domenica 15 settembre 2019
Prende vita il progetto a lungo desiderato dal campione scomparso 8 anni fa: donare una casa accogliente e attrezzata ai sessanta ragazzi con gravi disabilità della Comunità di Montetauro
Marco Simoncelli in una foto del 2011 (Ansa)

Marco Simoncelli in una foto del 2011 (Ansa)

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«A noi addolora non riuscire a vederti, ma ci dà pace e tanta gioia la speranza di saperci inquadrati da te, dal podio più alto che ci sia…». Sono le parole dell’omelia, pronunciate dall’altare della chiesa di Coriano, dal vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, il giorno del funerale del centauro più amato e più "vivo" del circus del Motomondiale, Marco Simoncelli. Otto anni senza il Sic, ma «Sic c’è», verrebbe da gridare alla Guido Meda. Marco il generoso, è volato via per sempre un giorno d’ottobre (il 23) del 2011: aveva soltanto 24 anni e tutta una vita davanti. Però qui, nella sua terra, è rimasta impressa la cosa più preziosa: la sua grande anima altruista. E quella in giorni come questi spazza via anche i più cattivi dei pensieri, come la tragica fatalità – trasmessa in diretta, in mondovisione, sulla pista di Sepang, in Malesia – che ce l’ha portato via. «Un’immagine così terribile quella dell’incidente che riusciamo a cancellarla solo quando siamo qui vicini al Sic...», dicono due ragazzi arrivati in moto da Lugano, «come facciamo ogni anno prima del GP di Misano». Sono Anna e Marco, «già, come la canzone di Lucio Dalla e io sono fiero di portare il nome del Sic», dice il ragazzo con una montagna di ricci in testa, proprio come Simoncelli.

Parcheggia la moto davanti al Museo dedicato al pilota di cui si occupa Kate Fretti, per tutti: la "morosa" del Sic. Kate è rimasta a vivere vicino a papà Paolo Simoncelli, mamma Rossella e Martina, l’amata sorella di Marco, e tutti i giorni dalle stanze sotto i portici del teatro dove ha sede il Museo vede arrivare carovane di motociclisti e tifosi che si fermano il tempo di una piadina e una birra. Ma prima, come Anna e Marco, con i lucciconi agli occhi e un mazzo di fiori in mano vanno a rendere omaggio al loro piccolo eroe esemplare. Nel parco della piazza don Minzoni c’è un piccolo monumento, una stele vetrata con su inciso il numero del campione, il "58" e una frase che il Sic ha prematuramente lasciato ai posteri: «Mi piacerebbe essere ricordato come uno che in gara sapeva emozionare». Missione compiuta. Il nome di Simoncelli corre ancora forte in giro per il mondo, specie in tutti quei circuiti solidali (dal Burundi ad Haiti) che recano la sua firma e quella di una famiglia straordinariamente dignitosa che ha trasformato il dolore indelebile per la perdita innaturale di un figlio nella possibilità di donare felicità agli altri, ai più bisognosi. L’ultimo progetto realizzato è quello che il bimbo prodigio di Coriano custodiva in fondo al suo cuore trasparente: donare una casa accogliente, confortevole e attrezzata a quei ragazzi disabili della Comunità di Montetauro. Una sessantina di creature, molte delle quali con disabilità gravi, che appena poteva Marco andava a trovare. Faceva del volontariato, in silenzio, convinto come un altro grande delle due ruote, ma senza motore, la leggenda del ciclismo Gino Bartali, che «il bene si fa ma non si dice».

«Marco la prima volta che venne a Montetauro era stupito, era un mondo che non conosceva. Poi una volta presa confidenza con i nostri ragazzi, con la sua simpatia contagiosa era diventato uno di loro... Gli volevano un mondo di bene», racconta don Lanfranco Bellavista, il parroco della chiesa di Santa Innocenza e responsabile della Comunità. «Marco ogni volta che tornava da Montetauro era felice, lo faceva star bene dedicare quel poco tempo libero dalle corse alla Comunità. Sentiva sulla sua pelle il calore e l’affetto che gli trasmettevano i ragazzi e voleva ricambiare in qualche maniera. Così un giorno mi fa: "Papà, perché non rimettiamo a posto quel vecchio albergo lì vicino alla chiesa di Sant’Andrea in Besanigo e ci mettiamo i ragazzi di don Lanfranco?". Così abbiamo fatto».

Per realizzare il progetto ci sono volute le solite corse a ostacoli «per colpa della nostra burocrazia», una spesa di quasi tre milioni di euro, ma a fine settembre quella che era la vecchia Casa Vacanze Santa Marta aprirà i battenti e per tutti questa sarà "Casa Marco Simoncelli". La bella struttura in cui chi arriva viene accolto da un murales che riproduce l’effige bella e scanzonata del Sic in sella alla sua moto n. 58. Sorridente, come cantano in Rise Again la band di Manchester dei Rainband, nel brano scritto apposta per Simoncelli. «Marco era sempre così, pronto a sorridere a tutti. Questa casa nasce per dare un sorriso a chi soffre, una mano alle loro famiglie, a farle sentire meno sole», dice Paolo Simoncelli mentre ci guida negli spazi del centro diurno costruito su tre piani. Al piano terra c’è una bella piscina per la riabilitazione e le sale ricreative dove lavoreranno operatori sanitari e quelli della Comunità di don Lanfranco. «Ai due piani superiori ci sono gli appartamenti (arredati e con cucina) che potranno ospitare i ragazzi e i loro famigliari… E’ bello vero? Già, peccato che Marco non sia qui a vedere questo spettacolo», dice Paolo.

Il papà di tutto il Motomondiale e non solo dei ragazzi del team "58 Sic Squadra Corse", per un istante abbassa gli occhi. Sono occhi tristi, perché quel vuoto lasciato da Marco è impossibile da colmare, ma questa Casa almeno riempirà invece i vuoti che finora hanno provato altri padri e madri, abbandonati al loro dolore. «Quando è successa la tragedia è stata dura anche per noi della Comunità - dice don Lanfranco - Ma c’è di bello che tanti dei nostri ragazzi lo cercano ancora. Pensano che Marco sia vivo e che è solo in viaggio per correre con la sua moto e che prima o poi tornerà a trovarli… Intanto la settimana scorsa è venuta la Kate e li ha portati a Riccione, un giorno tutti al mare sull’acquascooter». Marco Simoncelli è ancora qui e lo sarà per sempre, dalla sua Casa davanti al mare, perché come sostiene il suo ex manager e amico Carlo Pernat, eterno è l’insegnamento che ha lasciato: «Sic aveva mandato un messaggio al mondo che forse non ancora tutti avevano capito, ma che era chiarissimo ai tanti giovani e agli appassionati della MotoGP e cioè, che si può essere dei campioni di successo, dei fenomeni mediatici, pur restando persone normali. Marco, era rimarrà per sempre il ragazzo di Coriano».

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