’è la cultura tedesca».


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