mercoledì 15 marzo 2023
Ritenuto un atleta dal talento mediocre, nel salto in alto, decise di cambiare le regole del gioco: lo sguardo si rivolge al cielo mentre, di schiena, il corpo supera l’ostacolo. E cambiò tutto
Il campione statunitense Dick Fosbury (1947-2023)

Il campione statunitense Dick Fosbury (1947-2023) - Ansa

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La gara di salto in alto è una delle poche presenti fin dalla prima edizione dei Giochi Olimpici, quella del 1896, ad Atene. Fino al 1968, ai Giochi di Città del Messico, si era sempre saltato con uno stile che permetteva di tenere bene sott’occhio l’asticella. Agli albori era la sforbiciata, poi lo stile ventrale per decenni. Saltare verso l’alto sì, ma con la pancia verso terra, come se lo staccarsi da terra fosse un gesto non definitivo, come se ci tenesse sempre un certo margine di sicurezza. Certo un motivo non secondario era che non si atterrava sui materassi come oggi, ma su della sabbia e probabilmente il problema dell’atterraggio influiva non poco rispetto al tema del decollo. Si andò avanti così per 72 anni, fino al 19 ottobre 1968, quanto in pedana, a Città del Messico, si presentò un giovane allampanato americano che si chiamava Dick Fosbury.

Fosbury, scomparso a 76 anni il 12 marzo a Salt Lake City, nello Utah, era un ragazzo con una storia personale tormentata che aveva trovato nell’atletica la sua strada. Nato a Portland il 6 marzo 1947, Fosbury era uno dei figli del baby-boom e come tutti i suoi pari trascorse l’infanzia nel pieno degli ottimistici anni ’50, quando il Pil americano era superiore a quello di tutti gli stati europei messi insieme. Molti di questi soldi finanziavano un sistema educativo in enorme espansione, che riservava un ruolo molto importante allo sport verso il quale erano instradati tutti gli studenti fin dai primi gradi di istruzione. Il giovane Dick, un lungagnone fin da quando indossava i calzoni corti, scelse il salto in alto che praticava con l’antica tecnica a forbice, cui restò fedele fino alla scuola superiore. A 16 anni il suo allenatore lo persuase a passare al ventrale, ma i risultati restarono pessimi. Ritenuto un atleta dal talento, diciamo così, mediocre, decise di cambiare le regole del gioco.

Non solo un salto verso l’alto, ma verso altro. Preparazione, focus, rincorsa e poi, acquistata la massima velocità, il decollo! Lo sguardo perde l’asticella dal suo orizzonte e si rivolge al cielo mentre di schiena, il corpo supera l’ostacolo. Gli altri saltavano, lui volava. Con notevole senso di auto-ironia, il biondino dell’Oregon battezzò il nuovo stile giocando sull’ambiguità del significato: “Fosbury flop” in inglese significa sia “cadere di peso” che “fallimento”. All’inizio ridevano tutti. Il primo a tentare di dissuaderlo fu il suo allenatore.

I più compassionevoli gli ricordavano che prima o poi si sarebbe spaccato l’osso del collo, i più aggressivi gli dicevano che sarebbero pesati sulla sua coscienza decine, centinaia di ragazzi che si sarebbero fatti male per causa sua.

Ma se è pieno il mondo di persone che sanno fare bene qualcosa quando è facile, i campioni sono coloro che sanno fare bene una cosa quando è difficile, quando le probabilità sono sfavorevoli, quando perfino quelli che hai intorno ti consigliano di lasciar perdere.

Quella sua tecnica, assurda, rivoluzionaria e accolta con scetticismo, si rivela efficace: nonostante sia un atleta di scarsa potenza fisica, nel 1968 Fosbury conquista il primo posto ai campionati universitari. Nello stesso anno si qualifica per le Olimpiadi di Città del Messico dove conquista la medaglia d’oro e stabilisce un nuovo record olimpionico. Da quel momento in poi il salto Fosbury permise di avvicinare altezze mai immaginate prima.

Curiosamente il salto Fosbury fu la sfortuna di Dick Fosbury. Col tempo il nuovo metodo di salto viene adottato da un numero sempre maggiore di atleti che sono mediamente tutti fisicamente più dotati di Fosbury, togliendogli quel suo unico vantaggio. A Monaco nel 1972, l’edizione successiva dei Giochi Olimpici, Fosbury non arriverà neppure. Ma quella voglia di prendersi cura di un gesto e contro l’opinione di tutti portarlo fino al suo compimento più alto per lui era più che sufficiente. Per tutti gli altri, tutti coloro che arrivarono dopo fu una rivoluzione copernicana. E il salto ventrale, oggi, puro modernariato.

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