giovedì 4 settembre 2014
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La storia che stiamo per raccontarvi ha dell’incredibile. Un poeta palestinese siriano, Khaled Soliman Al Nassiri, da pochi mesi cittadino italiano, il regista Antonio Augugliaro e lo scrittore e giornalista Gabriele Del Grande incontrano alla Stazione Centrale Milano, dove ogni giorno vanno ad aiutare migranti in difficoltà, cinque palestinesi e siriani in fuga dalla guerra, senza documenti, sbarcati a Lampedusa, alcuni sopravvissuti al drammatico naufragio dello scorso ottobre e intenzionati a proseguire con l’aiuto di contrabbandieri il loro viaggio fino alla Svezia, dove avrebbero chiesto asilo politico. Decidono di aiutarli ad attraversare l’Europa e per eludere qualunque controllo alle frontiere mettono in scena un finto matrimonio (chi chiederebbe mai i documenti a degli sposi?) coinvolgendo un’amica palestinese che indosserà un vaporoso abito bianco e un’altra decina di persone, italiani e siriani, vestiti da invitati. Così mascherati, impiegheranno quattro giorni, dal 14 al 18 novembre 2013, per giungere a destinazione, percorrendo tremila chilometri attraverso Francia, Lussemburgo, Germania, Danimarca. Questo rocambolesco viaggio, coraggioso atto di disobbedienza civile, nato dalla convinzione che attraversare una frontiera non sia un crimine, che il cielo, il sole, la luna, il mare e la vita stessa siano di tutti, e che distinguere gli esseri umani in legali e illegali sia invece un atto mostruoso, è diventato un appassionante documentario, Io sto con la sposa, finanziato da una campagna di “crowfunding” online dal successo senza precedenti (100mila euro in soli 60 giorni), era già stato raccontato in anteprima da Avvenire lo scorso giugno, quando i protagonisti ci raccontavano il loro sogno di sbarcare a Venezia. Un sogno diventato realtà: il documentario viene presentato oggi alla Mostra del Cinema nella sezione Orizzonti e uscirà nelle sale il 9 ottobre. Ad accompagnarlo al Lido tutti i protagonisti di questa avventura ricca di umanità, poesia, commozione e tenerezza, reale e fantastica al tempo stesso, costellata da ricordi, momenti scanzonati, risate, canti, balli, chiacchiere, tensioni, lacrime, alla ricerca di una normalità perduta e desiderata. «Durante il viaggio rischiavamo l’arresto in flagranza di reato e 15 anni di galera – dice Del Grande, autore del blog Fortress Europe, che da anni racconta storie di migrazione nel Mar Mediterraneo – ora potrebbero denunciarci per favoreggiamento di immigrazione clandestina, avviare delle indagini, rinviarci a giudizio e processarci. Ma non ci sentiamo soli, possiamo contare sul sostegno forte di tutti coloro che ci hanno aiutato a realizzare il film, sulle attenuanti umanitarie, sull’aiuto di una serie di avvocati». «Abbiamo disobbedito alla legge degli uomini, è vero – aggiunge Augugliaro – ma non a quella del nostro cuore. Abbiamo dedicato il film ai nostri figli, perché tutte le generazioni future abbiano il coraggio di inseguire la giustizia umana, anche se in contrasto le leggi di uno Stato. Nel piccolo microcosmo del corteo nuziale si riflette il mondo che vorremmo e il compito del cinema è quello di realizzare dei sogni. Condividere un rischio e un sogno ci ha unito e ha cambiato il nostro sguardo sulla realtà, ci ha spinto alla ricerca di un linguaggio capace di trasformare il brutto in bello, i numeri in nomi propri, gli altri in persone con una storia che li rende uguali a noi». «L’obiettivo del film – commenta Al Nassiry – è far conoscere al pubblico questa tragedia, che ha trasformato il Mediterraneo in un immenso cimitero, e sottolineare l’assurdità di una legge che lascia migliaia di persone in balia di contrabbandieri senza scrupoli. «Non contestiamo il concetto di confine – aggiunge Del Grande – ma l’idea che esistano barriere invalicabili. Spesso la chiave con la quale si raccontano queste storie è quella della compassione, che spinge lo spettatore a identificarsi con le vittime, ma non a sentire la responsabilità di ciò che accade. Questo film ci ricorda che siamo tutti soggetti politici e che possiamo fare qualcosa per cambiare il mondo». A tre giorni dalla prima qui a Venezia, gli autori del documentario hanno poi scoperto di non essere stati i primi a pensare a una sposa. Su un quotidiano, nel 2013, un articolo rievocava la fuga di una famiglia di ebrei dall’Italia in Svizzera. In un villaggio del Lago Maggiore attendeva il momento buono per passare il confine, mentre il gruppo di transfughi si andava ingrossando. E perché quell’assembramento di persone estranee al paese non desse nell’occhio, fu organizzato un finto matrimonio con tanto di travestimenti e musica. Alla fine della festa, alle 4 del mattino, i fuggiaschi entrarono in Svizzera attraverso un buco nella rete. «Abbiamo la pelle d’oca – commentano gli autori –, era il 1943 ed era la guerra. La storia ritorna. E ritorna la vita. Sono queste piccole cose che ti fanno sentire dalla parte giusta!».
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