mercoledì 4 luglio 2018
L'Unesco ha inserito nella "World Heritage List" le chiese della regione nipponica: il riscatto di una fede per secoli costretta ad essere vissuta in clandestinità
La chiesa di Nokubi, sull'isola, ora disabitata, di Nozaki

La chiesa di Nokubi, sull'isola, ora disabitata, di Nozaki

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La Commissione del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, riunitasi a Manama in Bahrain a fine giugno, ha stabilito che i siti cristiani nella regione di Nagasaki siano inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale. Così dodici siti, tra cui sette chiese cattoliche, che testimoniano la fede di chi era stato costretto alla clandestinità per praticare il culto, sono posti sotto gli occhi del mondo.
Questa regione, nella parte sud occidentale dell’arcipelago giapponese, è quella in cui più precocemente e più ampiamente operarono i missionari cristiani, dalla seconda metà del secolo XVI. Il gesuita spagnolo Francesco Saverio (Xavier), uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, dopo aver insegnato a Goa, poi nell’isola di Ceylon e nelle Molucche, nel 1547 nell’isola di Malacca conobbe un marinaio giapponese che gli parlò a lungo del suo paese. La decisione fu rapida: da questi accompagnato, Saverio giunse nella regione di Nagasaki nel 1549 e cominciò a predicare. Malgrado le difficoltà linguistiche, trovò nella popolazione una cordiale corrispondenza intellettuale, e ne diede conto in una lettera inviata ai suoi compagni di stanza a Goa: «La gente con la quale abbiamo finora parlato – scrisse – è la migliore che abbia mai incontrato. È gente sobria nel mangiare, molti sanno leggere e scrivere, sono monogami, pochi sono i ladri, amano ascoltare le cose di Dio».

Molte furono le conversioni e ai gesuiti si unirono francescani e domenicani. Nella zona di Nagasaki a migliaia divennero cristiani. Evidentemente, per quanto la gerarchia buddista fosse contraria alla predicazione cristiana, questa si innestava su un atteggiamento morale aperto all’annuncio della Rivelazione. I problemi sorsero per ragioni di potere politico: si era nel periodo degli «stati belligeranti» un’epoca di scontri tra i tanti potentati locali. E nell’ambito di tali scontri negli ultimi decenni del Cinquecento si distinse un guerriero, Toyotomi Hideyoshi che riuscì a prevalere su gran parte del paese e per questo è considerato uno dei suoi unificatori. Ma tale opera, oltre che l’impegno militare, comportò anche la propaganda ideologica attraverso la promozione delle religioni tradizionali. All’inizio del 1600 il periodo di guerre intestine si concluse e cominciò il periodo Tokungawa, destinato a durare sino al 1868. Se già Toyotomi aveva cominciato a cercare di espellere i missionari stranieri, nel 1614 il cristianesimo fu bandito da tutto il Paese. Le resistenze maggiori ebbero luogo proprio nella zona di Nagasaki e nel 1637 a Shimabara le rivolte assunsero l’aspetto della guerra di religione: la maggioranza della popolazione era diventata cristiana e le persecuzioni furono violente e atroci. Nel 1644 l’ultimo sacerdote rimasto fu martirizzato. Fu proibito l’approdo delle navi portoghesi, per timore che portassero nuovi missionari. Seguirono ulteriori persecuzioni dei fedeli rimasti, per tutto il XVII secolo: si imponeva l’abiura o il martirio.
Sinché in tutto il territorio giapponese parve che il cristianesimo fosse stato sradicato. Ma in realtà non fu così, laddove questo si era insediato grazie all’opera di Francesco Saverio e più di era diffuso. Attorno a Nagasaki continuarono per tradizione familiare a sopravvivere focolai di fede, che si manifestava in vari modi. Per esempio nel villaggio di Kasuga e a Hirado erano venerati un monte, un’isola e altri siti: sotto l’apparenza del panteismo sopravviveva il culto di coloro che in quei luoghi erano stati martirizzati. Nella città di Sakitsu usavano disporre piccoli oggetti di valore commemorativo e devozionale nelle case e nei luoghi di lavoro: per esempio una medaglietta raffigurante la Vergine, occultata in un alloggiamento ricavato entro una trave di legno. Nel villaggio Shitsu di Sotome continuarono la pratica religiosa secondo il calendario liturgico e veneravano immagini sacre. Nel villaggio di Ono mescolarono la pratica cristiana con le usanze shintoiste.


Era un cristianesimo vissuto nascostamente, come e più che nelle catacombe. La fede quando è radicata resiste a ogni avversità. Così nella regione di Nagasaki il cristianesimo è sopravvissuto per due secoli, nascosto, silenzioso, invisibile a chi brandiva il potere. Sinché nel 1854, col riaprirsi al commercio col mondo esterno, il Giappone accettò anche l’arrivo di nuovi missionari che poterono manifestare la loro presenza costruendo la chiesa di Oura a Nagasaki: un edificio dal profilo goticheggiante sul cui tetto si alza un campanile a cuspide che regge in alto la croce. Nel 1865 un gruppo di coloro che avevano conservato nascosta la loro fede in Urakami la visitarono e rivelarono la loro presenza ai missionari. Avvenne così la scoperta dei cristiani nascosti. Il governo di allora tentò ancora di reprimerli, ma le proteste del mondo occidentale prevalsero e nel 1873 il divieto di praticare il cristianesimo fu definitivamente tolto.
Il riconoscimento dell’Unesco riguarda dodici siti che testimoniano il nascondimento e la rinascita: le rovine del castello di Hara, dove nel 1637 fu assediato il gruppo di cristiani che tentò di resistere al bando; il villaggio di Kasuga e i luoghi sacri di Hirado dove i cristiani camuffarono la loro fede; i villaggi di Sakitsu, di Shitsu, di Ono; diversi luoghi nelle isole Nozaki, Kashiragashima, Hisaka, Naru; la catttedrale di Oura. La fede è sempre una scoperta e riscoprire oggi questi luoghi ricorda come il martirio - la “testimonianza” - in momenti avversi possa anche vivere nel segreto della coscienza. Ma anche come laddove la fede può essere praticata, sia importante mostrarla assaporando la gioia di non essere costretti al camuffamento per sopravvivere.

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