sabato 15 aprile 2023
L’ultimo libro di Lévy affronta la questione ebraica a Kiev, spiega le forzature di Mosca sulla presunta amicizia col popolo ucraino e l’accusa di filonazismo
Kiev

Kiev - Ansa

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Esiste, o è esistita, una questione ebraica in Ucraina? Certamente sì, così come in tutto il mondo dell’Est europeo e della Russia. Durante la Seconda guerra mondiale la tragedia della Shoah scatenata dal nazismo fu un genocidio senza confronti, ma non va dimenticato che in tante nazioni, dalla Polonia all’Ungheria all’Ucraina appunto, poté accadere non solo grazie al sistema d’annientamento messo in atto dal Terzo Reich, ma a volte anche con la complicità delle popolazioni locali. Peraltro, va riconosciuto che in quegli stessi Paesi non pochi furono coloro che si impegnarono a rischio della vita per salvare gli ebrei, nascondendoli o aiutandoli a fuggire: i cosiddetti Giusti tra le nazioni riconosciuti come tali allo Yad Vashem di Gerusalemme.

Come scrive il filosofo francese Bernard-Henri Lévy nel suo ultimo saggio, Dunque, la guerra! (La nave di Teseo, pagine 336, euro 19): «Sì, è esistita in Ucraina, non meno che in Polonia o in Russia, una tradizione di pogrom. Sì, sono esistiti dei nazionalisti estremi pronti ad allearsi, nel 1941, con Hitler contro Stalin. Ma la verità è che questa terra di delitti e di sangue è stata anche una delle terre che, al tempo stesso, ha annoverato il maggior numero di Giusti tra le nazioni».

Anzi negli anni recenti l’Ucraina, più di altri Paesi teatro delle famigerate Einsatzgruppen che diedero vita alla cosiddetta Shoah delle pallottole, in cui gli ebrei vennero fucilati e gettati in enormi fosse comuni, ha voluto fare i conti col suo passato. Lo dimostra il memoriale di Babij Jar, realizzato sul luogo in cui furono massacrati 33.711 uomini, donne e bambini ebrei in soli due giorni, fra il 29 e il 30 settembre 1941. Come ha documentato lo studio di Antonella Salomoni Le ceneri di Babij Jar. L’eccidio degli ebrei di Kiev (il Mulino, 2019), nel 1939 nella città ucraina vivevano 224.326 ebrei, oltre un quarto degli abitanti; nel censimento fatto nel 1942, ne risultavano 20. Pochissimi erano riusciti a scappare o a sopravvivere alle stragi. Finita la guerra, ben pochi di coloro che si erano salvati vi fecero ritorno. «Non abbiamo affatto bisogno degli ebrei nella nostra Ucraina», aveva dichiarato Chruscev, che Stalin aveva posto a capo del governo di Kiev dal 1944 al ’47. Così, ogni tentativo di commemorazione da parte ebraica è finito nel vuoto durante gli anni dell’Unione sovietica.

Solo dopo la fine dell’Urss la verità ha cominciato a emergere. Grazie anche alla straordinaria opera di un sacerdote francese, Patrick Desbois, il quale ha ricostruito a partire dal 2002, visitando villaggi e ritrovando testimoni, l’Olocausto per fucilazione, che solo in Ucraina ha fatto quasi un milione e mezzo di vittime. Lo rammenta proprio Lévy, che il 29 settembre 2016, a 75 anni dal massacro, fu chiamato a tenere un discorso di commemorazione proprio a Babij Jar - discorso contenuto nel volume -, in cui celebrò anche la memoria del metropolita Andrej Sheptytsky, «una delle rare voci che abbiano avuto il coraggio di levarsi contro la persecuzione e lo sterminio degli ebrei».

A smentire l’accusa di nazismo rivolta agli ucraini da parte di Putin, Lévy ricorda – ma già basterebbe la fuga dalla Russia del rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, dopo l’invasione dell’Ucraina - come le associazioni e le comunità ebraiche abbiano partecipato direttamente alle prime proteste di Maidan nel febbraio 2014, in cui il popolo di Kiev si espresse chiaramente a favore dell’Europa, per la libertà contro la dittatura. E all’opera di disinformazia del Cremlino e al progetto nostalgico di ripristinare l’antica Urss in nome di un’ideologia euroasiatica, egli contrappone proprio quell’Europa le cui radici affondano nella tradizione giudaico- cristiana.

Anche l’Holomodor, il genocidio per fame della popolazione ucraina provocato da Stalin negli anni Trenta, si affaccia più volte nel libro di Lévy, nel desiderio di fare piena luce sui fantasmi del passato: «Sappiamo che queste elaborazioni della memoria, scrupolose e ardenti, queste opere di ricognizione senza tregua né respiro, sono state uno dei fondamenti della nuova Europa». Quell’Holomodor sul quale ha compiuto un’opera decisiva Robert Conquest nel suo Raccolto di dolore, pubblicato per la prima volta nel 1986 e ora riproposto da Rizzoli con la prefazione di Marco Clementi e una nuova introduzione dell’autore. L’operazione di sterminio programmata da Stalin fra il 1932 e il 1933 che uccise milioni di ucraini è ancora una pietra d’inciampo in Russia, dopo essere stata negata per decenni e sminuita persino da Gorbaciov. Ma tanti Paesi, fra cui anche il Vaticano e buon ultima la Germania, hanno riconosciuto il carattere di genocidio della strage, e si aspetta che anche il Parlamento italiano faccia altrettanto.

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