La Città Proibita di Pechino - Comboni Press
Si è tenuta nei giorni scorsi all’Università Cattolica di Milano una Giornata di studi dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (Aisc) dal titolo 'La Cina e la storia'. L’Aisc con oltre 40 anni di storia, riunisce i sinologi italiani e ha oggi circa 200 iscritti. Il tema scelto riguarda le reinterpretazioni storiche e l’uso politico del passato, con gli occhi puntati sull’attualità.
A un mese dall’avvio dell’atteso XX Congresso del Partito comunista cinese (Pcc) che quasi certamente conferirà a Xi Jinping il terzo mandato come Segretario generale del Pcc, i sinologi italiani si sono dati appuntamento a Milano, all’Università Cattolica, per una riflessione sul ruolo – molto rilevante – della storia nell’attuale autonarrazione cinese. Si è parlato in particolare di 'storia mondiale' e di World History – malgrado la somiglianza dei nomi sono approcci diversi – nella Repubblica popolare cinese (Rpc). La storiografia cinese ha sempre fatto una netta distinzione tra nei e wai (dentro e fuori), tra 'cinese' e 'non-cinese' (o 'occidentale'). L’abitudine a distinguere tra storia cinese e storia degli altri paesi, indicata generalmente come 'storia mondiale' è radicata. Dopo il 1949, quando la Rpc mutua dall’Unione sovietica il materialismo storico di matrice marxista e la sua concezione della storia mondiale, il termine corrispondente a 'storia mondiale' si diffonde negli ambienti accademici cinesi e il compito degli storici diventa quello di studiare gli sviluppi della rivoluzione socialista nel mondo dentro cui si inserisce l’affermazione della 'Nuova democrazia' promossa dal Pcc. L’Accademia cinese delle scienze sociali fonda nel 1964 un proprio Istituto di storia mondiale e, insieme ad altre istituzioni accademiche, studia la storia politica delle diverse aree del mondo separatamente dalla storia cinese, senza entrare in contatto con l’approccio storiografico della World History. Tale approccio si è sviluppato nel mondo anglosassone con l’obiettivo di abbandonare l’eurocentrismo e, soprattutto, quello che viene chiamato 'eurocentrismo concettuale'. Ciononostante, proprio sull’eurocentrismo concettuale si sono appuntate le critiche di diversi storici cinesi alla World History, da loro accusata di restare in fondo eurocentrica anche nella critica all’eurocentrismo perché riproporrebbe concetti e schemi occidentali. In realtà, la prospettiva della World History spinge ad essere consapevoli che i concetti analitici e i termini descrittivi applicati alle diverse epoche e ai diversi ambiti geografici hanno sempre una loro storicità e non sono mai neutrali, perché portano con sé tracce del contesto e delle condizioni in cui sono emersi. In questo senso, le critiche di eurocentrismo rivolte alla World history appaiono sfuocate, mentre questo approccio storiografico pone una seria sfida alle narrazioni di impronta nazionalistica della storia cinese intesa come una storia unica e separata da tutte le altre e a molte delle visioni del mondo esterno che la storiografia cinese novecentesca ha elaborato. Gli studi su Cina e World History, che insistono sulle interazioni tra Cina e resto del mondo, non solo mettono in discussione l’abitudine a considerare la 'storia del mondo' come la storia dei paesi esterni alla Cina ma tentano anche di elaborare nuove concezioni che riescano ad andare oltre una metodologia al servizio del nazionalismo. La storiografica cinese più recente ha accettato tale sfida, aprendosi al confronto con studiosi di tutto il mondo. Non è forse un caso che un termine specifico per tradurre World History in cinese sia apparso nella Rpc negli anni Ottanta, nel clima culturale del periodo di 'Riforma e apertura' e, più precisamente, in occasione della traduzione in cinese dell’opera di Geoffrey Barraclough, Main Trends in History, apparsa nel 1987. In seguito, soprattutto negli anni 2000, vengono tradotti e pubblicati in lingua cinese testi di diversi world historians tra cui McNeill, Bentley e Pomeranz. Dal 2000 in poi si sono registrati in Cina anche significativi tentativi ed esperienze di una rilettura della storia cinese secondo i canoni della World History, concentrata sulle interazioni tra civiltà diverse. Un contributo interessante arriva ad esempio dal Dipartimento di storia dell’Università Fudan di Shanghai, e in particolare da Ge Zhaoguang, storico di fama internazionale e autore di libri tradotti in diverse lingue. Il suo obiettivo è divulgare in Cina non solo i temi ma soprattutto il metodo e la prospettiva della World History. In una recente intervista concessa a chi scrive, il professor Ge Zhaoguang ha detto: «Spero che attraverso la conoscenza della World History, si possa sviluppare nella società un senso di cittadinanza globale che trascenda il singolo paese e promuova uguaglianza e fraternità». La presenza e lo sviluppo degli studi di World History assume un significato particolare oggi nella Repubblica popolare cinese, di fronte a narrazioni neonazionaliste che – come avviene anche in molti altri paesi del mondo – rileggono la storia passata con l’intento di costruire una nuova identità nazionale e una nuova immagine della Cina nel mondo, basata su una supposta unicità culturale che deriva dalla sua antica civiltà. Per questo, le voci dei world historians cinesi meritano di essere maggiormente ascoltate e studiate anche in Italia.