mercoledì 3 maggio 2023
Un’analisi storica e letteraria sulle ragioni e le contraddizioni su cui si fonda il potere in Russia dagli zar a Stalin a Putin. Una questione metafisica che l'Occidente non sa maneggiare
Mosca

Mosca - Ivan Shilov / Unsplash

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Anticipiamo una sintesi dell'intervento che il filosofo Ivan Dimitrijevic terrà domani a Udine alla 19a edizione del Festival vicino/lontano, in programma da oggi fino a domenica.

Le numerose analisi geopolitiche, psicopatologiche o culturali che si sono susseguite a partire dal febbraio del 2022, pur nella differenza di impostazioni ideologiche ed esiti previsti, hanno dato per scontato un fatto di primo acchito indubitabile: che la Russia esiste. Che cioè esiste nella medesima forma – più o meno – assunta dagli stati-nazione occidentali. L’Europa starebbe pertanto fronteggiando un Paese quasi “normale”, tutto sommato comprensibile o quantomeno riconducibile a parametri abituali. Per quanto ciò possa sembrare “anormale”, vorrei sfidare questo presupposto ragionevole affidandomi con umiltà ad alcuni pensatori e artisti russi che cercarono di convincerci del contrario.

Nikolaj Berdjaev, il pensatore religioso corresponsabile dell’insorgenza dell’esistenzialismo, a più riprese argomentò che la Russia fosse un’idea e non un realtà. Come fatto materiale la Russia non è mai esistita – il fatto non ha mai raggiunto la necessaria uniformità. Null’altro che l’idea della Russia è capace di tenere unito il corpaccione sfilacciato di potentati locali, etnie, fedi e superstizioni di cui si compone e compiace l’universo russo. La stessa impietosa crudeltà che Mosca esercita tanto nei confronti della propria popolazione quanto sugli altri popoli fa il paio con l’ipotesi che qualsiasi corpo è sacrificabile pur di tenere in vita l’idea – anche quello del re. Vana è dunque la prospettiva illuminista che scorge nell’”operazione speciale” le recrudescenze della mitologica orda mongola.

In Russia la vita del corpo non vale niente perché soltanto l’idea possiede realtà. Non è l’antropologia a essere incomparabile, ma la filosofia. L’acuta superiorità dell’idea sulla vita materiale ha innervato anche i maggiori movimenti d’opposizione russi. Nei suoi due romanzi sui giovani socialisti, I padri e i figli e La terra vergine, Ivan Turgenev aveva ritratto i rivoluzionari ottocenteschi disposti a qualsiasi violenza pur di migliorare le condizioni materiali della vita del popolo proprio perché motivati dalla purezza dell’idea. Le idee e soltanto le idee sono disinteressate, innocenti. A loro tutto è permesso. Nell’Ivan il Terribile, il maggior trattato politico sulla Russia, Einsenstein, sedotto e spaventato dal potere stalinista, mostra come il primo zar di tutte le Russie, la cui figura è guarda caso modellata sull’iconologia cristica, avesse cercato – non di rado giocando a scacchi con le potenze europee, già dipinte come sessualmente degenerate, ciniche, raffinante nell’arte della decadenza, in largo anticipo sulla retorica della propaganda putiniana – di rafforzare lo stato proprio per servire l’idea della Terza Roma, «e la Quarta non ci sarà».

L’idea della Russia è l’ultima idea possibile: ciò la pone nell’assoluto. La tragicità di questo fatto, visto dalla prospettiva russa, è dovuta alla provenienza della nozione stessa dell’idea: l’idea è un ritrovamento europeo e non russo. Da qui – e non solo dall’impotenza politica, culturale o militare – il complesso di inferiorità che ha fatto guardare all’Occidente generazioni di intellettuali russi. Da qui il perenne domandarsi russo circa sé stessi. Da qui traggono origine le ben note compensazioni con le quali la cultura russa ha giustificato la propria debolezza sostenendo che solo gli ipocriti e i falsi, cui non basta la verità dell’idea, vogliono farsi potenti. La Russia invece esiste finché rimane fedele all’idea di sé stessa. Vince, così stracciona, perché ha dalla sua la verità. Anche le sue vittorie sono presentate come miracoli verginali e ogni crimine è perdonato a priori.

Siamo soliti guardare alla Russia come a un pezzo d’Europa ancora immatura, una nazione in ritardo nello sviluppo morale, civile e politico. Ma la Russia, essendo un’idea, legge il ritardo come un essere in anticipo sulla decadenza dell’Occidente (un’altra idea occidentale!). Proprio perché incarna un’idea europea, la Russia interpreta sé stessa come il luogo al quale l’Europa dovrebbe aspirare, non comprendendo in tutta sincerità la nostra incomprensione della Russia. Dal loro punto di vista essi sono il centro del mondo – ma porsi al centro del mondo è ancora una volta un’idea nostra (che per fortuna siamo stati capaci di mettere in discussione).

Che cosa significa vivere per un’idea? Fu ancora Turgenev, trafugando in Europa il concetto di nichilismo, a fornirci la risposta: significa essere nichilisti. L’atteggiamento nichilista nei confronti della vita biologica e sociale è tutt’uno con il sacrificio estremo che il soldato dell’idea si dice pronto a compiere. Ciò lo separa dalla morale mondana e lo eleva oltre la giustizia. Benché ciò possa sembrarci assurdo, non è affatto un’errata interpretazione della storia a consentire all’attuale regime di annoverare fra i suoi santi i massimi distruttori del popolo – da Ivan il Terribile a Stalin. Il potere che realizza un’idea è sottratto al giudizio. Ad abbatterlo si distrugge non un potere, bensì un’idea: la Russia. Perciò il potere in Russia rinasce sempre identico a sé stesso. Esso non è libero di scegliere l’idea da servire. L’idea della Russia lo precede vincolandolo a sé stessa.


«Proprio perché incarna un ideale, Mosca interpreta se stessa come il luogo al quale l’Europa dovrebbe aspirare Un ideale che manca di ogni relazione con la realtà In questo è la sua purezza È il nulla. Nichilismo in azione»

Giungiamo così al problema della fascinazione che la cultura russa ha esercitato sugli intellettuali europei. Darsi tutto all’idea pare così nobile, ingenuo, antiborghese. Ecco una vita finalmente anticapitalista, indifferente alle meschine comodità e preoccupazioni edoniste. Una vita piena. Quest’attrattiva è andata crescendo dopo la Rivoluzione del 1917. Ad ammaliarci non fu il comunismo ma la purezza dell’idea, la sua non-mondanità, la sua estraneità ai meccanismi storici e sociali. Ci siamo posti da sé nel ritardo metafisico rispetto all’idea della Russia che non è mai esistita al di fuori dei discorsi russi sulla propria identità e sulle ragione d’esistenza di questa strana formazione che si pretende radicata nella trascendenza.

L’idea della Russia appare non scalfibile proprio perché non la si ritrova da nessuna parte – soprattutto in Russia. In questo consiste la sua purezza, ma anche la sua estrema ipocrisia. E un’idea che manca d’ogni relazione con la realtà, è il nulla: nichilismo in azione. Il nichilismo che ora vediamo agire in Ucraina però poco ha da spartire con la cinica volontà di dominio: è invece pura metafisica che di ogni potere fa un’appendice, sebbene necessaria. E si ricordi che noi da un paio di secoli ci precludiamo di pensare metafisicamente!

Ma il nichilismo europeo differisce da quello mirabilmente descritto da Turgenev o Dostojevski. È dovuto all’impossibilità di rinvenire qualcosa per cui vivere e assume la mediocre forma del venire a patti con qualsivoglia vita. Il nichilismo russo di contro è metafisicamente denso e significa: vale sempre la pena di vivere per il nulla, per l’idea.

La Russia, affatto barbara, anzi, metafisicamente raffinata, non può venire normalizzata, resa democratica, immessa sui binari del progresso. La realtà storica e sociale non penetra l’idea senza recarle danni irreparabili. Dinanzi a noi, più potenti perché più terreni, sta la scelta se la Russia debba continuare a non esistere oppure se debba cessare di esistere. La scelta non può che sapere di nichilismo poiché implica una decisione attorno al nichilismo. E temo che la nostra risposta – quale che sia – verrà al solito motivata da ipocrisie e paure di cui si nutre l’idea della Russia. Un’idea necessariamente nostra.

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