giovedì 28 ottobre 2021
Andriyesh è nato 19 anni fa in Ucraina, è l’atleta di handbike più giovane d’Italia dove è arrivato con i genitori per ricevere le cure adeguate alla sua tetraparesi spastica
il corridore di handbyke Davyd Andryiesh, 19 anni, è nato in Ucraina ma sogna la Paralimpiadi di Parigi con la maglia azzurra

il corridore di handbyke Davyd Andryiesh, 19 anni, è nato in Ucraina ma sogna la Paralimpiadi di Parigi con la maglia azzurra - Per gentile concessione di Davyd Andryiesh

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«Lo chiederemo agli alberi, come restare immobili, fra temporali e fulmini. Invincibili...», canta Simone Cristicchi. E in questa storia che andiamo a raccontare, abbiamo incontrato i veri “invincibili” della vita di tutti i giorni. Una tappa, dato che di ciclismo – paralimpico – si parla, partita dal prato verde della pieve di Romena (la “casa” di don Gigi Verdi), dal mandorleto dedicato alle “morti bianche” di ragazzi come l’ex calciatore del Bologna Niccolò Galli, (19832001), passata per Firenze con traguardo volante alla “Fondazione” creata da Giovanni Galli, sua moglie Anna e le figlie Camilla e Carolina, per poi arrivare in Brianza, a Villasanta, nella casa di Davyd Andriyesh, il più giovane corridore italiano di handbike. Già, italiano, a dispetto del cognome Andriyesh: il 19enne Davyd è infatti giunto da noi dall’Ucraina, da Cernivci.

È da lì che mamma Chiara e papà Oleh sono emigrati per portare l’allora piccolo Davyd in Italia «perché sarebbe stato curato meglio – raccontano gli Andriyesh – . Davyd è nato l’8gennaio, il giorno di Santo Stefano, la festa più sentita in Ucraina. L’ospedale di Cernivci era praticamente abbandonato e dagli ultimi esami clinici i medici ci dissero che il bambino non sarebbe sopravvissuto al parto. Così, dopo una serie di errori imperdonabili gli hanno provocato una tetraparesi spastica». Davyd è stato strappato alla morte, ma non alla carrozzina, dalla quale oggi però, dopo numerosi interventi chirurgici e le costanti terapie, a tratti riesce anche ad alzarsi e abbracciare suo fratello minore, Pavlo. Ciclista agonistico anche Pavlo che però due anni fa si è dovuto fermare per via di un “cuore matto” che avrebbe messo a rischio la sua vita. Perciò ora Davyd prosegue la corsa anche per lui.

«Pavlo e i miei genitori sono fondamentali, senza di loro non riuscirei a fare proprio nulla. Mi hanno sempre sostenuto, specie nei periodi più bui hanno sempre creduto in me senza mai farmi pesare la mia condizione, ma anzi incoraggiandomi ad andare avanti, ricordandomi che nella vita c’è un bivio: accettare la propria disabilità e combattere o altrimenti, rassegnarsi». Davyd con la grinta e il coraggio del ragazzo molto più maturo dei suoi coetanei ha scelto la prima via, combattere. Ha cominciato presto la sua sfida di bambino cresciuto con la passione per lo sport («a 4 anni facevo nuoto»), ma soprattutto per la bicicletta. Non potendo pedalare si accontentava di guardare il Giro d’Italia e il Tour de France in tv. Un occhio sempre attento alle imprese dello “Squalo” Vincenzo Nibali: «È lui che mi ha fatto appassionare al ciclismo. Nibali è uno di quei campioni che vorrei tanto conoscere prima o poi, vorrei ringraziarlo per le emozioni che mi ha trasmesso e per avermi indicato la via».

Ma la folgorazione è stato scoprire l’esistenza di un ciclismo fatto apposta su misura per lui. «Ho cominciato a gareggiare nella handbike a nove anni dopo un’estate passata incollato alla televisione a seguire le Paralimpiadi di Londra 2012. Il trionfo di Alex Zanardi mi ha illuminato ». Il mito di Alex lo segue a ruota in ogni gara. «Stimo tantissimo Francesca Porcellato che dal 1988 ad oggi non ha saltato una Paralimpiade. E la stessa ammirazione provo per Jetze Platt che domina la scena paraciclistica e del paratriathlon senza conoscere rivali. Ma chiunque inizi la nostra disciplina non può che ispirarsi alla forza di volontà e alle imprese compiute da Zanardi, lui è un faro sempre acceso, anche ora... Un giorno in Veneto l’ho incontrato dopo una gara e Zanardi mi disse: “Tu non hai bisogno di me, hai già trovato la tua strada”. Quella frase la porterò sempre dentro di me».

E ne ha fatta tanta di strada Davyd da quando l’associazione “You able Onlus” di Milano comunicò che gli avrebbe fatto dono di un handbike: «Quel giorno l’emozione fu talmente tanta che non saprei davvero descriverla a parole». Si commuove Davyd ma non spegne mai il sorriso del campioncino della Cus Pro Patria di Milano. Quel sorriso bello come il sole che lo ha portato ai nastri di partenza del Giro d’Italia 2016 a Cesano Maderno.

Nel 2017 a Varese è diventato campione regionale, categoria under 16. E prima del lockdown aveva chiuso una stagione da incorniciare: «Nel 2019 sono diventato Campione regionale H2 senior». Traguardi raggiunti con il sudore di chi si allena spingendo forte, con la forza delle sole braccia, fino a 30 chilometri al giorno. Il «circuito di casa» per lui è lo stesso del giovane pilota della Ferrari Charles Leclerc, l’anello dell’autodromo di Monza: 5,793 chilometri che percorre in 12 minuti netti. Corre sempre più veloce Davyd, specie adesso che ha appena ricevuto il nuovo modello “carbon bike” donata dalla “Fondazione Giovanni Galli”. In sella a questo nuovo gioiello ciclistico domenica scorsa a Campi Bisenzio è arrivato primo al Trofeo Nazionale “Gastone Nencini”.

«È una vittoria che dedico naturalmente a Niccolò, che da Lassù sono sicuro è orgoglioso di vedere come la sua famiglia si adopera generosamente per realizzare progetti così belli e importanti come il mio». Il giorno dopo l’ennesimo successo, Davyd è tornato puntuale a lezione. «Sono iscritto al primo anno del corso in Linguaggi dei media all’università Cattolica di Milano. Voglio fare il giornalista? È un settore che mi piacerebbe approfondire parallelamente al ramo pubblicitario all’interno della comunicazione mediale». Idee chiare e precise come ha bene in mente gli orizzonti paralimpici da raggiungere.

«Il sogno è le Paralimpiadi di Parigi 2024. Io lavorerò duro come sempre per arrivarci, sempre se la salute mi assiste e soprattutto se Dio vorrà». Saggezza del ragazzo che allena quotidianamente il corpo ma anche lo spirito. «Credo che niente possa accadere senza il volere di Dio. La Sua mano è sempre stata su di me dopo ogni intervento e mi ha aiutato a rialzarmi. Quando sono nato, i medici ai miei genitori avevano detto che non sarei sopravvissuto, ma grazie alle loro preghiere Dio mi ha donato la vita e mi ha permesso di essere ciò che sono oggi...». Davyd ora è un ragazzo che ha compreso che la ricchezza è vivere con due briciole di speranza guardando a un futuro a cui va incontro con una certezza: «Voglio continuare a sentire il vento in faccia, e “faticare” insieme alla mia handbike che è un pezzo importante di questa mia nuova vita».

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